Legittimo il rigetto della richiesta di pena sostitutiva quando vi è pericolo di recidiva

10.02.2024

Cass. Pen., Sez V, 27 ottobre 2023, n. 43622 

Con la sentenza n. 43622 del 27.10.2023 la Corte di Cassazione ha affermato la legittimità del rigetto, da parte del giudice, alla richiesta di applicazione di una pena sostitutiva, qualora questa risulti inidonea ad evitare il pericolo di recidiva, tenuto conto delle peculiarità del caso di specie.

Facendo un passo indietro, il caso vedeva un soggetto, condannato in primo grado per furto aggravato, proporre appello, innanzi alla Corte d'Appello di Bologna, avverso la sentenza di primo grado, per omessa applicazione della riduzione di pena prevista per la trattazione del giudizio con rito abbreviato e con contestuale richiesta di sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità.

Il Giudice di seconde cure accoglieva il motivo d'appello relativo all'omessa applicazione della riduzione di pena, ma rigettava la richiesta di sostituzione della pena, alla luce delle novità introdotte dalla Riforma Cartabia, che ha novellato gli artt. 53 e 58 L. 689/1981, in tema di sanzioni sostitutive.

Avverso la sentenza di secondo grado, l'imputato ricorreva per Cassazione, adducendo come motivo: "inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 53 e 58 in relazione all'articolo 133 c.p.p. nonché per manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione".

La Suprema Corte motivava la propria decisione premettendo che occorre valutare in via preliminare la ratio della riforma e, se la rinnovata prospettiva della rieducazione e del reinserimento sociale, permei le nuove disposizioni al punto da relegare ad un ruolo secondario l'esigenza special preventiva anche sulla discrezionalità del giudice nell'esercizio del potere sanzionatorio.

Tanto premesso si osserva che, la Riforma Cartabia ha introdotto il nuovo art. 20-bis c.p., il quale segna il formale ingresso nell'ordinamento della categoria delle pene detentive brevi.

Prima della riforma, la durata della pena detentiva breve era pari a quella della pena che poteva essere sospesa condizionalmente, inoltre, la sospensione condizionale e la sostituzione della pena erano benefici cumulabili tra loro. Con l'entrata in vigore della riforma i due istituti possono essere applicati solo separatamente, poiché la sospensione condizionale esclude la possibilità di sostituire la pena detentiva. La ratio della riforma è evidente, ed è il voler evitare il pericolo di recidiva attraverso la finalità rieducativa e di risocializzazione a cui tendono le pene sostitutive, finalità evidentemente assenti nell'istituto della sospensione condizionale. Di fatto, la semilibertà, la detenzione domiciliare e i lavori di PU sono delle vere e proprie pene-programma che si svolgono sulla base del progetto dell'UEPE e sotto l'osservazione del giudice.

Il legislatore in tale contesto attribuisce un potere discrezionale al giudice, pienamente coerente con la ratio della riforma. Infatti, quest'ultimo, quando non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive, quando (in base ad un giudizio prognostico) risultino più idonee alla rieducazione del condannato e quando prevengono il rischio di recidiva. La pena non può essere sostituita nel caso in cui si ritenga che il condannato non rispetterà le prescrizioni imposte.

Dunque, il presupposto su cui il giudice fonda la propria decisione, al fine di applicare un'eventuale pena sostitutiva, è la valutazione della sussistenza di fondati motivi che facciano ritenere che le prescrizioni imposte non verranno rispettate dal condannato, e ciò poiché la rieducazione del condannato non può prevalere sulla neutralizzazione del pericolo di recidiva che necessita di essere soddisfatta anche durante l'esecuzione della pena.

Gli ermellini, pertanto, motivavano il rigetto del ricorso, ritenendo corretti in punto di legittimità le valutazioni operate dal giudice di merito. Ciò, anche alla luce dei numerosi precedenti penali dell'imputato, già evidenziati dalla Corte d'Appello, che avevano fatto ritenere che non potesse essere formulato un giudizio prognostico favorevole sulla condotta dello stesso. Inoltre, nel ricorso non era ben chiarito se, l'attività lavorativa svolta dall'imputato, aveva avuto inizio prima o dopo il furto oggetto del procedimento de quo, elemento che la Suprema Corte ha ritenuto potesse avere grande rilevanza ai fini della valutazione del ruolo del lavoro nelle dinamiche criminali dell'imputato. 

Dott. Domenico Ruperto