Il confine tra libertà di espressione, reati di opinione, principio di offensività e rilevanza penale del c.d. “saluto fascista”

20.03.2024

Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero è costituzionalmente garantito dall'art. 21 Cost., che tutela la libertà di espressione nella massima estensione, ricomprendendovi qualsivoglia mezzo di diffusione.

Oltre al limite del rispetto del buon costume, espressamente sancito all'ultimo comma della norma, se ne incontrano implicitamente degli altri, contenuti in alcune disposizioni di diritto penale volte a tutelare l'integrità, la dignità e l'onore del singolo. 

Tra queste, esempio tipico è rappresentato dal reato di diffamazione di cui all'art. 595 c.p., che punisce chiunque, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, in assenza del destinatario immediato dell'espressione penalmente rilevante. 

Da tale breve richiamo si comprende come la portata della libertà di manifestazione del pensiero possa e debba essere ristretta in ragione della garanzia di tutela di beni superiori, nel costante bilanciamento di interessi del nostro ordinamento.

Ciò premesso, occorre quindi chiedersi quale sia il confine tra le espressioni direttamente lesive della sfera del singolo e quelle che lo colpiscono indirettamente, in quanto facente parte della società.

In tale scenario si inseriscono i "reati di opinione", consumati mediante condotte di manifestazione del pensiero incriminate per il contenuto contrario a valori meta individuali, espressione di appartenenza ad una determinata collettività. Ad assumere rilevanza, pertanto, è proprio l'"in sé" del pensiero, lesivo di valori e sentimenti comunemente condivisi.

Come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale all'esito di un lungo iter interpretativo, nel condurre l'analisi su tale tipologia criminosa è sempre necessario tenere a mente il principio di offensività e, quindi, individuare in quella manifestazione di pensiero, oltre all'idoneità offensiva del valore meta individuale, altresì lo scaturirsi di eventi materialmente lesivi, quantomeno in termini di possibilità.

Ed è proprio sulla compatibilità con il principio di offensività e, conseguentemente, sulla natura di reati di "pericolo presunto" o di "pericolo concreto", che le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sono state chiamate a far luce. In particolare, l'ordinanza di remissione de qua ha avuto ad oggetto la rilevanza penale del c.d. "saluto fascista", in relazione ai rapporti tra l'art. 2, co. I della "Legge Mancino" (D.L. del 26 aprile 1983 convertito con modificazioni nella legge 25 giugno 1993, n. 205) e l'art. 5 della "Legge Scelba" (Legge 20 giugno 1952, n. 645).[1]

Al fine di meglio comprendere il decisum delle SS.UU. del 18 gennaio 2024 (Informazione Provvisoria n. 1/2024), in attesa della motivazione, è necessario un breve approfondimento sugli articoli di legge appena menzionati.

Invero, la L. Scelba, volendo dare attuazione alla XII disposizione transitoria finale della Costituzione, sanziona il compimento in pubbliche riunioni di manifestazioni simboliche usuali o di gesti evocativi del disciolto partito fascista. 

La L. Mancino, invece, punisce chiunque in pubbliche riunioni compia manifestazioni esteriori o ostenti emblemi o simboli propri o usuali di organizzazioni ed associazioni di cui alla L. n. 654/1975, vale a dire quelle aventi finalità di discriminazione razziale, incitamento all'odio o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Ne consegue una distinzione tra le due disposizioni, incentrata sul presupposto pericolo concreto ovvero astratto: la Legge del 1952, interpretata in senso costituzionalmente conforme, richiede un pericolo concreto di ricostituzione del distolto partito fascista, escludendo dall'area del punibile quelle condotte che non ne rappresentino neppure un atto preparatorio o prodromico. Da ciò si comprende la ristretta portata applicativa di tale disposizione, risultando complesso accertare nella pratica il concreto pericolo di ricostituzione del partito fascista all'interno di un ordinamento democratico, che nella stessa Carta Costituzionale risulta vietato. 

Al contrario, la più ampia formulazione normativa della L. Mancino, che non richiede direttamente il pericolo concreto di ricostituzione del distolto partito fascista, avendo differente finalità preventiva, consente di attrarre nella sfera del penalmente rilevante anche quelle azioni che esprimono un pericolo astratto e presunto, essendo sufficiente una manifestazione di incitazione alla violenza, nelle molteplici forme suesposte.

Le SS.UU hanno dovuto pronunciarsi proprio sulla rilevanza penale del "saluto romano", a seconda che lo si interpreti quale pericolo astratto o concreto di ricostituzione del partito fascista (e, quindi, se sia riconducibile alla previsione incriminatrice della L. Scelba o della L. Mancino), individuando il rapporto sussistente tra le anzidette leggi, chiarendo altresì se quella del 1993 possa punire anche l'ostentazione di simboli evocativi del partito fascista, pur se non facente parte direttamente di associazioni attuali che incitano all'odio ed alla discriminazione per motivi etnici, razziali e religiosi.

Anzitutto le Sezioni Unite hanno chiarito che, affinché la condotta possa assumere rilevanza penale, deve manifestare un'adesione, una condivisione, un apprezzamento per quell'associazione e per i valori che incarna, anche mediante gestualità simboliche, come appunto il "saluto romano" atteso che, sebbene si tratti di un'azione "statica", rappresenta comunque un'adesione ideologica.

Quanto al rapporto tra le due fattispecie, l'Informazione Provvisoria ha sopito il contrasto interpretativo tra la tesi della specialità e quella del concorso, aderendo a tale secondo filone.

Invero, i fautori della relazione di specialità pongono l'accento sul dato letterale delle norme, distinguendo tra la L. Scelba, che fa esclusivo riferimento al fascismo, e la L. Mancino, che ricomprende genericamente tutte le associazioni ed organizzazioni di matrice anche non fascista che incitano all'odio. Pertanto, nel caso di manifestazione del pensiero di natura fascista, costituente pericolo concreto, troverebbe applicazione la L. Scelba; viceversa, in caso di pericolo astratto, si applicherebbe la L. Mancino.

La teorica sul concorso, invece, sposata poi dalle SS.UU., non ravvisando l'esistenza dei presupposti del principio di specialità – atteso che la L. Mancino ha una funzione diversa, tesa a tutelare l'ordine pubblico in generale e non quello democratico e costituzionale – ritiene che, qualora la condotta integrante gesti o simboli fascisti sia da un lato concretamente idonea al pericolo di ricostituzione del partito fascista e, dall'altro, alla diffusione di idee fondate sull'odio, sia ammissibile un'ipotesi concorsuale tra le due discipline.

Al fine di apprezzare il complessivo iter interpretativo della Suprema Sorte occorre attendere il deposito delle motivazioni, tuttavia, già l'Informazione Provvisoria chiarisce alcuni dei profili controversi che ruotano attorno al complesso tema del principio dell'offensività, tracciando al contempo i confini di un tema che dispiega i suoi effetti anche in ambito socio-politico.

Dott.ssa Simona Ciaffone


[1] Testualmente, il quesito sottoposto alle SS.UU.: "Se la condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla "chiamata del presente" e nel c.d. "saluto romano", rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista, sia sussumibile nella fattispecie incriminatrice di cui all'art. 2 del decreto-legge 26 aprile 1983, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205 ovvero in quella prevista dall'art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645. Se i due reati possano concorrere oppure le relative norme incriminatrici siano in rapporto di concorso apparente".