La spiaggia contesa: l’infinito dibattito attorno alle concessioni balneari

07.02.2024

Per introdurre la questione in esame, si prendono a prestito le parole di un grande amministrativista del secolo scorso, il quale, in maniera semplice ma estremamente efficace, ha affermato: «Se un fiume cambia alveo, è pubblico. Non appena una strada viene ad esistenza, essa è bene pubblico. Se un'alluvione crea una spiaggia, ove prima era acqua, essa è subito pubblica.»[1]. 

Il dato fondamentale, perciò, dal quale partire per spiegare l'argomento, è la configurazione della spiaggia come bene pubblico, la cui gestione e cura spettano alla amministrazione pubblica oppure, per mezzo di un valido titolo concessorio, a soggetti privati, i quali divengono i custodi, dunque, del bene pubblico, in luogo dell'amministrazione.

Anzitutto, cos'è una concessione amministrativa

La concessione costituisce un provvedimento amministrativo attributivo di una posizione giuridica di vantaggio in capo al soggetto privato, il quale si vede ampliare, perciò, la sua sfera giuridica. Questo istituto viene qualificato giuridicamente anche come una concessione-contratto, dal momento che il titolo concessorio è volto all'instaurazione di un rapporto di lunga durata tra il privato e l'amministrazione, dal quale rapporto scaturiscono tutta una serie di obblighi in capo alle parti. 

Infatti, il privato ha la possibilità di impiegare il bene a fini economici, però, nel farlo, deve sempre garantire anche il perseguimento dell'interesse pubblico. Inoltre, di pari passo con l'ampliamento della sfera giuridica del privato vi è anche l'obbligo, su esso gravante, di corrispondere un canone concessorio (solitamente però irrisorio rispetto al guadagno che il privato trae dall'impiego del bene) all'amministrazione concedente e di garantire una corretta gestione del bene pubblico. 

Attraverso, nello specifico, la concessione balneare, o, per meglio dire, la concessione demaniale marittima, il privato prende in gestione una certa parte di spiaggia, per farne, ad esempio, uno stabilimento balneare, fornendo un servizio per i cittadini.

La disciplina relativa alle concessioni demaniali marittime è contenuta agli artt. 36 ss. del Codice della navigazione. 

L'art. 36, primo comma, nello specifico, recita: «L'amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l'occupazione e l'uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo.».

Attorno alla questione delle concessioni balneari è nata una discussione mediatica, dottrinale e giurisprudenziale (da ultimo arenatasi con la sentenza della Corte di Cassazione n. 8394 del 23 novembre 2023) che sembra aver raggiunto oggi un punto di equilibrio. 

La quaestio juris in esame ha avuto particolare risonanza anche perché non riguarda il solo diritto amministrativo, ma anche il diritto costituzionale ed il diritto dell'Unione europea. Infatti l'origine del dibattito risale all'emanazione della direttiva europea 2006/123/CE, la direttiva sui servizi, anche detta "direttiva Bolkestein" dal nome del commissario europeo che ne ha curato e sostenuto l'iter di approvazione. 

La direttiva sancisce la parità tra imprese e professionisti che operano nel mercato dell'Unione, garantendo loro il libero accesso imprenditoriale sull'intero territorio europeo e prevede, all'art. 12, che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri debbano applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicità dell'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. Inoltre in questi casi, l'autorizzazione deve essere rilasciata per una durata limitata adeguata e non può esservi rinnovo automatico dell'autorizzazione né possono accordarsi altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.

Fatte queste dovute premesse, iniziamo ora a rispondere a qualche domanda.

Per capire, infatti, se l'art. 12 possa applicarsi anche alle concessioni balneari dobbiamo chiederci, anzitutto, se la spiaggia sia un bene inesauribile e illimitato. La risposta è intuitiva: no

La spiaggia è una risorsa naturale limitata e come tale, quindi, soggiace alla disciplina dettata dall'art. 12 della direttiva del 2006.

La seconda domanda da porsi riguarda, allora, la modalità attraverso la quale una parte di spiaggia viene data in concessione al privato e bisogna anche chiedersi se essa rispetti i criteri impartiti dalla direttiva Bolkestein. 

La concessione, quindi, rappresenta una modalità di affidamento della gestione di un bene in capo al privato che si attua tramite una procedura di selezione tra più candidati, dotata di ampie pubblicità e partecipazione? No

Il bene viene dato in concessione semplicemente su richiesta del privato, una volta valutata la presenza o meno di tutti i requisiti necessari a garantire una corretta gestione del bene (dunque il più delle volte la decisione della P.A. è fortemente discrezionale). Non esiste, perciò, quando si parla di concessioni balneari, un previo meccanismo di scelta tra più potenziali soggetti interessati.

