Principio del ne bis in idem: I presupposti nei delitti associativi

04.01.2023

Cass. pen. sez. III, 26 maggio 2022, n.32838

Nella sentenza in esame, la Corte di appello di Potenza, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato gli imputati per il delitto di partecipazione in associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui all'art. 74 D.P.R. n. 309/1990.

La Corte di merito ha escluso l'identità dei fatti oggetto di contestazione, relativi alla partecipazione ad un sodalizio criminale operante nel materano, con quelli oggetto della sentenza di condanna già pronunciata dalla Corte di appello di Firenze, ormai divenuta irrevocabile, posti in essere tra il 2003 e il 2005 in Toscana e, in particolare, in territorio di Montescaglioso.

Con ricorso per cassazione la difesa, tra gli altri motivi, ha eccepito la violazione dell'art. 649 c.p.p., in quanto il difensore ha assunto che i fatti contestati nel presente giudizio sono gli stessi di quelli già precedentemente giudicati dalla Corte di appello di Firenze nel 2008 e dal Tribunale di Matera nel 2015, a seguito dei quali era già stata riconosciuta la responsabilità penale dell'imputato per analoghe condotte delittuose ex artt. 74 e 73 D.P.R. n. 309/1990, per essersi associato con più persone al fine di cedere stupefacente per mezzo di corrieri, anch'essi associati, dall'inizio del 2002. 

Nella specie, la partecipazione dell'imputato era consistita nel ruolo, svolto per l'organizzazione, di fornitore dello stupefacente per conto del soggetto che sovrintendeva al gruppo toscano.

Ad avviso del difensore, l'asserito circuito criminoso che ha visto il coinvolgimento dell'imputato risultava identico nelle indicate realtà processuali, riguardando condotte illecite poste in essere tra la Toscana e Montescaglioso tra il 2003 e il 2005; si è trattato, secondo il difensore, di condotte identiche per tempi, modalità e circostanze.

Di conseguenza, stante l'identità dei fatti, la Corte di appello avrebbe dovuto pronunciare sentenza ai sensi degli artt. 129 e 649 c.p.p.

Al fine di entrare nel merito della decisione del Giudice di legittimità, occorre soffermarsi brevemente sulla nozione di ne bis in idem e nello specifico sulle precise circostanze atte a consentire la sua applicazione, con particolare rimando, dunque, all'articolo 649 del c.p.p.

Quest'ultimo, difatti, sancisce che "l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345.

Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo"

In altre parole, chi è stato già giudicato non può essere sottoposto ad un secondo giudizio che abbia ad oggetto il medesimo fatto.

Il divieto, previsto dall'art. 649 c.p.p., ha portata più ampia di quella stabilita dal contenuto letterale della norma di cui sopra, in quanto si estende anche alle sentenze non definitive ed è riconducibile al principio generale che vieta la duplicazione dell'azione conto lo stesso imputato.

Il divieto, in altri termini, "consuma" la successiva azione e quindi il potere di ius dicere in ordine all'identica regiudicanda.

Ne segue che, sull'identità del fatto, la domanda andrà dichiarata "improcedibile" e il giudice dovrà pronunciarsi per il non luogo a procedere (ex artt. 529 o 425 c.p.p.) ovvero con decreto di archiviazione laddove l'azione penale non sia stata ancora esercitata[1].

Venendo, dunque, ai presupposti applicativi del ne bis in idem e attenendosi a quanto pronunciato dalla Corte nel caso esaminato, risulta alquanto rilevante il rimando alla decisione del 2005 quando questa Corte di legittimità, ha affermato che, ai fini della preclusione connessa al principio ne bis in idem, l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona.

Questa impostazione è stata abbracciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 200 del 2016, la quale ha fatto propria l'accezione empirica della nozione di "fatto" propugnata dalla giurisprudenza di legittimità, con la precisazione che l'evento deve intendersi non in senso giuridico, ma naturalistico, "quale modificazione della realtà materiale conseguente all'azione o all'omissione dell'agente".

Chiarificatrice, dunque, la suddetta pronuncia nella parte in cui la Corte costituzionale afferma che "sulla base della triade condotta-nesso causale-evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica".

