Il principio di prevedibilità nel diritto penale interno e sovranazionale

11.11.2020

"Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle."

Cesare Beccaria

Nel diritto penale il concetto di prevedibilità si ricava dall'applicazione congiunta dei principi costituzionali e sovranazionali che reggono l'ordinamento nel suo complesso e che sono tesi a garantire ai consociati una preventiva conoscenza delle conseguenze penali delle proprie azioni.

La prevedibilità della norma, infatti, rende possibile conoscere, da un lato, quali siano i comportamenti vietati dall'ordinamento e la loro corrispondente sanzione, dall'altro permette all'agente di potersi rappresentare ex ante le condizioni che potranno eventualmente permettergli di accedere a meccanismi di sospensione della pena, nonché alla possibile applicazione di misure alternative alla detenzione carceraria.

La disamina dei principi che reggono la prevedibilità della norma penale, della pena e della successiva esecuzione, non può che partire dal principio cardine di legalità che trova la sua fonte nell'art. 25 co 2 Cost., la cui essenza si suole racchiudere nel broccardo latino: Nullum crimen, nulla poena sine lege.

Nel nostro ordinamento, infatti, come ribadito dall'art. 1 c.p., non si può punire taluno per un fatto che non sia espressamente previsto dalla legge come reato, né si possono applicare pene o misure di sicurezza fuori dai casi espressamente previsti dal legislatore.

Il principio di legalità del reato e della pena ha una funzione garantista per il cittadino, poiché tende ad evitare l'arbitrio del potere esecutivo e di quello giudiziario, assicurando certezza ed eguaglianza nell'applicazione dei trattamenti penali.

Il nostro ordinamento, a differenza di altri ordinamenti europei e non, accoglie una nozione formale-sostanziale costituzionalmente orientata di tale principio, riconoscendo come reato solo i fatti che, al momento della loro realizzazione, siano ritenuti tali dalla legge, ma allo stesso tempo prevedendo l'applicazione di una sanzione solo a fronte di comportamenti concretamente offensivi di beni giuridici tutelati dalla norma.

L' importanza di tale principio è riconosciuta anche in ambito sovranazionale e nello specifico all'art. 7 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali le cui disposizioni, all'indomani della modifica del Titolo V e dell'art. 117 della Cost., sono entrate a far parte dell'ordinamento interno costituendo norme interposte al fine di valutare la legittimità costituzionale delle norme interne.

Il principio di legalità convenzionale, a differenza di quello interno, non guarda alla forma, ma si pone in un'ottica differente richiedendo da un lato che l'illecito penale e la pena siano chiaramente definiti dalla legge, ma precisando, dall'altro, che il termine "legge" debba essere inteso in senso generico e dunque destinato a ricomprendere anche la consuetudine o la common law.

Gli stessi requisiti di determinatezza previsti per le fonti scritte, inoltre, devono ritenersi estendibili anche al diritto giurisprudenziale, al fine di evitare che si approdi all'enucleazione di casi-norma e si applichi per la prima volta una fattispecie legale a una tipologia di casi fino a quel momento pacificamente estranea a tale reato.

Sul punto si ricorda il dibattito che ha coinvolto sia la CEDU che la giurisprudenza interna circa l'esistenza e la prevedibilità, nel nostro ordinamento, della fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa.

Nella famosa sentenza Contrada, infatti, la CEDU ha condannato l'Italia proprio per violazione dell'art. 7, sopra citato, sul duplice rilievo che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa rappresentasse il risultato di una evoluzione giurisprudenziale iniziata verso la fine degli anni Ottanta e consolidatasi solo nel 1994 con la sentenza Demitry.

Si ritenne, quindi, che all'epoca in cui erano stati commessi i fatti ascritti al ricorrente Contrada tale reato non fosse sufficientemente chiaro e prevedibile, con la conseguenza che egli non poteva conoscere la pena in cui incorreva per la responsabilità penale derivante dagli atti da lui compiuti.

Tralasciando il dibattito specifico sulla questione, si può notare come i concetti di prevedibilità e conoscibilità costituiscono le coordinate su cui si articola il principio di legalità convenzionale, divenendo criteri volti ad orientare l'interprete alla verifica del rispetto del principio di legalità.

Il principio di legalità interno si esprime espressamente, invece, attraverso i suoi corollari della riserva di legge, tassatività e determinatezza, irretroattività e divieto di analogia.

Con il principio di riserva di legge si attribuisce al solo legislatore il compito di legiferare in materia penale con esclusione di qualsivoglia ingerenza del potere esecutivo, giudiziario o di influenze comunitarie nella scelta dei precetti penali e delle relative sanzioni.

Ciò che caratterizza maggiormente, però, la concreta operatività del principio di prevedibilità in ambito penale è la necessità che il testo legislativo risulti immediatamente percepibile dai tutti i cittadini.

Solo laddove il precetto si presenti chiaro e determinato in tutti i suoi contenuti potrà ritenersi, infatti, che le conseguenze della violazione delle direttive comportamentali ivi racchiuse, possano ritenersi conosciute o quanto meno conoscibili e prevedibili dall'agente prima della commissione del reato, anche alla luce del principio di colpevolezza di cui all'art. 27 Cost.

