La scusante ex art. 384 c.p. è applicabile al convivente more uxorio.

27.03.2022

Cassazione penale sez. un., 26/11/2020, (ud. 26/11/2020, dep. 17/03/2021), n.10381

La Legge del 20 maggio 2016 n. 76 ha fornito per la prima volta una specifica regolamentazione delle "convivenze di fatto", fenomeno sociale assai diffuso nel mondo odierno. In tale testo normativo si precisa che per conviventi di fatto si intendono: "due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile".

Con la pronuncia in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno sciolto il contrasto interpretativo relativo all'applicabilità dell'esimente di cui art. 384 c.p. anche al convivente more uxorio.

Secondo la Suprema Corte, la causa di esclusione della colpevolezza di cui all'art. 384, comma I, c.p. è applicabile analogicamente anche a chi ha commesso uno dei reati descritti in tale norma (tra cui l'autocalunnia, la falsa testimonianza e il favoreggiamento personale) per esservi stato costretto dalla necessità di salvare il convivente more uxorio da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell'onore.

Con tale sentenza, quindi, è stato risolto finalmente il contrasto interpretativo circa l'applicabilità dell'esimente prevista dall'art. 384 c.p. al convivente more uxorio.

Segnatamente, secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente la scusante in parola non si sarebbe potuta applicare al mero convivente di fatto. Ciò in virtù di due ragioni: la prima, secondo una interpretazione letterale della definizione di "prossimi congiunti" descritta nell'art. 307, comma 4, c.p., richiamato dall'art. 384 c.p., in cui non figura il convivente di fatto; la seconda fondata sul concetto civilistico di famiglia "in senso stretto", caratterizzata da stabilità e reciprocità di diritti e doveri, diversamente dalla convivenza more uxorio basata "semplicemente" sul legame affettivo.

Tuttavia, tale rigido orientamento contrasta con la più ampia concezione di famiglia che si è venuta a definire nelle recenti riforme legislative, anche sovranazionali, le quali hanno avuto conseguenze anche nel diritto penale. Si consideri ad esempio proprio la modifica apportata dal D.lgs. n. 6/2017 all'art. 307, comma 4, c.p. in cui nella definizione di "prossimi congiunti" è stato inserito anche "la parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso".

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto tale contrasto interpretativo dando una lettura "costituzionalmente orientata" della norma in commento. Il Collegio ha ritenuto che debba applicarsi nell'ordinamento interno la più ampia tutela della famiglia rappresentata dall'art. 8 Cedu,in cui, secondo la giurisprudenza europea, sono ricompresi anche quei rapporti di fatto, ossia privi di vincolo matrimoniale. Quindi, attraverso una interpretazione analogica in bonam partem in ottica di scusante soggettiva, il Supremo Giudice ha ritenuto che anche la persona chiamata a fornire indicazioni contro il convivente viva il medesimo "conflitto interiore della persona coniugata" e ciò non renderebbe pertanto punibili eventuali reati commessi dal medesimo, stante l'inesigibilità dell'osservanza del comando penale.

Pertanto, secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione: "L'art. 384, comma 1, c.p., in quanto causa di esclusione della colpevolezza, è applicabile analogicamente anche a chi abbia commesso uno dei reati ivi indicati per esservi stato costretto dalla necessità di salvare il convivente "more uxorio" da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore".

Avv. Elia Francesco Dispenza