Occupazione dei terreni per finalità di edilizia residenziale – reinterpretazione ai sensi dell’art. 1 Protocollo addizionale CEDU

25.02.2023

Cass. Civ., sez. I, n. 17017 del 2022 

Con l'ordinanza n. 17017/2022 la Corte di Cassazione torna a trattare dell'occupazione di terreni per finalità di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata e convenzionata, anche alla luce dei principi enunciati dalla Corte EDU sull'art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione[1].

Fatti di causa

La questione che giungeva al vaglio della Corte di Cassazione vedeva come protagonista un soggetto privato, proprietario di alcuni terreni, che gli erano stati occupati nel 1985 dal Comune, allo scopo di realizzare edilizia economica e popolare. La costruzione dell'opera pubblica veniva poi affidata ad una Cooperativa. La domanda attorea verteva sulla restituzione dei terreni in questione basando la propria richiesta sul difetto della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, chiedendo la restituzione del bene immobile ed il risarcimento del danno. Esperiti i primi due gradi di giudizio, il ricorrente propone ricorso in Cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti del Comune e della Cooperativa. La Corte di Cassazione accoglie il secondo ed il termo motivo del ricorso.

Motivi del ricorso

Con il secondo motivo l'attore lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell'art. 3, co. 1, legge n. 458/1988, essendo inapplicabile tale disposizione in assenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità. Con il terzo motivo si contesta l'omesso esame, ex art. 360 n. 5 c.p.c., di fatto decisivo in merito al rigetto della domanda restitutoria pur in mancanza di una valida dichiarazione di pubblica utilità.

La Corte di Cassazione nel motivare la fondatezza dei motivi secondo e terzo osserva come, prima della sentenza a Sezioni Unite del 2015[2], la giurisprudenza di legittimità verteva sull'affermazione dell'ammissibilità della tutela restitutoria nell'ipotesi in cui l'attività di trasformazione del suolo privato non fosse riconducibile a nessun fine di pubblico interesse legalmente dichiarato (c.d. occupazione usurpativa). Tutto ciò considerato anche in relazione agli interventi astrattamente qualificati da finalità di edilizia residenziale pubblica, dato che la legge n. 458/1988 esclude la restituzione degli immobili per tal fine utilizzati. Questa normativa deve essere interpretata nel senso che l'operatività dell'esclusione resta subordinata alla preventiva esistenza di una dichiarazione di pubblica utilità valida ed efficace al momento della costruzione dell'immobile, introducendo in questo modo uno specifico vincolo di scopo che è da escludere in assenza della dichiarazione di pubblica utilità.

L'art. 3 della legge n. 458/1988, abrogato dal DPR n. 327/2001, ma ancora in vigore, ai sensi dell'art. 57 T.U.E., per fattispecie anteriori all'entrata in vigore del T.U.E., prevedeva che il proprietario del terreno, utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, avesse diritto al risarcimento del danno causato "dal provvedimento espropriativo dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato, con esclusione della retrocessione del bene". La norma in questione posta al vaglio della Corte Costituzionale è stata estesa anche all'ipotesi di mancanza del provvedimento espropriativo. A seguito dell'intervento delle Sezioni Unite viene eliminata ogni distinzione tra occupazione acquisitiva ed occupazione usurpativa.

La Corte di Cassazione richiama l'attenzione sulla sentenza n. 22929/2017, ove viene chiarito che "in materia di espropriazione per pubblica utilità, la necessità di interpretare il diritto interno in conformità con il principio enunciato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo cui l'espropriazione deve sempre avvenire in "buona e debita forma", comporta che l'illecito spossessamento del privato da parte della P.A. e l'irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un 'opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all'acquisto dell'area da parte dell'Amministrazione, sicché il privato ha diritto a chiederne la restituzione, salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno per equivalente». La Corte vuole sottolineare come l'illecito a carattere permanente, sia nella occupazione appropriativa sia nella occupazione usurpativa è idonea a comportare l'acquisizione autoritativa alla mano pubblica del bene occupato, con cessazione dell'illecito soltanto per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell'occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente.

La fattispecie in esame.

Nella questione al vaglio della Corte di Cassazione i giudici evidenziano come in primo grado si fosse accertato una occupazione usurpativa, per quanto riguardi i terreni oggetto di causa, da parte del Comune. Non era possibile, stabilisce il giudice di prime cure, rinvenire una valida dichiarazione di pubblica utilità dell'opera in quanto la realizzazione di edifici di edilizia economica e popolare nei terreni in oggetto era avvenuta in assenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità. Successivamente era intervenuto il Comune che, con l'emanazione di un decreto nel 1999, prendeva atto che l'ente locale certificava l'avvenuta acquisizione al patrimonio comunale dei fondi occupati dalla Cooperativa per effetto di accessione invertita ed irreversibile trasformazione determinata dall'esecuzione di quegli interventi. Il Tribunale aveva rilevato l'intervenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità costituita dal decreto di occupazione d'urgenza, in mancanza di un'effettiva espropriazione entro i termini stabiliti e di qualsivoglia attività edificatoria sulle aree oggetto di occupazione d'urgenza.

Il Comune contestava in appello le statuizioni di primo grado deducendo che la fattispecie doveva essere ricostruita come «occupazione appropriativa», dal momento che il procedimento aveva preso «avvio dalla approvazione del piano di zona di cui alla del. CC 885/C del 19/12/1979 nel quale era implicita la dichiarazione eli pubblica utilità dell'opera», il che giustificava anche la successiva determina sindacale del 1999, di acquisizione dell'area al patrimonio comunale. La Corte d'appello, richiamandosi al contenuto della pronuncia delle Sezioni Unite n. 735/2015 non ha preso posizione sulla questione, ritenendo assorbente il fatto che non assumeva più rilievo la distinzione tra occupazione usurpativa e occupazione appropriativa e che nella specie vi era stata la realizzazione del programma di edilizia residenziale pubblica, con operatività dell'art.3 della legge n. 458/1988, spettando al privato il solo risarcimento del danno.

Ora, ai sensi del l comma dell'art. 3 della legge n. 458/1988, l'utilizzazione di un'area per edilizia pubblica, sovvenzionata e convenzionata, con procedimento espropriativo dichiarato illegittimo o non concluso nei termini e forme di legge, determina per il proprietario il solo diritto ai danni, con esclusione della restituzione del fondo. La norma in esame non presuppone necessariamente un'ipotesi di occupazione acquisitiva o usurpativa, mancando «sia l'irreversibile destinazione del suolo privato a parte integrante di un'opera pubblica sia l'appartenenza a un soggetto pubblico».

Conclusione.

La Corte di Cassazione ha statuito che in tema di occupazione di terreni per finalità di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata e convenzionata, l'art. 3 della legge n. 458/1988 (ancora applicabili alle fattispecie anteriori all'entrata in vigore del D.P.R. n. 327/2001), nella parte in cui prevede solo il risarcimento del danno, e non la restituzione del fondo, nella circostanza in cui vi sia un decreto di esproprio dichiarato illegittimo od un procedimento ablativo concluso in violazione dei termini e delle forme di legge, deve essere reinterpretato alla luce dei principi enunciata dalla CEDU, oltre che dell'art. 42 Cost., sicchè a fronte della impossibilità di configurare un potere di acquisizione "indiretto", non può ritenersi ancora operante il divieto alla restituzione del bene al privato che lo richiede.

Dott.ssa Irene Bendinelli

[1]Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali - art. 1: Protezione della proprietà. Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.

[2] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sent. N. 735/2015