Questa difformità di impostazione rispetto a quanto previsto dalla direttiva europea ha scatenato diverse reazioni, con il risultato che ogni amministrazione, in quanto munita ognuna di una propria autonomia decisionale, ha interpretato diversamente il rapporto tra fonte interna e fonte europea. È vero che la P.A. presenta una sua propria autonomia decisionale, come detto, ma è anche vero che tale potere è sempre guidato ed arginato dalla norma attributiva del potere, in base al noto principio di legalità cui l'amministrazione soggiace. Quindi l'ulteriore domanda a cui bisogna trovare risposta è la seguente: qual è la norma attributiva del potere dell'Amministrazione in questo settore, quella nazionale (e, nello specifico, il Codice della Navigazione, agli articoli 36 e seguenti) oppure quella europea (la direttiva 2006/123/CE, all'art. 12)?

La fonte che ci consente di dare risposta a tale quesito è, senza dubbio, la Costituzione, che si occupa di stabilire il rapporto tra fonti interne e fonti sovranazionali agli artt. 10, 11 e 117 Cost.; ma, per il caso che ci riguarda, gli articoli rilevanti sono l'art. 11 Cost., il quale sancisce che l'Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni» e l'art. 117 Cost., che recita «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.». Quest'ultima disposizione costituzionale, in particolare, chiarisce che la norma nazionale (quindi anche l'art. 36 contenuto nel Codice della Navigazione), benché sia una fonte primaria, risente anch'essa del principio costituzionale che impone il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e questo significa che, in caso di contrasto tra la norma interna e la norma contenuta in una direttiva self-executing (nel caso di specie, l'art. 12 della direttiva 2006/123/CE), i giudici nazionali sono tenuti a disapplicare la norma interna.

E l'amministrazione cosa può fare? Deve sempre rivolgersi al giudice affinché egli disapplichi la norma interna? L'amministrazione esercita il terzo potere, quello esecutivo, secondo la teoria della separazione dei poteri di Montesquieu (potere legislativo, esecutivo, giudiziario) ed è influenzata nell'esercizio dei suoi poteri esclusivamente dal principio di legalità sancito all'art. 1 l. 241/90 e ricavabile indirettamente dall'art. 97 Cost.. Dunque l'amministrazione è tenuta al rispetto della norma UE, applicandola in luogo di quella nazionale che con essa sia in contrasto, senza la previa necessità di passare per il vaglio dell'apparato giurisdizionale. 

Questo concetto è stato espresso già nella sentenza del 22 giugno 1989 della Corte di Giustizia sul caso Fratelli Costanzo, in cui la Corte scrisse: «Qualora sussistano i presupposti occorrenti perché la direttiva possa essere fatta valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi della pubblica amministrazione, ivi compresi gli enti territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicare la direttiva stessa»[2], ed è stato ripreso dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7874/2019, quando scrisse: «la disapplicazione della norma nazionale confliggente con il diritto dell'Unione europea costituisce un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e quindi anche per l'apparato amministrativo e per i suoi funzionari, qualora sia chiamato ad applicare una norma interna contrastante con il diritto comunitario»[3].

Oggi è pacifico che l'art. 12 della direttiva debba applicarsi anche alle concessioni balneari, ma in passato non lo era ed i vari Governi succedutisi nel tempo avevano preso l'abitudine di prorogare ad libitum il termine di scadenza delle concessioni allora in corso. Questo trend è stato finalmente interrotto dal "d.d.l. concorrenza", oggi divenuto legge, la legge n. 118/2022. Tale legge ha abrogato la disposizione (contenuta nella legge n. 145/2018) che prevedeva una proroga delle concessioni fino al 2033 e l'ha sostituita con una proroga solo fino al 31 dicembre 2024 per tutti quei casi nei quali fosse oggettivamente impossibile provvedere con procedura ad evidenza pubblica entro la fine del 2023.

Per concludere, è - prima ancora che obbligatorio - ragionevole espletare una procedura ad evidenza pubblica per la scelta del soggetto che meglio sappia garantire la cura e il perseguimento di un pubblico interesse, qualora il bene affidato in gestione sia una risorsa pubblica scarsa o limitata e, dunque, preziosa. 

Nel 2020, il Sindaco di Lecce, Carlo Salvemini, per spiegare alla cittadinanza la correttezza di questa impostazione fece un paragone calzante e, dal momento che abbiamo aperto questo breve articolo con una citazione, sembra coerente chiuderlo allo stesso modo: «Se io da Sindaco concedessi l'utilizzo di un castello per fini turistici senza procedura di affidamento e senza gara, per un lunghissimo periodo, di generazione in generazione, mi troverei la procura della repubblica, la Guardia di Finanza e la Corte dei Conti all'uscio del Comune. Perché per le spiagge non devono valere le regole che giustamente bisogna rispettare per dare in concessione tutti gli altri beni demaniali?»[4].

Dott.ssa Laura Sancilio


[1] M. S. GIANNINI, Diritto pubblico dell'economia, Bologna, 1977.

[2] Corte di Giustizia, Causa 103/88, Fratelli Costanzo spa c. Comune di Milano, sent. 22 giugno 1989.

[3] Cons. Stato, sent. n. 7874 del 18 novembre 2019.

[4] L'annosa questione delle concessioni balneari è stata risolta da un sindaco, in Il Post, 11 novembre 2021, reperibile al sito: https://www.ilpost.it/2021/11/11/concessioni-spiagge-sindaco-lecce/