
I rapporti tra usura e rescissione
A cura di Dott.ssa Michela Falcone
Il rapporto tra la rescissione e l'usura in passato è stato oggetto di una particolare attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza.
Per capire la querelle che ha animato gli studiosi del diritto, appare opportuno soffermarsi sul rapporto sussistente tra il codice civile e il codice penale per quanto riguarda la disciplina dell'usura.
Nel 1930 con l'entrata in vigore del codice penale si registra un'importante novità: il codice Rocco, infatti, all'articolo 644 contemplava il delitto di usura, prevedendone un'apposita disciplina sanzionatoria.
In quegli anni si consolidò un orientamento volto a considerare nullo il contratto usurario, in quanto contrastante con la legge penale, ovvero con una norma imperativa.
Nel 1942, anno in cui viene varato il codice civile (il primo frutto dell'unificazione tra il codice commerciale ed il codice civile), il legislatore storico decide di contrastare l'odioso fenomeno dell'usura attraverso l'istituto della rescissione per lesione.
L'intento perseguito dal legislatore, come emergeva anche dalla Relazione al codice civile, era quello di sottoporre il contratto usurario alla disciplina della rescissione per lesione, ma soprattutto di sottrarlo alla sanzione civilistica della nullità.
Una conferma che ben si evince dalla lettura dell'articolo 1449 co.1 c.c. che stabilisce che laddove il contratto rescindibile costituisca reato, trova applicazione ai fini della prescrizione dell'azione l'articolo 2947 c.c.
L'obiettivo del legislatore aveva delle importanti conseguenze a livello pratico: la sottoposizione del contratto usurario alla disciplina rescissoria precludeva al giudice di poter sindacare, attraverso un suo intervento d'ufficio, il contratto e nella previsione di un termine di prescrizione breve di un anno per attivare questa iniziativa.
Il codice civile del 1942, tuttavia, non era stato del tutto lineare.
L'articolo 1815 co.2 c.c. stabiliva che la pattuizione di interessi usurari nel contratto di mutuo era nulla e la clausola nulla era sostituita di diritto con l'obbligo di pagare gli interessi solo nella misura corrispondente al tasso legale.
Si riproponeva ancora una volta il collegamento tra usura e nullità.
Nonostante la dottrina avesse cercato di valorizzare le peculiarità del contratto di mutuo, per spiegare questa ambiguità, la giurisprudenza civile riteneva che il contratto usurario fosse nullo perché violava una norma imperativa.
L'istituto della rescissione, quindi, non riusciva a disciplinare il fenomeno dell'usura.
Oggi, a seguito della riforma dell'usura per effetto della legge n. 108 del 1996, non vi è più alcun riferimento alla disciplina della rescissione per quanto riguarda il fenomeno usurario.
L'usura è un fenomeno che viene disciplinato esclusivamente dalla legge n. 108 del 1996, la quale non solo ha modificato la fattispecie prevista dall'articolo 644 c.p., ma è intervenuta anche sull'articolo 1815 co.2 c.c.
Se l'usura (usura pecuniaria) si realizza attraverso un contratto di mutuo, trova applicazione l'articolo 1815 co. 2 c.c., che prevede una nullità parziale necessaria, senza che la vittima del reato debba pagare interessi.
Nel caso di usura reale, che si realizza con un contratto diverso dal mutuo, il rimedio sarà quello della nullità virtuale.
Tale riforma ha, inoltre, avuto il merito di "sganciare" il fenomeno dell'usura dall'approfittamento dello stato di bisogno, oggi il fenomeno usurario viene considerato in chiave oggettiva e non soggettiva.
Bibliografia:
Manuale di Diritto Civile, R. Giovagnoli