La Cassazione torna sui rimedi esperibili da parte del conduttore in caso di eventi sopravvenuti che rendano impossibile svolgere l’attività nei locali commerciali

11.10.2025

Cass. civ. 16 giugno 2025, n. 16113

Massima: "In tema di contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita, l'art. 91, comma 1, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto 'Cura Italia'), assume rilievo ai fini del giudizio di imputabilità dell'inadempimento nelle fattispecie di responsabilità contrattuale, attribuendo all'impedimento derivante dal rispetto delle misure anti Covid la natura di impedimento non prevedibile né superabile con la diligenza richiesta al debitore e quindi di causa non imputabile della inesecuzione della prestazione da parte sua, liberandolo dall'obbligo di risarcimento del danno ed escludendo la legittimazione della controparte all'azione di risoluzione per inadempimento; dalla norma in questione, invece, non può farsi derivare l'esistenza di un diritto potestativo giudiziale di ottenere la riduzione della prestazione dovuta in esecuzione di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata o periodica per effetto dell'incidenza su tale rapporto delle suddette misure restrittive anti-pandemiche, atteso che, stante il principio di tipicità dei rimedi giudiziali potestativi diretti a suscitare sentenze di carattere costitutivo (art. 2908 c.c.), un potere conservativo di riduzione ad equità della prestazione va riconosciuto alla parte eccessivamente onerata soltanto nell'ipotesi di contratto a titolo gratuito (art. 1468 c.c.), mentre, al di fuori di tale ipotesi, essa parte resta legittimata all'azione di risoluzione per eccesiva onerosità sopravvenuta, spettando in tal caso alla controparte che intenda evitare lo scioglimento del rapporto contrattuale un diritto potestativo di rettifica (da esercitarsi mediante negozio giuridico unilaterale e recettizio), analogo a quello previsto in tema di contratto annullabile per errore (art. 1432 c.c.) e di contratto rescindibile (art. 1450 c.c.) e fondato sul principio di conservazione del contratto, avente ad oggetto la riduzione ad equità non della singola prestazione, ma più in generale, del contenuto del contratto (art. 1467, comma 3, c.c.) al fine di ripristinarne l'originario equilibrio (fattispecie relativa alla sussistenza del diritto alla riduzione dei canoni di locazione commerciale nel periodo di chiusura dell'attività per effetto delle misure di contenimento e contrasto dell'epidemia COVID-19)"

A cura di Avv. Michele Zabeo

La vicenda processuale da cui origina la pronuncia in commento risale al periodo del Covid e, in particolare, ha ad oggetto gli effetti sui contratti di locazione delle misure di contenimento all'epoca vigenti per contrastare la diffusione del virus. Nello specifico il locatore di un immobile locato per uso commerciale intimava lo sfratto per morosità del conduttore e, all'esito dell'udienza di convalida, pur in assenza dell'opposizione del conduttore ma dandosi atto che, nel frattempo, l'immobile era stato liberato, il Giudice adito provvedeva a mutare il rito speciale in ordinario. Riteneva infatti di non potersi dar luogo alla convalida dello sfratto né emettersi il richiesto decreto ingiuntivo per i canoni non corrisposti prevedendo, invece, un termine per depositare le memorie di rito.

Il locatore con la sua memoria chiedeva, oltre alle domande già formulate, che gli venisse riconosciuto il risarcimento dei danni patiti a causa del ripristino della vetrina sostituita abusivamente dal conduttore. Quest'ultimo, invece, depositava una memoria con cui domandava la riduzione del canone pattuito del 50% a causa delle limitazioni imposte dal Governo e, dunque, dell'impossibilità di svolgere attività commerciale nel locale oggetto del contratto.

Il Tribunale di Torino condannava il conduttore al pagamento di quanto dovuto a titolo di canoni non versati e di risarcimento del danno come richiesto dal ricorrente. Il secondo grado di giudizio, incardinato dal conduttore, veniva invece dichiarato inammissibile.

Agiva, pertanto, in Cassazione il conduttore lamentando:

  • La violazione degli artt. 665 e 667 c.p.c. per aver il locatore formulato una domanda nuova a seguito del mutamento del rito;
  • La violazione dell'art. 5 d.lgs 28/2010 per non essere stata accolta l'eccezione di improcedibilità per mancata instaurazione del procedimento di mediazione;
  • La violazione dell'art. 115 c.p.c. per aver il Tribunale espunto dal thema probandum la circostanza che il conduttore svolgeva attività soggetta a chiusura ex D.L. 18/2020;
  • La violazione e falsa applicazione degli artt. 1374, 1375, 1460 e 1464.

Il primo motivo veniva dichiarato inammissibile dalla Corte la quale si richiamava ad un orientamento recente della medesima Corte che, superandone uno precedente, riconosceva nelle memorie successive al mutamento del rito il momento di cristallizzazione del thema decidendum e, dunque, legittimando la formulazione di domande nuove diverse dalle originarie con tali atti.

Si dichiarava, altresì, inammissibile il secondo, il terzo ed il quarto motivo pur addentrandosi in un'analisi nel merito particolarmente interessante dell'ultimo il quale, in ogni caso, sostiene il Giudice di Legittimità sarebbe stato dichiarato infondato.

