Questione di costituzionalità sull’abrogazione dell’abuso di ufficio
Trib. Firenze, Sez. III, Ord. 24 settembre 2024
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A seguito dell'abrogazione del reato di cui all'art. 323 c.p. (Legge del 09/08/2024, n. 114, entrata in vigore il 25 agosto 2024), la III Sez. del Tribunale di Firenze, con Ord. del 24 settembre u.s. ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in relazione dell'art. I, comma I, lett. b) dell'anzidetta L. n. 114/2024, per violazione degli artt. 97, 11 e 117, co. I Cost., in relazione agli obblighi scaturenti dagli artt. 7, co. IV, 19 e 65, co. I, della Convenzione ONU del 2003 contro la corruzione[1].
Con tale provvedimento il Tribunale evidenzia sia la violazione dei vincoli derivanti dal diritto internazionale, sia i vuoti di tutela del buon andamento e dell'imparzialità della P.A. determinati dall'espunzione dell'ordinamento del reato di abuso di ufficio.
Precipuamente, l'Ordinanza rileva come solo un obbligo internazionale di incriminazione dell'abuso di ufficio consentirebbe alla stessa giurisprudenza costituzionale di sindacare le norme penali con effetti in malam partem (superando il generale divieto), consentendo ad una norma abrogata di produrre nuovamente i propri effetti; al contrario, dalla Convenzione ONU del 2003 non emerge un'espressa previsione in tal senso, ma solo un invito per il legislatore nazionale (art. 19 Convenzione di Merida) di prevedere una disciplina che persegua condotte configuranti l'abuso di ufficio. Da ciò ne consegue che, per gli Stati che già contengono nei propri ordinamenti la fattispecie incriminatrice dell'abuso di ufficio, sussisterebbe un vincolo a non abrogare tale reato, vale a dire un "obbligo internazionale di stand-still"[2]. Pertanto, ciò che viene demandato alla Corte Costituzionale, è di pronunciarsi circa la sussistenza o meno di un vincolo internazionale che imponga agli Stati, che già punivano l'abuso di ufficio al momento della ratifica della Convenzione, di non abrogarlo[3].
Quanto all'ulteriore questione, relativa alla possibile violazione dell'art. 97 Cost., in considerazione degli obblighi convenzionali volti ad attribuire natura penale a molteplici condotte legate alla corruzione, valorizzando in particolare l'art. 7, co. IV della Legge di ratifica della Convenzione, secondo cui "ciascuno Stato si adopera, conformemente ai principali fondamentali del proprio diritto interno, al fine di adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti di interesse". L'abrogazione dell'art. 323 c.p., interpretando in senso restrittivo tale previsione, parrebbe in contrasto con la finalità di lotta alla corruzione.
Sebbene il nostro Legislatore, contestualmente alla cancellazione dell'abuso di ufficio, abbia introdotto il c.d. "peculato per distrazione", perseguendo determinate azioni contra legem ai sensi della nuova normativa (ed in parte anche con l'art. 346-bis c.p., riscritto con la medesima novella), la scelta adottata con la Legge dello scorso agosto appare in antitesi con lo scopo perseguito dalle intese internazionali.
E tanto è vero ove si consideri anche che "la decisa contrazione dell'area penalmente rilevante ad opera della l. 114/24 non è stata in alcun modo "compensata" dalla introduzione di appositi illeciti amministrativi o dal potenziamento delle misure di prevenzione di condotte gravemente lesive del buon andamento e della imparzialità della pubblica amministrazione o di una disciplina delle attività di lobbying (…). Anche tenendo in considerazione la esistenza di rimedi e forme alternative di tutela, il legislatore ha di fatto lasciato alla sola iniziativa privata (del terzo danneggiato, tra l'altro solo eventuale) la tutela di un bene giuridico pubblico e collettivo sottratto alla disponibilità del privato medesimo, ponendo a carico dei cittadini i costi, anche sul piano economico, connessi all'adozione di iniziative volte al ripristino della legalità, in ipotesi violata da condotte poste in essere da pubblici dipendenti, funzionari e pubblici ufficiali, che dovrebbero esercitare i compiti assegnati nel rispetto della legge e con onore e disciplina (art. 54 Cost.) e che invece avrebbero agito in dispregio del buon andamento e della imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.); e) infine, per questa via, l'ordinamento di fatto rinuncia a perseguire in concreto tutte quelle gravissime violazioni di legge o del dovere di astensione che comportino un vantaggio per il terzo privato, in assenza o all'insaputa di eventuali soggetti contro-interessati che possano intraprendere un'azione volta a far accertare l'illegittimità di quella condotta"[4].
Infine, si evidenzia come non appaiono percorribili interpretazioni della norma abrogata costituzionalmente e convenzionalmente conformi, stante il carattere quasi totalmente "abrogativo", che richiede un'applicazione favorevole per l'imputato della legge penale ex art. 2, co. II c.p.
[1] C.d. "Convenzione di Merida", adottata il 31/10/2003 e firmata dall'Italia il 09/12/2003, ratificata con Legge nazionale del 03/08/2009, n. 116.
[2] "Di lasciare le cose come stanno".
[3][3] Pag. 13 dell'Ord.
[4] Pagg. 19 e 20 dell'Ordinanza di rimessione.