La configurabilità del dolo specifico nell’art. 624-bis c.p.: rimessa la questione alle Sezioni Unite

07.03.2023

Cass. Pen., Sez. V, 11 gennaio 2023, n. 693

Questione rimessa alle Sezioni Unite: è configurabile il dolo specifico di cui all'art. 624-bis c.p. anche in assenza di un ingiusto vantaggio patrimoniale.

Il caso.

Il 2 aprile 2021 è stata impugnata in Cassazione la sentenza della Corte di Appello di Palermo che ha confermato la decisione del Tribunale di Marsala del 3 dicembre 2018 di condannare il ricorrente in relazione al reato di cui all'art. 624-bis comma 2 c.p., cioè per il reato di furto con strappo. 

Il ricorrente ha impugnato la sentenza per violazione di legge in riferimento all'art. 624-bis c.p., sostenendo l'assenza del dolo di profitto, avendo l'imputato agito per evitare che la telefonata della persona offesa raggiungesse le forze dell'ordine. 

Il ricorrente ha addotto che il dolo di profitto debba essere interpretato restrittivamente, alla luce della giurisprudenza di legittimità, tenuto conto anche della collocazione della fattispecie nel titolo XIII del codice penale, dedicato ai delitti contro il patrimonio. 

Ancora, si è sostenuto che l'adesione ad un diverso orientamento determinerebbe l'eccessivo ampliamento della fattispecie, con abrogazione implicita della funzione selettiva del dolo specifico. Inoltre, nell'atto di appello si opinava che "la condotta, al più, avrebbe potuto integrare una violenza privata, peraltro insussistente perché l'azione impeditiva non aveva raggiunto il suo scopo; né la Corte di merito avrebbe motivato circa la indimostrata sussistenza dell'impiego di energia fisica da parte del ricorrente, alla luce delle dichiarazioni della persona offesa."

Nel caso di specie, tra il ricorrente e la persona offesa intercorreva una relazione sentimentale e, nel corso di una lite particolarmente accesa, il ricorrente si era impossessato del telefono cellulare della persona offesa per evitare che chiamasse i Carabinieri e si era allontanato, restando, peraltro, nelle vicinanze, dove era stato intercettato dalle forze dell'ordine, poco dopo intervenuti, che lo avevano trovato in possesso del cellulare. 

A difesa della sua posizione, il ricorrente ha evidenziato come, in questa dinamica, appaia chiaro come si sia indebitamente impossessato del telefono cellulare della vittima non per trarre un profitto nel senso economico del termine, ma per risentimento, dispetto, ritorsione, a fronte della telefonata fatta ai Carabinieri.

La V Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite in ragione dei pregressi orientamenti contrastanti circa la definizione di profitto ex art. 624-bis c.p.

La nozione di "profitto" secondo giurisprudenza e dottrina.

Elemento per la configurabilità del reato di furto, ex art. 624-bis c.p., è il dolo specifico che consiste nel trarre profitto per sé o per altri dall'azione criminosa ma, come evidenziato dalla ordinanza di rimessione in questione, contrastanti sono le interpretazioni circa questo elemento costitutivo della fattispecie.

Secondo un primo orientamento di legittimità, abbastanza remoto, (Sez. 2, n. 9411 del 06/03/1978, Sessa, Rv. 139694; Sez. 2, n. 9983 del 26/04/1983, Lo Nardo, RV. 161352; Sez. 2, n. 4471 del 12/02/1985, Bazzani, Rv. 169109), affinchè si possa parlare di profitto, non è necessaria la natura economica del fine dell'agente: il profitto può, quindi, consistere in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale, ma psichica, rispondendo alle più svariate finalità di dispetto, ritorsione, vendetta, rappresaglia, emulazione. 

Questa interpretazione giurisprudenziale del concetto di profitto è ampia, richiede solo che il vantaggio o l'utilità, patrimoniale o meno, sia un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice commessa con coscienza e volontà in danno alla persona offesa, a prescindere dalla destinazione data dall'autore del reato alla cosa sottratta. 

In buona sostanza, secondo questo filone giurisprudenziale, il reato di furto rientra tra i reati contro il patrimonio, non a vantaggio del patrimonio, dunque, sarebbe irrilevante l'eventuale animus lucrandi dall' agente ed inoltre, stando al profilo strettamente letterale, la norma incriminatrice non contempla una limitazione espressa del fine di profitto alla sola sfera patrimoniale, anche per evitare un restringimento eccessivo della tutela penale. 

Tra le varie sentenze che hanno adottato questa interpretazione maggioritaria circa la configurabilità del dolo del profitto nel reato di furto, in particolare è degna di nota la pronuncia della Sez. 4, n. 13842 del 26/11/2019, Saraceno Alfio, Rv. 278865, nella cui motivazione si sostiene che "il fine di trarre profitto dal bene della vita illecitamente acquisito si identifica nell'intenzione di trarre dal bene una qualsiasi utilità, anche di natura esclusivamente personale e non economica. Il fine può ben consistere nell'appropriarsi per un periodo apprezzabile di tempo della cosa mobile altrui, anche se solo a scopo emulativo".

Alla luce di questa lettura, secondo la sentenza appena citata, si commette furto in caso di:

"a) sottrazione di un bene per poi successivamente distruggerlo, in caso di impossessamento protrattosi per un periodo di tempo apprezzabile, dovendosi considerare il danneggiamento conseguente all'amotio della res quale fatto non punibile;

b) furto nell'interesse della vittima (sottrazione per impedire che il bene sia carpito o distrutto da terzi; sottrazione di cose allo scialacquatore per impedirgli di dissiparle; sottrazione di alcool all'alcolizzato), talora considerato come ipotesi di assenza del fine di profitto e quindi non punibile per carenza di dolo specifico, da risolvere invece verificando l'eventuale operatività di una causa di giustificazione;

c) il furto determinato da motivazioni emulative o affettive;

d) la sottrazione di beni non commerciabili."

