La regolamentazione penale del Metaverso: fanta-diritto o reale necessità?

01.07.2022

Nel 1992, Neal Stephenson scrisse un romanzo "cyberpunk", intitolato Snow crash, in cui veniva utilizzato per la prima volta il termine Metaverso. Stephenson, nel suo libro, teorizzava questo spazio tridimensionale all'interno del quale persone fisiche potevano muoversi, condividere esperienze ed interagire con altri utenti attraverso il proprio avatar e mediante l'utilizzo della rete internet.

Oggi, a distanza di trent'anni, il Metaverso non è più il frutto fantastico di una mente artistica, ma la realtà e si presenta ai possibili fruitori come un mondo virtuale simulato che utilizza il potere dei social media, della realtà aumentata (AR), della realtà virtuale (VR) e della tecnologia blockchain, al fine di creare uno spazio online interconnesso che imita le esperienze vivibili nel mondo reale.

Sono moltissime le aziende che stanno spostando - o hanno già spostato - una porzione del proprio business nel Metaverso e ben più numerose le persone che iniziano a muoversi all'interno dello stesso e ad usufruire dei servizi economici, di svago e di intrattenimento offerti.

Ma il flusso di denaro e di persone, oltre a catalizzare l'attenzione dei protagonisti del mercato economico, porta con sé l'ennesima sfida per il mondo giuridico (quando ancora la legislazione arranca a tenere il passo delle nuove tecnologie, ecco che un nuovo mondo virtuale bussa alla porta): come relazionarsi ed interfacciarsi con le condotte tenute in un universo non fisico?

In particolare, lo scorso marzo una donna ha denunciato di essere stata vittima di una violenza sessuale di gruppo da parte di altri utenti di Horizon Worlds (piattaforma di Metaverso di Meta). Questo episodio impone, dunque, una riflessione sul rapporto - se è possibile - tra il Metaverso e il diritto penale.

È proprio con il concetto stesso di "virtuale", dell'essere "meta-" e cioè "oltre, dopo" che bisogna fare i conti. Con qualcosa, insomma, che avviene in uno spazio immateriale e che vorremmo perseguire con un diritto penale che si fonda, invece, sul principio di materialità del reato: nessuna offesa, per quanto grave, può essere riconosciuta come penalmente rilevante senza una lesione (o una tentata lesione) al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice.

Ciò che rileva, nel nostro sistema penale, è il comportamento umano che si estrinseca nel mondo esteriore (fatto materiale)e che è suscettibile di percezione sensoria (nullum crimen sine actione): nessuno può essere punito per una semplice intenzione o idea, se poi tali pensieri non vengono esternalizzati in un'azione concreta. E, d'altronde, la nostra Costituzione parla espressamente di "fatto commesso" (art. 25), implicitamente riferendosi ad un mutamento fisico e materiale della realtà.

Del tutto evidente è, dunque, il problema che si pone davanti agli studiosi del diritto e del Legislatore: con l'attuale paradigma del diritto penale e i canoni di materialità e offensività a fondare l'attribuzione della responsabilità penale, come rispondere a tutte quelle condotte che, se tenute nel mondo reale, integrerebbero delle fattispecie di reato?

I meno coraggiosi (o fantasiosi) affermano che l'avatar altro non sia che la longa manus della persona fisica e che, come tale, quest'ultimo debba rispondere della condotta della sua proiezione virtuale. Nulla quaestio sul fatto che il proprietario dell'avatar debba essere penalmente responsabile per le proprie "azioni" compiute nel Metaverso, ma ciò non risolve il problema alla radice: perché possa essere attribuità una responsabilità penale e, ancor prima, perché si possa configurare una fattispecie di reato, la legge richiede la commissione di un fatto materiale.

Ci si potrebbe chiedere, allora, come mai nessun interrogativo di tal specie è stato posto con l'affacciarsi dei videogiochi online e come mai nessuno si sia mai sognato di ipotizzare una responsabilità penale in capo al giocatore che, all'interno del videogioco, ammazzi un altro giocatore. Le risposte sono molteplici, alcune più giuridiche e alcune che, invece, si fondano di teorie etiche e morali.

In breve: posto il principio di materialità anzidetto, il personaggio del gioco online non rappresenta la proiezione virtuale del giocatore. L'avatar del Metaverso, invece, oltre ad essere collegato direttamente ai dati personali dell'individuo fisico (codice fiscale, contro corrente, etc.), potenzialmente ne arriverà a rappresentare l'alter ego in tutto e per tutto. Io soggetto fisico sono reale ed esisto nel mondo materiale come lo sono nel mondo virtuale.

Ebbene, se questa è la direzione, non possono esserci dubbi sulla necessità di rinvenire delle soluzioni che possano rispondere a quelle condotte di reato che certamente si verificheranno - o si sono già verificate - nel Metaverso.

Sicuramente, l'avvento del Metaverso porta numerosi interrogativi sui principi fondamentali del diritto penale e del suo rapporto con l'essere umano, necessitando di un'indagine approfondita del requisito della colpevolezza e delle funzioni della pena.

A fronte di una impossibilità, ad oggi, di attribuire una responsabilità diretta all'avatar o all'essere umano dietro all'avatar senza snaturare il diritto penale tradizionale, l'unica soluzione adottabile in modo celere sembra essere affidarsi alle fattispecie del diritto civile, garantendo la tutela della vittima attraverso la responsabilità extracontrattuale.

Abbracciare soluzioni di diritto civile, che ad oggi rappresentano le uniche realizzabili, può essere certamente un punto di partenza, ma riteniamo che ci sia il bisogno trovare anche delle risposte di diritto penale, sul lungo periodo.

Bisognerebbe compiere un esercizio mentale per fuoriuscire dagli schemi fortemente antropocentrici in cui è architettato ogni ordinamento legale moderno e, il paradosso, consisterebbe nell'allontanamento da tali strutture per riuscire a garantire la tutela dell'essere umano.

D'altronde, le nuove tecnologie in generale e il Metaverso in particolare, rappresentano un'opportunità per il giurista di confrontarsi con degli scenari nuovi e di testare l'efficacia degli istituti fondamentali e delle categorie tradizionali che, ancora oggi, corrispondono alla parte sostanziale del sistema e del vocabolario giuridico.

Ciò che si può affermare con certezza è che lo sviluppo tecnologico condiziona inevitabilmente la validità delle norme giuridiche, mettendone in discussione l'efficacia e l'idoneità a rispondere alla ratio per la quale furono pensate in relazione a tali nuove entità.

Si insinua dunque il dubbio che sia necessario ripensare al quadro normativo vigente, un nuovo framework che sappia accogliere la realtà virtuale del Metaverso e disciplinarlo nel modo più efficace per garantire la tutela dell'essere umano.

Dott.ssa Alice Lambicchi