La compensazione propria e impropria

08.01.2024

La compensazione, disciplinata dagli artt. 1241 e ss. del Codice civile, rientra tra le modalità di estinzione delle obbligazioni diverse dall'adempimento. Consiste, in particolare, nell'elisione di due reciproche ed autentiche posizioni debitorie fino al limite della loro concorrenza. 

È necessario che le parti rappresentino due separati centri di interessi economico-giuridici. Tale fattispecie si verifica quando due soggetti sono al contempo ciascuno debitore e creditore dell'altro.

Il Codice civile disciplina la compensazione legale, giudiziale e volontaria. In primis occorre evidenziare che la compensazione c.d. propria, ai sensi dell'art. 1242 c.c., non può essere rilevata d'ufficio dal giudice ma occorre che il soggetto che voglia avvalersi di tale modalità di estinzione dell'obbligazione, la eccepisca.

L'art. 1243 comma 1 c.c. individua la compensazione legale che ricorre tra due debiti aventi ad oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili che sono ugualmente liquidi ed esigibili. Inoltre, i debiti debbono essere anche reciproci, omogenei ed autonomi. Prerequisito essenziale, che rientra nella liquidità, è la certezza del credito. L'esigibilità deve connotare entrambi i crediti e sussiste qualora non vi siano impedimenti all'esercizio libero ed immediato della pretesa creditoria. La liquidità indica che i reciproci debiti devono poter essere determinati nel loro preciso ammontare con una semplice operazione aritmetica. Pertanto, la liquidità attiene al quantum della pretesa creditoria e la certezza attiene all'an.

Come recentemente stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione, "A) Le norme del codice civile sulla compensazione stabiliscono i presupposti sostanziali, oggettivi, del credito opposto in compensazione: liquidità - che include il requisito della certezza - ed esigibilità. Verificata la ricorrenza dei predetti requisiti, il giudice dichiara l'estinzione del credito principale per compensazione - legale - a decorrere dalla coesistenza con il controcredito e, accogliendo la relativa eccezione, rigetta la domanda. B) Se il credito opposto in compensazione è certo, ma non liquido, nel senso di non determinato, in tutto o in parte, nel suo ammontare, il giudice può provvedere alla relativa liquidazione se è facile e pronta; quindi, o può dichiarare estinto il credito principale per compensazione giudiziale fino alla concorrenza con la parte di controcredito liquido, o può sospendere cautelativamente la condanna del debitore fino alla liquidazione del controcredito eccepito in compensazione. C) Se è controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale, o in altro giudizio già pendente, l'esistenza del controcredito opposto in compensazione (art. 35 cod. proc. civ.) il giudice non può pronunciare la compensazione, né legale né giudiziale" (Corte di Cassazione, Sez. I Civile - Ordinanza 03 luglio 2023 n. 18750).

Proprio il carattere della liquidità distingue la compensazione legale da quella giudiziale: il debito opposto, ai sensi dell'art. 1243 comma 2 c.c., può risultare illiquido ma di facile e pronta liquidazione tanto che la liquidità è conseguenza del processo. Si tratta infatti di una liquidazione che possa avvenire in un tempo processuale breve e con un metodo semplice. Altro carattere distintivo tra la compensazione legale e quella giudiziale è l'effetto della pronuncia del giudice: la sentenza, a seguito della compensazione legale, avrà valore dichiarativo in quanto accerterà l'avvenuta estinzione dei crediti e scaturisce ope legis; nella compensazione giudiziale invece il giudice dovrà operare un accertamento costitutivo, rimuovendo l'impedimento della illiquidità del credito che ostacolava la compensazione.

Inoltre, gli effetti della compensazione giudiziale non retroagiscono al momento della coesistenza dei due crediti, ma hanno efficacia ex nunc, ovvero nel momento in cui viene pronunciata la sentenza che la dichiari.

