Negozio giuridico ed autonomia contrattuale

17.04.2023

Il negozio giuridico - diversamente da quanto accade per il contratto, che nel nostro ordinamento è oggetto di un'esplicita disciplina – non trova espressa regolamentazione all'interno del Codice Civile del 1942, ma si origina da un'elaborazione di tipo dottrinale. 

Il nostro legislatore, infatti, ha avuto come intento quello di seguire le orme del Codice francese, non recependo le teorie tedesche che sono approdate nell'espressa regolamentazione dell'istituto de quo all'interno del BGB.

In particolare, tale scelta è stata elaborata in un contesto in cui si avvertiva la necessità di una maggiore certezza nelle relazioni interpersonali, sfociata nella volontà sia di dare rilevanza al dichiarato sul voluto, sia di concettualizzare e disciplinare tutte quelle situazioni che assumevano un rilievo sul piano patrimoniale.

In origine, dunque, sul concetto di negozio giuridico, vennero elaborate due tesi: la prima c.d. volontaristica, in cui la volontà del soggetto, considerata nella sua totalità, assumeva un ruolo apicale, finalizzata, altresì, al raggiungimento di uno scopo che era anelato dalle parti e che trovava come unico limite quello della c.d. triade, costituita dalle norme imperative, dall'ordine pubblico e dal buon costume. Centrale era, quindi, l'analisi circa le fattispecie di violenza, dolo, errore ed incapacità.

Successivamente, si affermarono le c.d. tesi dichiarazioniste in cui ad emergere era il predominio non della volontà, ma del dichiarato sul voluto, di ciò che veniva manifestato all'esterno. 

Quest'ultima teoria era stata elaborata in costanza della necessità di attribuire un ruolo centrale alle esternazioni ed al valore che queste assumevano all'interno delle relazioni interpersonali. Ciò che si tendeva a perseguire, infatti, era una maggiore tutela e stabilità ai terzi che agivano in buona fede.

Le tesi di cui sopra, nonostante taluni ritengano che abbiano perso di valore, ricoprono, al contrario, un ruolo centrale nel panorama dell'autonomia contrattuale. Parte della dottrina, proprio con l'intento di rimarcare l'attualità della questione, è arrivata ad affermare che nel disposto dell'art. 1324 c.c. il termine "atto" venga inteso come vero e proprio sinonimo di "negozio giuridico".

Pacifico è che l'elaborazione di questo istituto e delle relative teorie si sia posto come strumentale alla creazione codicistica del contratto. Infatti, se prima, nell'area del negozio venivano inglobate una moltitudine eterogenea di fattispecie, oggi al contratto – caratterizzato dalla patrimonialità – si riferiscono un insieme di situazioni omogenee.

Ciò considerato, dalle fattispecie contrattuali, identificabili in quelle che sono caratterizzate da un "rapporto giuridico patrimoniale", si dissociano tutte quelle situazioni in cui tale requisito non esiste. Dunque, accanto a questa disciplina vi sarà la categoria dei negozi giuridici volti a regolamentare i rapporti familiari, come il matrimonio.

Dopo aver trattato delle origini delle teorie, pare opportuno analizzare le ripercussioni che queste hanno avuto sul contratto e sull'ampia sfera dell'autonomia contrattuale.

L'autonomia contrattuale si riferisce al potere dei singoli consociati di autoregolamentare, in osservanza dei limiti e delle norme, i propri interessi; ciò vale a dire che le parti hanno il diritto di scegliere il "come" ed il "se" concludere un contratto. Qui allora si impone la necessità di individuare i rapporti che intercorrono tra autonomia ed ordinamento, quindi, tra cittadini e Stato, nonché il soggetto da cui gli effetti giuridici si producono. A tal proposito, la dottrina ha elaborato una serie di tesi, quella della pluralità degli ordinamenti giuridici, quella della costruzione per gradi, nonché quella precettiva.

