I messaggi di WhatsApp non contestati come prova nel processo penale

29.09.2023

Cass. pen., sez. VI, 21 settembre 2023, n. 38678

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, affronta nuovamente una questione processuale già precedentemente esaminata dalla giurisprudenza di legittimità: la possibilità di utilizzare e acquisire specifiche prove documentali generate dalle moderne tecnologie, nella specie i messaggi di WhatsApp.

Nel caso specifico, i giudici si concentrano su un caso in cui la Corte d'appello aveva assolto l'imputato dall'accusa di maltrattamenti in famiglia disattendendo la tesi della parte civile, la quale sosteneva che i giudici d'appello avevano erroneamente interpretato in modo favorevole all'imputato il contenuto dei messaggi di WhatsApp tra lui e la presunta vittima, basando su questi ultimi il ragionevole dubbio circa l'effettiva condotta maltrattante.

Il punto centrale sostenuto dalla difesa della parte civile riguardava non tanto la valutazione sul contenuto dei messaggi, quanto la loro acquisizione impropria nel processo.

I messaggi, infatti, erano stati prodotti solo in appello dalla difesa dell'imputato poiché, nel corso del primo grado, non erano stati recuperati.

Inoltre, a giudizio della parte civile, la semplice stampa dei messaggi non poteva avere valore probatorio a meno che non fosse dimostrata la loro origine dal dispositivo telefonico da cui erano stati estratti, seguendo le linee guida dell'ISO/IEC 27037.

La Cassazione respingendo tali argomentazioni ha sottolineato che la decisione di acquisire o meno il supporto telematico o figurativo contenente la registrazione delle conversazioni WhatsApp deve essere basata sulle circostanze specifiche del caso.

Nel caso in questione, la produzione documentale contenente i messaggi WhatsApp era stata richiesta dalla difesa dell'imputato effettivamente durante la fase di secondo grado, ma la parte civile non aveva opposto obiezioni alla loro produzione, richiedendo solo una perizia per verificare la provenienza delle conversazioni.

In sostanza, quindi, non c'era stata contestazione circa il contenuto delle conversazioni in sé, né sulla loro rilevanza ai fini dell'assoluzione.

Tale pronuncia si basa su principi consolidati della giurisprudenza di legittimità, che stabiliscono che la valutazione dell'utilità della trascrizione delle conversazioni WhatsApp deve tenere conto della credibilità della persona che le ha fatte e della affidabilità delle sue dichiarazioni accusatorie.

In conclusione, la decisione della Cassazione è in linea con la giurisprudenza precedente e conferma che, quando non ci sono contestazioni significative riguardo all'acquisizione di prove digitali e il giudice ha motivato la loro necessità, tali prove possono essere utilizzate in tribunale.

Avv. Giulia Solenni