Se è vero, infatti, che l'art. 5 c.p. prevede che nessuno possa invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale, è altrettanto vero che, come specificato dalla storica sentenza della Corte costituzionale 364 del 1988, l'assoluta oscurità del testo legislativo o un costante atteggiamento interpretativo contrastante da parte degli organi giudiziari, comporti un'impossibilità oggettiva di prevedere a priori le conseguenze delle azioni che si realizzano.

Tale situazione si riscontra laddove il legislatore, nel formulare la fattispecie, ricorra ad elementi normativi elastici e vaghi a contenuto descrittivo che, in quanto indeterminati, lascino all'interprete margini ampi di apprezzamento, minando con ciò l'esigenza di prevedibilità e certezza della norma.

Si pensi, tra i tanti esempi, all'abrogato reato di plagio ex art. 603 c.p. dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale, in quanto contenente disposizioni imprecise e prive di intrinseca chiarezza, tanto da prestarsi ad un'assoluta arbitrarietà degli organi giudiziali nella sua concreta interpretazione ed applicazione.

Allo stesso modo in tempi più recenti la Corte è intervenuta dichiarando incostituzionale la disposizione dell'art. 75 del D.lgs. 159/2011 in materia di misure di prevenzione e antimafia, nella parte in cui prevedeva come trasgressione agli obblighi imposti l'inosservanza delle prescrizioni del "vivere onestamente" e "rispettare le leggi".

La Consulta nel pronunciarsi sull'illegittimità costituzionale della norma ha ritenuto tali concetti troppo vaghi e indeterminati e come tali in contrasto con il canone di prevedibilità della condotta sanzionata.

In tutti questi casi dove il precetto penale risulti privo dei caratteri della chiarezza e della determinatezza e laddove ci sia incertezza circa la reale configurabilità di una fattispecie criminosa nel nostro ordinamento, il rimedio che meglio garantisce il ripristino della legalità è sicuramente la rimessione della questione di legittimità alla Corte costituzionale.

L'intervento della Consulta, infatti, mira a censurare le discipline che si pongono in diretto contrasto con l'esigenza di certezza ed uguaglianza del diritto e della sua applicazione.

Al perseguimento del medesimo fine è tesa anche la disciplina della successione di leggi nel tempo sancita dall'art. 2 c.p.

Tale norma regola il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole ed il correlato principio di retroattività delle previsioni favorevoli alla luce del favor rei.

Va da sé, infatti, che una sopravvenienza normativa tesa all'introduzione di una nuova fattispecie penale ovvero all'abrogazione o alla modificazione di una disposizione precedente, possa comportare conseguenze sul trattamento penale successivo.

Tutti i principi sopra richiamati, compreso quello di prevedibilità, sarebbero ingiustamente frustrati, infatti, se si consentisse ad una norma incriminatrice di nuova introduzione di applicarsi retroattivamente ai fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore.

Il consociato, infatti, si troverebbe ad essere riconosciuto responsabile di un fatto che, al momento della commissione, non costituiva reato e ciò si troverebbe ad essere in contrasto con il principio di personalità e colpevolezza, nonché con l'art. 13 Cost. che sancisce l'inviolabilità della libertà personale fuori dai casi previsti dalla legge.

Di conseguenza anche l'applicazione della pena sarebbe priva della sua intrinseca funzione rieducativa, in quanto inflitta a soggetto che al momento del fatto non era in grado di conoscere le conseguenze penali delle proprie azioni.

Si comprende, pertanto, come anche l'ambito entro il quale può collocarsi il corretto esplicarsi dell'attività di interpretazione e concretizzazione della norma incriminatrice debba essere contrassegnato dalla prevedibilità delle decisione, ossia dalla prevedibilità della sussunzione del fatto sotto quella determinata disposizione legale.

Nel dibattito più recente originato dalla giurisprudenza della Corte Edu in materia di divieto di retroattività dei mutamenti giurisprudenziali imprevedibili e sfavorevoli, si è proprio sottolineata la necessità della "prevedibilità delle decisioni"; con la conseguenza che in mancanza di tale prevedibilità è doveroso escludere che le prime applicazioni giurisprudenziali che contraddicano precedenti contrarie consolidate possano valere retroattivamente.

In tal caso si registrerebbe per il cittadino e per la sua conoscibilità del diritto e dei confini delle condotte punibili, un equivalente della introduzione di una di una nuova fattispecie.

Alla luce di quanto sopra esposto, si può osservare in conclusione che il principio di prevedibilità della fattispecie penale, seppur non sia esplicitamente definito dal legislatore, è da ritenersi assolutamente necessario in ambito penale dove le disposizioni legislative mirano ad incidere sul bene supremo della libertà personale.

La violazione di suddetto principio da parte di una norma dall'interpretazione contrastante (sia essa interna o sovranazionale) potrà giustificare, quindi, il ricorso all'intervento della Corte costituzionale organo preposto al controllo delle leggi nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento ovvero alla Corte Europea dei diritti dell'uomo laddove si ritenga violato il principio di prevedibilità convenzionale.

Avv. Giulia Solenni