La dottrina evidenzia, tuttavia, che questo non vuol dire che sia sufficiente un qualsiasi fine di profitto, né che esso debba corrispondere al movente psicologico che ha indotto il soggetto ad agire, dato che comunque rimane imprescindibile trarre una utilità specificamente dalla cosa e non genericamente dalla sola condotta. Dunque, i più attenti giuristi distinguono, tra i vantaggi connessi in genere all'impossessamento, lo scopo tipico verso cui si proietta la condotta del colpevole, per evitare che il profitto, inteso quale dolo specifico, possa assumere i caratteri tipici del movente.

A contrario, l'altro filone interpretativo, diffusosi più recentemente, sulla configurabilità del furto, identifica il dolo specifico del profitto ex art. 624-bis c.p. nel mero animus lucrandi, circoscritto all'aspetto economico/patrimoniale. Tra le motivazioni addotte, vi è "il dato letterale e sistematico dell'inserimento del furto nei delitti contro il patrimonio, che costituisce il bene/interesse tutelato dalla norma ed in tal senso ne appare problematica la coerente collocazione nell'ambito dei criteri ermeneutici dell'interpretazione letterale della legge e della volontà del legislatore.", Sez. 5, n. 30073 del 23/10/2018, Lettina ed altro, Rv. 273561. Altra sentenza ancora, Sez. 5, n. 40438 del 01/07/2019, Stawicka Beata, Rv. 277319, nel richiamare la precedente sentenza Lettina, aggiunge che "un'eccessiva dilatazione della nozione di profitto, estesa fino a ricomprendere qualsiasi utilità soggettivamente ritenuta apprezzabile, finirebbe per vanificare la stessa funzione del dolo specifico, che è, al contempo, quella di limitare i fatti punibili a titolo di furto e di individuare una linea di demarcazione tra il furto ed altre figure di reato non caratterizzate dallo scopo di profitto da parte dell'agente." Questa ulteriore motivazione è stata sostenuta in particolare da alcune recentissime sentenze del 2019 e del 20022, non ancora massimate.

Questa interpretazione restrittiva trova consenso nella dottrina, secondo cui "un'eccessiva espansione della nozione di profitto, estesa fino a raggiungere qualsiasi utilità soggettivamente ritenuta apprezzabile, arrivando ad identificare lo scopo di lucro previsto nella fattispecie astratta con la generica volontà di tenere per sé la cosa, può comportare, in definitiva, l'annullamento della previsione normativa, che implica la necessità del dolo specifico."

I più autorevoli giuristi, nel prendere in considerazione questa connotazione del concetto di profitto, hanno notato che il legislatore ha costruito la fattispecie di furto non solo sulla base oggettivistica dell'offesa patrimoniale arrecata alla vittima, ma anche in base al presupposto soggettivistico del profitto dell'agente. Per cui, la ratio dell'incriminazione è non solo "la necessità di evitare l'impoverimento altrui, ma anche nell'esigenza di scoraggiare l'arricchimento, o, comunque, l'avvantaggiarsi, dell'agente derivante dalla ruberia. 

Invero, l'onnicomprensiva nozione di profitto oggetto del dolo specifico del delitto di furto, che abbraccia indistintamente sia il vantaggio economico, sia l'utilità, materiale o spirituale, sia il piacere o soddisfazione che l'agente si procuri, direttamente o indirettamente, attraverso l'azione criminosa, tradisce la funzione selettiva e garantistica della tipicità penale, ampliando a dismisura la sfera del furto a discapito di quella del danneggiamento o estendendola a fatti non meritevoli di sanzione penale." 

Per di più, questa lettura interpretativa sostiene che una concezione del profitto troppo estesa sarebbe un'interpretatio abrogans del dolo specifico, dato che finirebbe per coincidere con il movente dell'azione. Dunque, i critici identificano nel delitto di furto il dolo specifico nella finalità del soggetto agente di conseguire un incremento della propria sfera patrimoniale eventualmente anche per la capacità strumentale del bene di soddisfare un bisogno umano, materiale o spirituale, fine ulteriore dell'azione.

Mentre il movente riguarda i motivi di fatto da cui scaturisce il fatto criminoso e, dunque, sostiene ogni azione dell'autore del reato, il dolo specifico è un elemento essenziale e strumentale rispetto al fatto tipico, avente natura psicologica e consistente in uno scopo ulteriore verso il quale deve tendere a volontà dell'agente, anche se, ai fini della sussistenza del reato, tale scopo non deve essere necessariamente realizzato. 

Una nozione troppo ampia del concetto di profitto oggetto del dolo specifico non sarebbe un'interpretazione tassativizzante e, quindi, costituzionalmente orientata, che, invece, il dolo specifico, dalla funzione delimitatrice della tipicità, assicura, secondo la teoria generale del reato. In altre parole, la nozione di profitto non può coincidere con quella di vantaggio, dalla connotazione, invece, sia economica che morale, come è rilevabile nell'art. 416-bis, comma terzo, c.p.

Alla luce di queste opinioni divergenti e validamente sostenute, si attende, dunque, che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a pronunciarsi il prossimo 25 maggio, facciano maggiore chiarezza.

Dott.ssa Gemma Colarieti