Nella prima il contratto è considerato come un ordinamento a sé stante che si origina dalla volontà dei privati affermandosi su un piano pregiuridico e sociale, pur arrestandosi davanti all'ordinamento giuridico in caso di applicazione di una fattispecie sanzionatoria.

La seconda, invece, fa leva sulla concezione secondo cui l'ordinamento è caratterizzato da gradoni al cui vertice si trova la Costituzione, ad un livello subordinato vi sono le norme ordinarie ed ancora sotto gli atti amministrativi. Il contratto, quindi, si porrebbe come una regolamentazione delle volontà dei singoli che però cederebbe in costanza delle regole di rango superiore. Opposta è invece la teoria che individua il contratto come un contenitore, il quale una volta che abbia perseguito il suo sviluppo entrerebbe a far parte del dominio dello Stato.

Vi è, infine, la teoria precettiva la quale individua nel negozio giuridico una mera fattispecie ed attribuisce allo stesso la creazione degli effetti. Ciò che qui si verifica è l'emergere di un binomio: gli effetti del contratto saranno frutto dell'attività ordinamentale, mentre alle parti private spetta il compito di fissare la regolamentazione dei rapporti.

Fatto un breve cenno alle varie teorie, è opportuno individuare le radici ed i limiti dell'autonomia contrattuale. Partendo dal pacifico presupposto che l'autonomia costituisca un principio generale del diritto privato, si è tentato, con non poche difficoltà e senza rinvenire una soluzione univoca, di individuarne il fondamento.

A tal proposito, nel susseguirsi delle diverse opinioni c'è chi ha inizialmente sostenuto che la nascita dell'autonomia contrattuale debba essere ricondotta all'art. 2 Cost., intesa nel senso di consentire ai privati di manifestare e sviluppare la propria personalità. Tuttavia, tale esplicitazione che è prettamente di contenuto economico, secondo altra parte della dottrina, trova invece origine nell'art. 41 Cost. che tutelando l'iniziativa e l'attività economica sarebbe più idonea a proteggere la libertà contrattuale. Diversamente, c'è chi sostiene che il fondamento debba individuarsi in una valutazione più specifica, effettuata caso per caso; così se dovessimo rinvenirlo in materia di lavoro potremmo far riferimento agli artt. 1 e 35 Cost. o, laddove vi fosse la necessità di individuarlo in tema di salute lo si potrebbe identificare nei disposti degli artt. 2, 13 e 32 Cost. o ancora, nelle materie di diritto familiare sarebbe riconducibile agli artt. 2, 29 e 30 Cost..

Centrale in materia di autonomia contrattuale, come sopra accennato, è l'area delle limitazioni che questa subisce. Primo tra tutti è il richiamo alla c.d. triade esterna che si impone a prescindere dalla volontà delle parti. 

La stessa stabilisce che la causa del contratto ex art. 1343 c.c., non possa essere contraria a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume. 

La norma imperativa, tutelante un interesse generale non può essere collocata in una posizione di pericolo dalle parti; infatti, laddove ciò si verificasse il contratto sarebbe nullo. Per quanto riguarda, invece, l'ordine pubblico ed il buon costume, si deve far riferimento al fatto che i due concetti attengano a piani differenti; il primo all'ordinamento giuridico, mentre il secondo al piano morale.

In conclusione, possiamo affermare come l'autonomia contrattuale rivesta un ruolo centrale all'interno del nostro ordinamento dove le ipotesi di autoregolamentazione dei propri interessi permettono alle parti di disciplinare meglio i rapporti interpersonali. Tuttavia, se è rinvenibile uno slancio in tal senso è pur vero che il legislatore, nonostante abbia voluto fornire un'importante tutela a tali ipotesi, ha sentito la necessità di intervenire al fine di proteggere ed evitare qualsiasi tipo di lesione nei confronti di interessi superindividuali.

Dott.ssa Lucrezia Menotti