L’archiviazione nel processo 231: il ruolo del pubblico ministero e del procuratore generale

02.07.2025

A cura di Avv. Francesca Saveria Sofia

L'art. 58 D.Lgs. 231/2001 disciplina la procedura di archiviazione nel processo nei confronti degli enti collettivi e prevede espressamente che: "se non procede alla contestazione dell'illecito amministrativo (…), il pubblico ministero emette decreto motivato d'archiviazione degli atti, comunicandolo al procuratore generale presso la corte d'appello. Il procuratore generale può svolgere gli accertamenti indispensabili e, qualora ne ricorrano le condizioni, contesta all'ente le violazioni amministrative conseguenti al reato entro 6 mesi dalla comunicazione".

In altri termini, la norma in questione stabilisce che, qualora il Pubblico Ministero ritenga di non dover procedere alla contestazione dell'illecito amministrativo nei confronti dell'ente, debba emettere un decreto motivato di archiviazione, dandone comunicazione al Procuratore generale presso la Corte d'Appello. Quest'ultimo può sostituirsi al Pubblico Ministero, svolgere ulteriori indagini e, ricorrendone i presupposti, procedere direttamente alla contestazione dell'illecito nel termine di 6 mesi dalla comunicazione dell'archiviazione.

Le esigenze di verifica dell'operato del pubblico ministero, in relazione alla contestazione di queste violazioni, sono assicurate attraverso un meccanismo meno articolato, che prevede una comunicazione al procuratore generale.

È evidente, dunque, che il legislatore ha introdotto un procedimento "semplificato" rispetto a quella ordinario, in quanto non è previsto un controllo giurisdizionale del GIP, né la possibilità di opposizione da parte della persona offesa.

Per quanto riguarda, invece, le condizioni che legittimano l'archiviazione sono sostanzialmente analoghe a quelle applicabili nei confronti delle persone fisiche.

Tale soluzione, come evidenziato nella Relazione ministeriale di accompagnamento al decreto, trova giustificazione nella diversa natura della responsabilità dell'ente; "si tratta, infatti, di un illecito amministrativo, per il quale non sussiste l'esigenza di controllare il corretto esercizio dell'azione penale da parte del PM".