La pena più grave è sempre quella concretamente inflitta
Cass. pen., Sez. Unite, 28 Settembre 2023, n. 7029
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Il caso vedeva il GIP del Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell'esecuzione, accogliere la richiesta di applicazione della continuazione tra i reati oggetto di separate sentenze di condanna irrevocabili, di cui una alla pena di trenta anni di reclusione per omicidio volontario aggravato, frutto di riduzione per giudizio con rito abbreviato.
Il giudice ritenne il reato di omicidio volontario aggravato quale reato più grave, ed individuava come pena base quella dell'ergastolo (poiché prevista come pena edittale ex art. 416 bis comma 1 c.p.), su di essa applicava le frazioni di pena a titoli di continuazione con i reati oggetto delle altre sentenze di condanna. A seguito del calcolo, il Giudice individuava quale pena finale l'ergastolo con isolamento diurno, secondo l'art. 72 comma c.p.
Nel ricorso per Cassazione il difensore del condannato rileva come unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli artt. 78 e 81 cod. pen., 671, comma 2, cod. proc. pen. e 187 disp. att. cod. proc. pen. Inoltre, il difensore del ricorrente sostiene che l'art. 187 disp. att. c.p.p. prescrive, in caso di applicazione del reato continuato in fase esecutiva, di considerare violazione più grave quella con la quale è stata inflitta la pena più grave, anche quando per alcuni reati si è proceduto con giudizio abbreviato.
La Prima Sezione della Cassazione, rilevato un contrasto giurisprudenziale sul tema, rimette la questione alle Sezioni Unite della Cassazione con ordinanza del 21.12.2022.
Sul concetto di pena più grave inflitta vi sono due orientamenti in contrasto tra loro: un primo orientamento intende come pena più grave quella antecedente alla riduzione per il rito, dunque, come risultante dalla norma sostanziale[1].
Un secondo orientamento ritiene come pena più grave quella inflitta in concreto anche se frutto di riduzione per il rito abbreviato[2].
Le Sezioni Unite ritengono di aderire al secondo di tali orientamenti, poiché l'art. 187 disp. att. c.p.p. fa espresso riferimento alla pena inflitta per il reato più grave intesa quale pena irrogata dal giudice della cognizione, e se irrogata a seguito di rito abbreviato, quella risultante dalla riduzione.
Tale soluzione è ritenuta coerente con la funzione derogatoria della norma delle disposizioni attuative rispetto all'art. 81 c.p., infatti, mentre nel processo di cognizione l'individuazione della violazione più grave è frutto di una valutazione discrezionale del giudice, in fase esecutiva la pena è stata già concretamente inflitta.
Inoltre, secondo le Sezioni Unite la riduzione della pena per il rito abbreviato avrebbe rilievo in limine, poiché si deve aver riguardo alla pena inflitta in concreto. Ulteriore argomento della decisione attiene alla natura sostanziale della pena concretamente irrogata.
La Corte ritiene che non valga a smentire tale conclusione, la tesi che afferma che la riduzione per il rito abbreviato, risolvendosi in una mera operazione aritmetica, è priva di conseguenze sostanziali tanto da non incidere, in concreto, sulla individuazione della nozione giuridica di "pena", anche ai fini previsti dall'art. 187 disp. att. cod. proc. pen. Si tratta, invero, di tesi che non coglie appieno la peculiarità della diminuente, poiché si limita a metterne a fuoco la natura processuale, trascurando, al contempo, di considerare che da essa scaturiscono, indefettibilmente, conseguenze di carattere sostanziale.
Continuano le S.U. nella motivazione affermando che non importa stabilire la natura della diminuzione o della sostituzione della pena, ma importa rilevare che essa si risolve in un trattamento penale di favore.
In ogni caso, la natura anche sostanziale della diminuente è emersa, come ricordano gli ermellini, nelle pronunce successive alle vicende modificative della normativa di accesso al rito abbreviato.
Inoltre, la Corte cita una serie di sentenze che si sono pronunciate sulla natura sostanziale della diminuzione di pena, tra queste: Corte EDU, 17/09/2009, S.C. Italia, Corte cost., sent. n. 210/2013, Cass. pen. S.U. sent. n. 34233/2012, Cass. Pen. S.U., sent. N. 18821/2014. Alla luce delle pronunce le Sezioni Unite ritengono ormai condivisa la prospettiva secondo la quale è innegabile la natura sostanziale delle ricadute cadute sul trattamento sanzionatorio derivanti dall'accesso al rito abbreviato, per cui consegue, necessariamente, la loro sottoposizione alla disciplina prevista dagli artt. 2 cod. pen. e 25 Cost.
Pertanto, gli ermellini hanno accolto il ricorso del condannato ritenendo che il giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto individuare la pena più grave concretamente inflitta in quella degli anni trenta di reclusione e su questa procedere con gli aumenti per gli ulteriori reati, quantificandoli in complessivi anni trentatré e mesi nove di reclusione, ridotti per il rito abbreviato ad anni ventidue e mesi sei, applicato il criterio moderatore previsto dall'art. 78, primo comma, n. 1), c.p., avrebbe dovuto rideterminare la pena definitiva in anni trenta di reclusione.
Per tali motivi la Corte ha annullato senza rinvio l'ordinanza impugnata limitatamente alla statuizione sulla pena rideterminandola in anni trenta di reclusione.
[1] In tal senso: Cass. pen. Sez. 1, sent. n. 37168/2019, Ben Salam.
[2] In tal senso: Cass. pen. Sez. 1, sent. n. 13756/2020, Morelli.