La differenza tra il collaboratore e il testimone di giustizia
Chi è estraneo all'ambiente giuridico spesso si riferisce indifferentemente al collaboratore e al testimone di giustizia, che, in realtà, sono figure distinte e separate.
È riconosciuta la qualifica di collaboratore di giustizia a colui che, pur avendo commesso delitti, con dichiarazioni, purché nuove e complete, offre un contributo significativo alle indagini e ai processi attinenti ai soli delitti di mafia, terrorismo e assimilati previsti dall'articolo 51 commi 3-bis e 3-quater c.p.p. e che si trova in stato di "grave e attuale pericolo" per effetto della collaborazione.
Il collaboratore di giustizia fornisce al magistrato del pubblico ministero le notizie di cui dispone per: la ricostruzione dei fatti e delle circostanze su cui è interrogato e degli altri fatti di maggiore gravità e allarme sociale di cui è a conoscenza; l'individuazione e la cattura dei loro autori; l'individuazione, il sequestro e la confisca del denaro, dei beni e di ogni altra utilità dei quali il collaboratore stesso o gli altri appartenenti al gruppo criminale dispongono direttamente o indirettamente. In buona sostanza, il collaboratore di giustizia è sentito come imputato concorrente, senza obbligo di verità penalmente sanzionato, o come testimone assistito, soggetto a obbligo di verità sul fatto altrui già dichiarato, a seconda del legame che sussiste tra il proprio procedimento e quello in cui è chiamato a deporre e a seconda dell'oggetto delle precedenti dichiarazioni.
A contrario, il testimone di giustizia è colui che:
- ha reso dichiarazioni di fondata attendibilità intrinseca e rilevanti per le indagini o per il giudizio;
- si trova in una situazione di grave, concreto e attuale pericolo, tale per cui le ordinarie misure di protezione risultino inadeguate;
- non ha condanne per delitti dolosi o preterintenzionali, né ha tratto profitto dall'essere venuto a contatto con il contesto delittuoso. Diversamente, al testimone di giustizia è concesso aver tenuto comportamenti penalmente rilevanti a causa dell'assoggettamento a singoli o alle associazioni criminali;
- non è, né è stato sottoposto a misure di protezione.
Pertanto, si è testimone di giustizia nel caso in cui si forniscano informazioni determinanti ai fini del procedimento penale per l'accertamento circa la commissione di qualsiasi tipo di reato, sia in veste persona offesa del reato, il cosiddetto "testimone vittima", che persona informata sui fatti oppure testimone. Dunque, oltre che in riferimento al novero più ampio di reati per cui può intervenire rispetto al collaboratore di giustizia, la differenza sostanziale che caratterizza il testimone di giustizia è che questi non ha commesso alcun reato e testimonia per dovere civico, mentre il collaboratore è colui che, se decide di "pentirsi" e collaborare, ottiene dal sistema giustizia, oltre che una diversa protezione, una serie di premialità e delle riduzioni di pena, sia per quanto riguarda le misure cautelari che quelle definitive, purchè sconti almeno ¼ o 10 anni, se condannato all'ergastolo. A proposito di collaboratori di giustizia, come non ricordare il "pentito" per antonomasia, il mafioso Tommaso Buscetta.
La differenza tra testimone e collaboratore così marcatamene delineata è contenuta nella legge 11 gennaio 2018, n. 6, punto di arrivo di una serie di rimaneggiamenti ad una disciplina definita per la prima volta esclusivamente a tutela dei collaboratori di giustizia nel 1991, con il d.l. n. 8, poi convertito nella legge 82/1991, su impulso di Giovanni Falcone. Con la legge 82 del 1991 si applica per la prima volta uno speciale programma di protezione esclusivamente ai collaboratori di giustizia ed ai loro familiari.
Soltanto con la legge n. 45 del 2001 viene individuata per la prima volta una disciplina differenziata per i testimoni di giustizia. Questa legge è degna di nota anche perché introduce per i collaboratori di giustizia il termine massimo di 180 giorni decorrenti dalla dichiarazione di volontà di collaborare, al fine di indurli a riferire il prima possibile tutte le informazioni in suo possesso. Quanto alle cosiddette "dichiarazioni tardive", la Cassazione ha precisato che restano comunque legittime ed utilizzabili le dichiarazioni del collaboratore rese al giudice in sede di interrogatorio di garanzia, di udienza preliminare e di dibattimento.
La legge 11 gennaio 2018, n. 6 contiene la disciplina attualmente in vigore volta a rafforzare e personalizzare la tutela per i testimoni di giustizia e di chi è in pericolo per le relazioni intrattenute con i testimoni di giustizia. Oggi il testimone di giustizia ha diritto ad una protezione preferibilmente nel luogo di origine con misure di sostegno e reinserimento, cioè le "speciali misure di protezione", ex articolo 8 l. 6/2018, modulate case by case. Solo eccezionalmente è previsto il ricorso al programma speciale di protezione, che consiste nel trasferimento in una località protetta, l'uso di documenti di copertura e il cambiamento delle generalità, ai sensi dell'articolo 4 della legge del 2018. La ratio di questo articolo è consentire "un'esistenza dignitosa" e non alterata a causa delle ripercussioni per avere reso testimonianza. Prima della novella normativa, invece, solo i testimoni di giustizia che aderivano al programma speciale di protezione, oltre alle misure di tutela, godevano di aiuti economici e sostegni per l'inserimento sociale e lavorativo. A partire dal 2018 il testimone di giustizia ha diritto, al contrario del collaboratore, ad un indennizzo per il pregiudizio subito oppure il risarcimento per eventuali danni biologici o esistenziali, mentre sul piano degli strumenti probatori, sia il collaboratore che il testimone di giustizia possono ricorrere all'incidente probatorio e all'esame a distanza. Infine, ulteriore novità degna di nota è la figura del referente del testimone di giustizia, che lo assiste fin dall'inserimento nel piano provvisorio di protezione.