La responsabilità morale dell’allenatore sportivo

16.11.2023

La prima cosa che si impara quando si diventa atleti è che lo sport è dedizione e sacrificio. Lo si capisce subito nel momento esatto in cui ci si pone un obiettivo imponendosi di perseguirlo e raggiungerlo a qualsiasi costo. Infondo, il primo vero insegnamento dello sport è superare i propri limiti. Il paradosso è che per riuscire in questo intento, lo sport molto spesso ci porta al limite: della forza, della pazienza, talvolta al limite dell'esasperazione. Nonostante questa consapevolezza, l'atleta è disposto a tutto pur di raggiungere il suo successo personale.

È qui che entra in gioco una figura fondamentale nella sua vita sportiva di tutti i giorni: l'allenatore.

"Da grandi poteri derivano grandi responsabilità" diceva lo zio di Spiderman nel famoso film. Una frase che fa riflettere e che si sposa perfettamente con la figura dell'allenatore.

Non parliamo solo di responsabilità civile o penale, ma parliamo, prima di tutto, di responsabilità di tipo morale.

Responsabilità di cui l'allenatore deve essere ben consapevole e che scaturisce da un "potere di influenza" che si ottiene nel momento esatto in cui si è rivestiti di questo ruolo.

A chi fa questo mestiere almeno una volta nella vita sarà capitato di sentirsi dire da un genitore "ascolta più te che noi", "se glielo dici tu lo fa sicuramente", "fosse così disciplinato anche a casa…"

Ecco il "grande potere" in mano ad un allenatore.

L'allenatore è educatore; è la persona a cui l'atleta si affida e di cui si fida poiché sa che sarà lui ad aiutarlo a raggiungere il suo obiettivo.

Proprio questa è la ragione per cui è inevitabile che tra atleta e allenatore si crei un legame e un'intesa di tipo anche psicologico.

Se tutto questo è vero risulta, quindi, facile comprendere, usando concetti giuridici, chi sia la parte forte e la parte debole di questo rapporto e quali siano le responsabilità laddove la mancanza di un giusto equilibrio tra autorità e fiducia incondizionata, sfoci in una forma di abuso o di violenza.

Esempio emblematico di superamento di questo confine è venuto alla ribalta mediatica con lo scandalo delle ginnaste "Farfalle" che nell'ultimo anno ha fatto molto discutere.

Si è parlato di presunti abusi psicologici, vessazioni, insulti e provocazioni subiti dalle atlete ad opera dei loro allenatori durante gli anni di allenamenti.

Comportamenti che hanno fatto urlare "allo scandalo", ma che purtroppo sono all'ordine del giorno in molte realtà sportive che, nonostante tutto, rimangono silenti.

Abusi e violenze psicologiche che nascono proprio dall'uso "malato" da parte di certi allenatori proprio di quel potere di influenza innato che si ha nei confronti degli atleti.

Noi sappiamo che nel linguaggio giuridico la violenza può essere di tanti tipi: fisica, verbale, morale, psicologica.

La violenza psicologica, in particolare, è la più insidiosa proprio perché avviene in maniera subdola, a volte addirittura all'insaputa della stessa vittima, la quale si accorge solamente dopo molto tempo di essere stata oggetto dei soprusi magari da parte di persone di sua fiducia.

Una tipologia di violenza che può portare talvolta a uno stato di totale soggezione e manipolazione.

Nel nostro ordinamento, con riferimento proprio a questi casi di abuso di potere con ricadute psicologiche, esisteva fino agli anni 80 un reato che era disciplinato dall'art. 603 c.p.

Si trattava del reato di plagio: "Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni."

Una cornice edittale, quindi, molto pesante per un reato effettivamente molto grave che, tuttavia, ad oggi è stato abrogato in ragione della sua indeterminatezza e difficoltà probatoria.

Il concetto di plagio, però, esiste ancora in psicologia, dove viene definito come "una forma di condizionamento psicologico che utilizza tecniche di suggestione e di persuasione, insieme a specifiche manovre volte a determinare anche una dipendenza fisica e materiale della vittima, con lo scopo di destrutturare la personalità del soggetto, alterare le sue capacità di pensiero critico e di scelta autonoma riducendolo in una condizione di totale schiavitù e soggezione nei confronti di un leader o di un'organizzazione plagiante."

Il venir meno di questa norma non ha di fatto creato vuoti di tutela per questi comportamenti che potranno ricadere nelle più generiche figure della violenza o dei maltrattamenti.

Va da sé che, purtroppo, episodi di "plagio" in palestre e impianti sportivi possono configurarsi tuttora ad opera di coloro che fanno un uso distorto del proprio ruolo.

Proprio questa consapevolezza ha spinto il legislatore ad intervenire attraverso la Riforma dello Sport inserendo l'obbligo per le Associazioni e le Società sportive di dotarsi di una figura il "Responsabile della tutela dei minori" con il compito di prevenire e contrastare ogni forma di abuso o violenza, garantendo al contempo l'integrità fisica e morale dei giovani atleti.

Passo sicuramente importante, che si auspica possa contrastare o prevenire certi comportamenti abusivi che rovinano la purezza di un mondo, come quello dello Sport, che dovrebbe per definizione essere uno spazio di benessere fisico e mentale per colui che lo pratica con passione e dedizione.

Avv. Giulia Solenni