Analizzando, dunque, il percorso interpretativo dei Giudici di legittimità si evince che essi partano dalla ricostruzione delle ragioni a sostegno della domanda del conduttore con cui si era chiesta la riduzione dei canoni di locazione. Tale domanda si fondava sul richiamo all'art. 91 del D.L. 18/2020, che testualmente prevede: "…il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti". Si fondava la pretesa altresì sugli artt. 1374 e 1375 c.c.in tema di integrazione del contratto in base a legge, usi o equità e di esecuzione di esso secondo buona fede.

Ricostruito in tal maniera le ragioni addotte dal ricorrente, ritiene la Cassazione che la domanda si basi sulla (infondata) pretesa esistenza di un rimedio giudiziale potestativo alternativo alla risoluzione per sopravvenuta eccessiva onerosità del contratto dovuta a fatti straordinari e imprevedibili, rimedio il quale, contrariamente alla risoluzione, avrebbe permesso di mantenere in essere il rapporto sinallagmatico, riequilibrandolo.

Tale ricostruzione è, ad opinione della Cassazione, del tutto infondata e ciò in quanto, da un lato il richiamo al cosiddetto decreto "Cura Italia" (e dell'anzidetto relativo articolo), non è pertinente: tale disposizione, infatti, lungi dal riconoscere un rimedio speciale al conduttore si limita solo a sollevare quest'ultimo dalla responsabilità conseguente all'inadempimento delle obbligazioni assunte in ragione delle misure adottate a livello nazionale per contrastare o limitare la diffusione del Covid, misure che hanno inevitabilmente inciso sulle attività commerciali. Dunque da tale norma non si può far discendere la creazione di un rimedio ulteriore a favore del conduttore, ma con essa si riconosce solo una sua liberazione dall'eventuale obbligo risarcitorio in caso di inadempimento.

Non conferenti sono nemmeno i richiami alla buona fede contrattuale o all'integrazione ex art. 1374 c.c..

In termini generali la Cassazione ritiene che, nell'ambito di un rapporto contrattuale di durata sinallagmatico, laddove vi siano eventi straordinari e imprevedibili che incidano sull'equilibrio prestazionale alterandolo, l'unico rimedio possibile resta la risoluzione per eccessiva onerosità. Viceversa la riduzione ad equità ex art. 1467 c.c., norma anche questa richiamata dal conduttore, può essere attivato dalla Parte solo nel caso in cui la controparte domandi la risoluzione contrattuale e, dunque, tale eccezione serva al solo fine di evitare lo scioglimento del vincolo contrattuale. In tal senso, dunque, tale rimedio serve sia a garantire la conservazione del rapporto, sia ad un suo bilanciamento.

Si giunge così ad enunciarsi il seguente principio di diritto: "In tema di contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita, l'art. 91, comma 1, del D.L. 17 marzo 2020, n.18 (c.d. decreto "Cura Italia"), assume rilievo ai fini del giudizio di imputabilità dell'inadempimento nelle fattispecie di responsabilità contrattuale, attribuendo all'impedimento derivante dal rispetto delle misure anti-Covid la natura di impedimento non prevedibile né superabile con la diligenza richiesta al debitore e quindi di causa non imputabile della inesecuzione della prestazione da parte sua, liberandolo dall'obbligo di risarcimento del danno ed escludendo la legittimazione della controparte all'azione di risoluzione per inadempimento; dalla norma in questione, invece, non può farsi derivare l'esistenza di un diritto potestativo giudiziale di ottenere la riduzione della prestazione dovuta in esecuzione di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata o periodica per effetto dell'incidenza su tale rapporto delle suddette misure restrittive anti-pandemiche, atteso che, stante il principio di tipicità dei rimedi giudiziali potestativi diretti a suscitare sentenze di carattere costitutivo (art. 2908 cod. civ.), un potere conservativo di riduzione ad equità della prestazione va riconosciuto alla parte eccessivamente onerata soltanto nell'ipotesi di contratto a titolo gratuito (art. 1468 cod. civ.), mentre, al di fuori di tale ipotesi, essa parte resta legittimata all'azione di risoluzione per eccesiva onerosità sopravvenuta, spettando in tal caso alla controparte che intenda evitare lo scioglimento del rapporto contrattuale un diritto potestativo di rettifica (da esercitarsi mediante negozio giuridico unilaterale e recettizio), analogo a quello previsto in tema di contratto annullabile per errore (art.1432 cod. civ.) e di contratto rescindibile (art. 1450 cod. civ.) e fondato sul principio di conservazione del contratto, avente ad oggetto la riduzione ad equità non della singola prestazione, ma più in generale, del contenuto del contratto (art. 1467, terzo comma, cod. civ.) al fine di ripristinarne l'originario equilibrio".

La recentissima pronuncia oggetto del presente contributo si riferisce sicuramente ad un periodo emergenziale pieno di problematiche, non solamente ma anche giuridiche, che ci appare sicuramente molto lontano.

Essa però ha una sua rilevanza in punto di diritto offrendo, in via generale, una panoramica sui rimedi esperibili nei contratti di durata a fronte del sopravvenire di fatti straordinari e imprevedibili che incidono sull'equilibrio delle prestazioni poste a carico delle Parti.