Tutto ciò premesso, con riferimento al delitto associativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 delineato come reato di condotta, ai fini della valutazione di identità del fatto occorre verificare la coincidenza sia dei singoli associati che compongono il sodalizio criminoso, sia del contesto spazio-temporale in cui ha operato l'associazione.

Nella specie, relativa proprio ad ipotesi di reato di cui all'art. 74 d.P.R. n. 309/1990, la condotta di partecipazione all'organizzazione criminale si riferiva ad un sodalizio che aveva operato in un periodo precedente a quello in cui era stato costituito il nuovo gruppo organizzato, del quale erano entrati a far parte nuovi soggetti unitamente a componenti di altra associazione e che aveva iniziato a concretizzare il suo programma delittuoso in epoca più recente, in zone almeno in parte diverse.

L'esclusione della identità dei due sodalizi cui avevano aderito i ricorrenti ha trovato fondamento sul differente programma delittuoso, sulla operatività in aree geografiche ed epoche solo parzialmente coincidenti, nonché con compagini soggettive in parte diversificate.
Dunque, risultano insoddisfatti gli specifici presupposti delineati al fine di rendere operativo il divieto del ne bis in idem, ossia manca la coincidenza secondo un'ottica spazio-temporale nonché la coincidenza dei singoli associati che compongono il sodalizio criminoso.

Si ricorda che al mutare anche di uno solo di tali elementi corrisponde una diversa condotta delittuosa di partecipazione perché diverso il gruppo di riferimento.

In conclusione, il divieto di ne bis in idem posto dall'art. 649 c.p.p. non opera, per diversità del fatto, nel caso in cui un soggetto faccia parte, anche in coincidenza temporale, di due diverse associazioni criminose, risultando esso violato solo ove risultino sovrapponibili i segmenti di condotta presi in esame dalle singole sentenze passate in giudicato.

È dunque in forza di tali considerazioni che, nella vicenda in esame, con doppia valutazione convergente, il Tribunale prima, la Corte di appello poi, hanno escluso la medesimezza del delitto associativo già definitivamente giudicato con sentenza della Corte di appello di Firenze nel novembre 2008 con quello contestato nel presente processo, evidenziando la diversa composizione dei sodalizi, peraltro operanti in momenti ed ambiti territoriali pure differenti.

Pertanto, presa contezza di ciò, il Giudice di legittimità, nel caso di specie, ha ritenuto che i giudici di merito abbiano fatto corretta applicazione dei citati canoni ermeneutici, escludendo, con doppia valutazione convergente, la medesimezza del delitto associativo già̀ definitivamente giudicato con quello contestato, per «la diversità̀ strutturale delle due compagini, operanti in contesti territoriali e temporali pure differenti», che avevano quale unico dato comune un unico soggetto concorrente, che aveva assunto ruolo apicale in relazione alla prima associazione e che, dopo un periodo di carcerazione «si era circondato di nuovi personaggi e aveva costituito un nuovo sodalizio[2]».


A fronte di tali profili differenziali, non assume rilievo la circostanza che nel capo di imputazione giudicato a Firenze vi fossero occasionali riferimenti al gruppo di Montescaglioso o alla Basilicata in genere."Di qui l'affermazione del principio secondo cui, ai fini della individuazione del presupposto della medesimezza del fatto materiale, deve essere operata una verifica in senso rigoroso dell'elemento identitario del gruppo criminale di riferimento, in relazione alla composizione soggettiva e spazio-temporale, e alla relativa condotta partecipativa dell'associato, quale materiale attività di supporto e contributo al sodalizio.

Non è sufficiente, a tal fine, come affermato nella sentenza in commento, che nel capo di imputazione del precedente giudicato siano indicati occasionali elementi di sovrapponibilità per ambito territoriale o di contiguità temporale tra le condotte associative"[3].

Dott.ssa Federica Bontempi


[1] Cfr. M. SIRAGUSA, Bis in idem (divieto), in Ilpenalista.

[2] Elementi di diversità̀ dei sodalizi emergevano, inoltre, nella ricostruzione di merito, nella assenza nell'azione del nuovo gruppo criminale delle condotte di violenza ("episodi di pestaggio"), che avevano caratterizzato la prima associazione, «nei confronti di coloro che erano scoperti a "sgarrare" rispetto alle direttive impartite».

[3] A. NOCERA, Divieto di bis in idem e reati associativi, in Ilpenalista.it, fasc., 12 OTTOBRE 2022.