La negoziazione assistita nelle controversie di lavoro
La c.d. "riforma Cartabia" (d.lgs. n. 149/2022) ha esteso alle controversie di lavoro la possibilità di esperire il procedimento di negoziazione assistita, introducendo il nuovo art. 2-ter nel d.l. n. 132/2014.
Si tratta di un intervento normativo invocato da tempo, già previsto nella formulazione originaria del menzionato d.l. 132/14 ma poi eliminato in sede di conversione.
La negoziazione assistita non costituisce, nelle cause lavoristiche, condizione di procedibilità, ma va ricordato che il difensore, all'atto di conferimento dell'incarico, ha comunque l'obbligo di informare il cliente circa la possibilità di darvi corso: l'art. 2, co. 7, del d.l. 132/14 prevede, infatti, tale dovere deontologico ogniqualvolta l'ordinamento consenta di ricorrere al procedimento di negoziazione.
È obbligatoria l'assistenza di almeno un legale per parte, mentre quella di un consulente del lavoro è facoltativa e aggiuntiva: la riforma fuga, in questo modo, il dubbio interpretativo che si era posto in precedenza, relativo alla possibilità che entrambe le parti potessero essere assistite da un unico avvocato.
Senza soffermarsi sulle innovazioni "generali" al procedimento di negoziazione apportate dalla riforma, per concentrare piuttosto l'analisi sui soli riflessi giuslavoristici, può essere interessante riflettere innanzitutto sul rapporto fra invito alla negoziazione e impedimento della decadenza.
L'art. 8 del d.l. 132/14 dispone, come noto, che "dal momento della comunicazione dell'invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della sottoscrizione della convenzione si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale" e che, dalla stessa data, "è impedita, per una sola volta, la decadenza".
Quando la controversia abbia ad oggetto l'impugnazione di un licenziamento, l'art. 6 della l. n. 604/66 prevede, a sua volta, un termine decadenziale di sessanta giorni per l'impugnazione stragiudiziale del recesso e un successivo termine di centottanta giorni per il deposito in giudizio del ricorso ovvero per la comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato; termine, quest'ultimo, che, se non rispettato, conduce alla declaratoria di inefficacia dell'impugnazione.
Tale antinomia fra norme è risolvibile applicando il criterio cronologico o il criterio di specialità: nel primo caso, prevarrebbe l'art. 8 del d.l. 132/14 e quindi – con l'invito alla negoziazione – sarebbe validamente impedita la decadenza prevista dall'art. 6 della l. 604/66; nella seconda ipotesi, viceversa, accadrebbe esattamente il contrario, poiché la norma lavoristica dovrebbe essere considerata speciale e, quindi, privilegiata.
In ragione di tale possibile incertezza interpretativa, l'approccio più prudente consiglia di continuare a rispettare ugualmente la scansione temporale e decadenziale prevista dal citato art. 6.
Si pone, altresì, quantomeno un ulteriore dubbio: l'art. 8 del d.l. 132/14 prosegue, infatti, disponendo che – se l'invito è rifiutato o non è accettato nel termine di trenta giorni – la domanda giudiziale va proposta "entro il medesimo termine di decadenza". Il tenore letterale della norma induce a ritenere che per "medesimo termine" si debba intendere il "termine originario"; anche in questo caso, tuttavia, pare preferibile la scelta più prudenziale, vale a dire quella di agire entro il termine residuo.
Il nuovo art. 2-ter del d.l. 132/14 prevede, ancora, che l'accordo sottoscritto all'esito della negoziazione debba essere trasmesso entro dieci giorni, a cura di una delle due parti, a uno degli organismi di certificazione di cui all'art. 76 del d.lgs. n. 276/2003.
Detta trasmissione determina, ovviamente, la perdita di quella riservatezza che contraddistingue per sua natura il procedimento di negoziazione e che, in molteplici occasioni, ne rappresenta il principale vantaggio.
Va osservato, tuttavia, che quella in esame è una "disposizione senza sanzione", poiché non sono disciplinate le conseguenze della mancata trasmissione; pertanto, è in realtà possibile che tale norma non abbia, in futuro, una considerevole applicazione pratica.
La negoziazione di lavoro, come tutti gli accordi formalizzati in c.d. "sede protetta", non è impugnabile ai sensi dell'art. 2113 c.c.; deve ritenersi, tuttavia, che essa potrà ugualmente essere caducata per nullità o vizi del consenso (proprio come, in generale, gli accordi ex art. 2113 c.c.: in questo senso si è espressa ancora di recente la Suprema Corte, v. ad es. Cass. 16154/2021) ovvero ancora ai sensi degli artt. 1971 e segg. c.c.
Provando a effettuare una prognosi sull'incidenza e sulla "fortuna" della negoziazione assistita in campo giuslavoristico, non è azzardato supporre che essa potrà avere spesso la funzione di sostituire gli accordi, che, prima della riforma, dovevano essere sottoscritti necessariamente in sede sindacale ovvero dinanzi agli altri organismi di conciliazione e arbitrato.
Lecito nutrire maggiori dubbi, invece, sulla sua auspicata funzione deflattiva del contenzioso, soprattutto per via di qualche lacuna nella disciplina della c.d. istruttoria stragiudiziale.
Esigenze di sintesi non consentono di esaminare dettagliatamente tali lacune in questa sede, tuttavia si può anticipare, quantomeno, una breve considerazione: molto dipenderà, si può ipotizzare, dall'adeguamento degli avvocati agli elevati canoni comportamentali imposti dalla disciplina della negoziazione, poiché essi saranno tenuti a vigilare sulla cooperazione in buona fede dei propri assistiti nel tentativo di composizione amichevole della controversia, senza indulgere in comportamenti maliziosi e dilatori (fra i quali, a titolo solo esemplificativo, il rifiuto di sottoscrivere un verbale contenente dichiarazioni di terzi che il legale ritenga sfavorevoli per il proprio assistito).
Avv. Claudio Serra