Privo di fondamento normativo il distinguo tra vittima di maltrattamenti diretti e assistiti

03.05.2025

Cass. pen.,sez VI, 17 gennaio 2025 n. 2079

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A cura di Dott.ssa Lisa Martini

Con la sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione coglie l'occasione per rammentare come "il delitto di maltrattamenti è configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all'Interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l'abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi".

Segnatamente, chiamata a pronunciarsi in tema di violenza assistita, la Suprema Corte, confermando l'ordinanza del Tribunale di Firenze che aveva rigettato la richiesta di riesame proposta dall'indagato, ha ritenuto legittimo il provvedimento cautelare disposto dal Giudice per le indagini preliminari di Prato, il quale aveva applicato al soggetto la misura coercitiva del divieto di avvicinamento alla di lui moglie e figlia minore, in quanto ritenuto gravemente indiziato del delitto di cui all'art. 572, primo e secondo comma c.p.

Il delitto di maltrattamenti previsto dalla predetta disposizione, inserito tra i reati contro l'assistenza familiare, punisce le condotte reiterate nel tempo lesive dell'integrità fisica e morale, poste in essere nei confronti di un familiare, di un convivente o di un soggetto sottoposto all'autorità o affidato all'agente.

Nel caso in esame, l'indagato era accusato di aver perpetrato, dal 2006/2007 al 21 marzo 2024, una serie di maltrattamenti consistenti in ingiurie, minacce e aggressioni fisiche nei confronti della moglie, sovente davanti agli occhi della figlia minore.

La difesa dell'indagato lamentava, con ricorso per Cassazione, vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine ai presupposti di applicabilità della misura alla figlia minorenne.

Il difensore, infatti, sottolineava come il GIP, così come il Tribunale del riesame, pur ritenendo la minore episodicamente vittima dei maltrattamenti, ritenevano doversi applicare la medesima misura coercitiva sia a tutela della moglie che della figlia, nonostante la seconda fosse stata vittima solo di violenze c.d. assistite.

Nel rigettare il ricorso proposto dalla difesa dell'indagato, il Supremo Consesso ha sottolineato che nella disciplina vigente non vi è differenza alcuna tra vittima dei maltrattamenti diretti e assistiti.

Difatti, la novella introdotta con la L. 19 luglio 2019, n. 69 (c.d. Codice Rosso), nell'attribuire rilevanza ai minori c.d. "vittime indirette" nei casi di violenza assistita, ha calato l'ipotesi dei "maltrattamenti assistiti" nell'art. 572 c.p., introducendo un ultimo comma, a mente del quale "il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa del reato", ed innestando, anzi, nel corpo della fattispecie un'ipotesi aggravata che dispone un consistente aumento di pena "se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore" (art. 572, comma 2, c.p.).

L'elaborazione di tale figura di reato è stata il punto d'approdo di un'evoluzione giurisprudenziale basata sul presupposto che l'oggetto giuridico della tutela penale apprestata dall'art. 572 c.p. non sia unicamente legato alla protezione della famiglia come istituzione, ma si estenda alla salvaguardia dell'incolumità fisica e psichica dei suoi membri, nonché alla tutela del loro sviluppo armonico nell'ambito familiare (Cass. pen., sez. VI, 24 novembre 2011, n. 24575).

Sulla base di tali presupposti e sul rilievo dei consolidati esiti degli studi scientifici concernenti gli effetti negativi sullo sviluppo psichico del minore costretto a vivere in una famiglia in cui si consumino dinamiche di maltrattamento, si è affermato che la condotta di colui che compia atti di violenza fisica o psicologica contro la convivente integra il delitto di maltrattamenti anche nei confronti dei figli che si trovano a subire un clima familiare contrassegnato dallo stato di sofferenza e umiliazione di una delle figure genitoriali. Ciò a cui assiste il minore nelle quattro mura domestiche è, difatti, maggiormente traumatico rispetto a quanto lo stesso potrebbe assistere per strada o in un ambiente anonimo, in quanto la casa ha un valore di intimità, di quotidianità e luogo di legami affettivi.

La giurisprudenza italiana ha progressivamente riconosciuto la gravità del fenomeno della c.d. violenza assistita, allineandosi alla pluralità degli strumenti normativi internazionali e dell'Unione Europea, nonché agli artt. 30 e 31 Cost., i quali pongono l'accento sulla protezione dell'infanzia e sull'interesse superiore del minore.

Nel caso oggetto della sentenza in esame, la minore di appena cinque anni, pur non essendo costantemente vittima diretta di atti di violenza, aveva ripetutamente assistito a gravi episodi di maltrattamenti perpetrati dal padre ai danni della madre. Tra questi rientravano il lancio di sigarette, percosse, umiliazioni e reiterate aggressioni.

Tale contesto ha indotto il giudicante a ravvisare la sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia anche nei confronti della minore, in considerazione dell'incidenza pregiudizievole che tali condotte hanno avuto sulla di lei integrità psico-emotiva, confermando, pertanto, il divieto di avvicinamento e di comunicazione tra l'indagato e la stessa.

Fonti:

  • Cassazione penale, Sez. VI, 17 gennaio 2025 (ud. 2 ottobre 2024), n. 2079, Presidente Fidelbo, Relatore D'Arcangelo;
  • Cassazione penale, Sez. VI, 20 giugno 2012 (ud. 24 novembre 2011), n. 24575, Presidente Serpico;
  • G. Pavich, Il delitto di maltrattamenti – dalla tutela della famiglia la tutela della personalità, Giuffrè Editore, Milano, 2012;
  • www.njus.it