
Responsabilità medica: il CdM ha approvato un nuovo “scudo penale”
A cura di Dott.ssa Gemma Colarieti
Nell'adunanza dello scorso 4 settembre 2025, il Consiglio dei Ministri, tra gli altri provvedimenti sulla tematica delle professioni, ha accolto, su proposta del Ministro della Salute Orazio Schillaci, una proposta di legge delega al Governo per la revisione globale delle professioni sanitarie, che intende rivalutare il Servizio Sanitario Nazionale. Oltre a elevare gli standard qualitativi e di sicurezza delle cure offerte ai cittadini, il testo normativo apporta delle modifiche alla disciplina della responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, tematica al centro di dibattiti da anni per conciliare la tutela della salute pubblica con il sereno operato di medici e operatori sanitari.
L'attuale testo in vigore, la legge Gelli-Bianco, n. 24 del 2017 (intitolata, appunto, «Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie»), che già novellava la disciplina prevista dal precedente decreto Balduzzi (d.l. n. 158/2012) introduceva una fattispecie autonoma per i reati di omicidio e lesioni personali commessi da medici nell'esercizio della propria professione all'articolo 590 sexies del codice penale.
L'articolo in questione, attualmente in vigore, esclude la punibilità quando l'evento (morte o lesioni) si sia verificato nonostante l'avvenuto rispetto, da parte dell'operatore sanitario, delle raccomandazioni previste dalle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali, purchè tali raccomandazioni risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
L'attuale previsione della legge Gelli, esclude la punibilità soltanto per imperizia, a differenza della precedente disciplina introdotta dal decreto Balduzzi, che esentava la categoria medica da responsabilità penale anche per negligenza ed imprudenza.
Ad ogni modo, la Cassazione, con le Sezioni Unite Mariotti, ha specificato che questa causa di non punibilità si applica se l'errore del medico avvenga nella mera attuazione delle linee guida, a condizione che egli abbia individuato quelle corrette, che le abbia effettivamente adottate, e che la sua imperizia non configuri colpa grave, nonostante l'attuale disciplina non faccia espresso richiamo alla differenza tra colpa lieve e colpa grave.
La proposta di legge appena approvata, citando i Ministri della Salute e della Giustizia Orazio Schillaci e Carlo Nordio, "mira a ridurre gli effetti perniciosi della cosiddetta medicina difensiva, che a sua volta è conseguente alle numerose e spesso infondate denunce nei confronti dei medici, con ricadute disastrose per l'efficienza del servizio sanitario e per la stessa salute dei cittadini. La medicina difensiva, che costa mediamente 11 miliardi l'anno e allunga le liste d'attesa, infatti, induce i medici a prescrivere esami costosi, spesso inutili e invasivi, che non soltanto gravano sui bilanci delle ASL ma ritardano gli interventi sui malati realmente bisognosi, che non hanno l'ardire di prospettare ai medici eventuali azioni risarcitorie. Circoscrivere, come stiamo facendo, la responsabilità penale dei sanitari, non significa affatto favorirne l'impunità. Significa invece porre i medici in condizione di operare con maggiore serenità, dedicandosi senza spreco di energie ai pazienti che necessitano di diagnosi e di cure urgenti ed efficaci. Con questa riforma vogliamo rilanciare le professioni sanitarie e dare risposte efficaci ai nuovi bisogni di salute della popolazione".
Alla luce di tali considerazioni, la proposta di legge prevede che i medici o gli altri sanitari che provocano lesioni o l'omicidio colposo ai propri pazienti saranno punibili penalmente soltanto in caso di colpa grave, a patto che abbiano seguito le linee guida pubblicate o le buone pratiche clinico-assistenziali previste per quel caso.
Nell'accertare la colpa e il suo grado i giudici dovranno tener conto anche di una serie di fattori "esimenti" come della scarsità delle risorse umane e materiali disponibili, nonché delle eventuali carenze organizzative, quando la scarsità e le carenze non sono evitabili da parte dell'esercente l'attività sanitaria, della mancanza, limitatezza o contraddittorietà delle conoscenze scientifiche sulla patologia o sulla terapia, della concreta disponibilità di terapie adeguate, della complessità della patologia o della concreta difficoltà dell'attività sanitaria, dello specifico ruolo svolto in caso di cooperazione multidisciplinare, nonché della presenza di situazioni di urgenza o emergenza.
Invero, in tal modo diventerebbe strutturale lo "scudo penale" a beneficio del personale sanitario durante la pandemia di Covid-19, per cui l'articolo 3 bis della legge n. 7672021 (rubricato «Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19») sancisce: «Durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e successive proroghe, i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale, commessi nell'esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza, sono punibili solo nei casi di colpa grave».
A tal proposito, al secondo comma del citato articolo sono enunciati taluni criteri che dovrebbero orientare il giudicante nel valutare il grado della colpa, prescrivendo che, a tal fine, «il giudice tiene conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all'emergenza».