Rinuncia alla proprietà, usucapione ed interversio possessionis del fondo espropriato.
Ai fini della risoluzione della vicenda in analisi occorre analizzare le seguenti questioni giuridiche.
Innanzitutto se sia ammissibile la rinuncia alla proprietà del fondo illegittimamente espropriato dalla p.a., e gli strumenti di tutela del privato, in particolar modo processuali.
In secondo luogo se sia configurabile per entrambe le parti l'usucapione del fondo oggetto di occupazione sine titulo, ovvero di espropriazione illegittima.
Per l'analisi di quanto richiesto la fonte di riferimento è il Testi Unico sugli Espropri, adottato nel 2001 ed entrato in vigore nel 2003.
In particolar modo il legislatore con tale decreto ha unificato la disciplina della espropriazione, che fino all'entrata in vigore di tale decreto prevedeva la distinzione tra le ipotesi di occupazione acquisitiva ed usurpativa ed era foriera di dubbi interpretativi ed applicativi, oltre che di una minor tutela per il privato che non aveva specifici strumenti di reazione.
Oggi la pubblica amministrazione che intenda espropriare un fondo di proprietà del privato, che rientri nelle tre ipotesi indicate dall'articolo 8 del suddetto decreto, può procedere con l'emanazione del decreto di esproprio e il conseguente indennizzo, che a seguito dell'intervento della Corte EDU è pari al valore venale del suolo espropriato sia che si tratti di un fondo edificabile che agricolo.
Se ciò non avviene ed occupa direttamente il fondo, allora si dovrà seguire la procedura sanante, ex nunc, indicata dall'articolo 42 del Testo Unico in analisi.
Ciò che rileva ai fini della risoluzione del parere in esame, attiene alla situazione giuridica soggettiva del privato destinatario della occupazione del fondo da parte della p.a. che si riveli essere inerte.
Una volta occupato, la p.a. dovrebbe portare a termine la procedura di cui all'art. 42 bis e indennizzare il privato per l'espropriazione subita, rispettando i criteri indicati dai commi 1 e seguenti.
Nell'ipotesi in cui non voglia procedere in tal senso, deve restituire il fondo al privato.
Ci si è interrogati se nelle more della decisione della p.a., si possa configurare la rinuncia abdicativa della proprietà da parte del privato, a favore della pubblica amministrazione. Invero, la risposta pacificamente fornita è di segno negativo.
Ciò in quanto se si ammettesse la rinuncia del privato della sua proprietà al fine di ottenere l'indennizzo, vi sarebbe un esercizio di un potere discrezionale da parte del privato, e ciò non è ammesso poiché è solo la p.a. la destinataria della norma attributiva del potere finalizzata alla cura dell'interesse pubblico.
Il privato ha un interesse legittimo oppositivo prima della occupazione; e pretensivo dopo che viene occupato il fondo. Ma non ha il potere di decidere come terminare il procedimento.
Pertanto, ove il privato si trovi in una situazione di inerzia da parte della p.a. può solo agire in giudizio dinnanzi al giudice amministrativo, esperendo l'azione avverso il silenzio inadempimento. Trattandosi di un potere in cui la discrezionalità non si è ancora esaurita, il g.a. potrà condannare la p.a. all'esercizio del potere, non potendo condannare ad un facere specifico, in quanto in tal caso incorrerebbe nel divieto di esercizio di poteri non ancora esercitati di cui all'art. 34 co. 2 c.p.a. Sarà poi la p.a. a decidere se indennizzare il privato, ovvero restituire il fondo. Questa è una delle ipotesi (insieme alla disciplina della tutela del terzo nella S.C.I.A.) in cui si ammette l'azione avverso il silenzio inadempimento, in caso di procedimenti ad inizio ufficioso.
Se poi la p.a. non provvede, il giudice potrà nominare un commissario ad acta che si sostituirà ad essa anche se residua discrezionalità nell'esercizio del potere.
Per rispondere, invece, al quesito circa l'usucapibilità del fondo occupato o espropriato, si deve in primis considerare se possa maturare l'usucapione; e in secondo luogo, qualora sia data risposta positiva, da quando decorra il termine.
In merito alla configurabilità, ostano alla sua ammissione i seguenti motivi. Si deve considerare che in assenza di decreto di esproprio, la p.a. che occupi il fondo non ha il consenso del privato, e pertanto si integrerebbe un possesso violento e clandestino, inidoneo a far decorrere l'usucapione (peraltro la giurisprudenza civilistica intende tale requisito in senso molto ampio).
Inoltre, la dottrina, applicando gli stessi principi in tema di prescrizione che si può far valere solo nei confronti della parte che può interrompere il suo decorso, ritiene che non possa maturare l'usucapione poiché il privato non ha la possibilità di interrompere il decorso del termine dello stesso.
Infatti, prima del 2003, in cui si distingueva tra occupazione acquisitiva e usurpativa, il privato non aveva alcuna azione; oggi, con il disposto del 42 bis suindicato, il privato può astrattamente agire, ma per come viene interpretato oggi, applicando i principi del diritto amministrativo, non può il privato interrompere il decorso del termine con domanda giudiziale di restituzione del fondo, ma solo chiedere al giudice la condanna a provvedere della p.a.
Peraltro, anche ammettendo il suo decorso, è difficile individuare il dies a quo.
A tal fine si distinguevano due ipotesi: occupazione sine titulo e esproprio illegittimo.
Nella prima, trattandosi di occupazione senza previo decreto, la p.a. riconosce esplicitamente la proprietà altrui, quindi non è idonea a manifestare l'animus possidendi. Prova ne è che è previsto un indennizzo a favore del privato per la perdita del terreno di cui era proprietario.
L'unica ipotesi residuale in cui si è ammesso il decorso del termine, è se sia scaduto il termine per l'occupazione, e la p.a. continui ad essere immessa nel possesso del terreno. In tal caso si ritiene non sia necessario neanche l'interversio possessionis, ma sia sufficiente il protrarsi del possesso.
Se invece vi è un decreto di esproprio illegittimo, questo è immediatamente efficace, per cui la p.a. acquisisce immediatamente il terreno. Il privato, tuttavia, è ancora immesso nella disponibilità dello stesso. Alla luce di ciò ci si è chiesti se, al contrario, possa configurarsi una usucapione per il privato a seguito di esproprio illegittimo, decorsi 20 anni dall'emanazione del decreto.
Invero, si ritiene che l'emanazione dello stesso decreto sia incompatibile con l'animus possidendi, perché il privato sa che con l'espropriazione la p.a. acquista a titolo originario, e pertanto egli sarebbe solo detentore del terreno ormai espropriato, e la p.a. avrebbe il c.d. possesso mediato.
In conclusione, si ritiene che il privato non possa rinunciare alla proprietà e scegliere autonomamente l'ottenimento dell'indennizzo per i motivi suesporti.
Analogamente si nega l'usucapione per la p.a. in quanto si integrerebbe un possesso violento e, comunque, non può maturare contro il privato perché non ha il potere di interromperne il decorso.
In ultima analisi, anche il dies a quo sarebbe di difficile accertamento sia nell'occupazione sine titulo, perché la p.a. riconosce la proprietà altrui; sia nell'esproprio illegittimo perché in tal caso acquisterebbe già con il decreto a titolo originario.