Infine, il nostro ordinamento, all'art. 1252 c.c., prevede la compensazione volontaria: il comma 1 stabilisce che le parti, posteriormente alla coesistenza dei crediti reciproci, ne possano stabilire la compensazione attraverso un negozio bilaterale mentre al comma 2 del medesimo articolo è prevista la possibilità per le parti di accordarsi anteriormente alla coesistenza dei crediti e stabilire che l'accordo opererà per i rapporti futuri. Tale compensazione, come quella legale, produce ipso iure l'estinzione dei reciproci rapporti: nel primo caso (comma 1), l'effetto estintivo si avrà nel momento del perfezionamento dell'accordo e non sarà necessario eccepire la compensazione; mentre per l'ipotesi di cui al comma 2, l'estinzione si verificherà quando verranno ad esistenza tutte le condizioni previste dalle parti con effetti ex tunc, dal momento in cui i crediti vengono ad esistenza.

La c.d. compensazione impropria (o atecnica) è invece un istituto di elaborazione giurisprudenziale, condiviso anche da una parte della dottrina, che opera quando le contrapposte ragioni di credito delle parti scaturiscono dal medesimo rapporto obbligatorio, anche complesso, o da rapporti accessori: il fenomeno rappresenta un mero accertamento contabile di "dare e avere" con elisione automatica dei rispettivi crediti, fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che sia necessaria l'eccezione di parte. Questo tipo di compensazione è infatti sottratto all'applicazione della disciplina predisposta dal legislatore per la compensazione propria negli artt. 1241 ss. c.c., poiché in tal caso le obbligazioni non scaturiscono dal medesimo rapporto giuridico; in particolare, non opera il divieto officioso della compensazione propria previsto dall'art. 1242 c.c. né si applica la regola prevista in ordine alla prescrizione.

Per far valere la compensazione impropria non è necessaria, dunque, la proposizione di un'apposita domanda riconvenzionale o di un'apposita eccezione, che postulano invece l'autonomia dei rapporti ai quali i crediti si riferiscono.

Ma quando si applica la compensazione impropria? Il principale ambito di applicazione della compensazione impropria è il rapporto di lavoro: in questo ambito essa è stata riconosciuta operare, ad esempio, tra il credito alla retribuzione o al t.f.r. del lavoratore da un lato e, dall'altro, quello del datore di lavoro alla ripetizione di somme indebitamente versate (Cass. Civ., 4.7.1987, n. 5874), oppure nel caso di credito risarcitorio dell'azienda per i danni derivanti dalla negligenza del dipendente nell'esecuzione della prestazione (Cass., 17.4.2004, n. 7337) o ancora tra la retribuzione e l'indennità di trasferta indebitamente erogata (Cass. 16.5.1981, n. 3230). Naturalmente, nel caso in cui al credito retributivo del lavoratore si contrapponga un controcredito del datore di lavoro derivante da altra fonte negoziale e quindi estraneo al rapporto di lavoro, la disciplina della compensazione propria con tutti i limiti legali che ne derivano dovrà essere pienamente applicata senza deroga alcuna.

Infine occorre sottolineare che la giurisprudenza applica lo stesso ragionamento in numerose altre ipotesi per affermare che in questo modo si elidono fino al concorrente ammontare, per esempio: il credito dell'appaltatore al corrispettivo e quello del committente al risarcimento dei danni cagionati dall'inadempimento del primo (Cass., 8.8.2007, n. 17390); il credito per la fornitura di merci e quello al risarcimento dei danni derivanti dai vizi delle stesse (Cass., 21.9.2011, n. 19208); il credito dell'agente alla provvigione o all'indennità di fine rapporto e quello del preponente alla corresponsione di somme riscosse dall'agente per conto della controparte (Cass., 16.1.1988, n. 301); le pretese risarcitorie derivanti dall'incidente stradale dovuto alle concomitanti azioni colpose di entrambi i conducenti dei veicoli venuti a collisione (Cass., 25.8.2006, n. 18498); e così via.

Dott.ssa Benedetta Miccioni