
La responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.: doveri nelle trattative e risarcimento del danno
A cura di Avv. Beatrice Donati
La responsabilità precontrattuale trova la sua base nel dettato dell'articolo 1337 del codice civile, che richiede alle parti di comportarsi secondo buona fede nel corso delle trattative e nella formazione del contratto.[1]
Si tratta di un principio che attribuisce rilevanza giuridica anche alla fase negoziale che precede la stipula, prevedendo una tutela per chi subisce danni ingiusti in tale contesto.
La libertà di recesso o di non concludere l'accordo non è in discussione; tuttavia, l'esercizio di tale libertà deve avvenire in modo corretto e trasparente. L'elaborazione giurisprudenziale ha contribuito a chiarire che si tratta di un dovere di lealtà esteso all'intera fase precontrattuale, che può essere violato anche in assenza di dolo o colpa grave.[2]
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 12679 del 13 maggio 2025, ha ribadito che la responsabilità precontrattuale si riconduce, nella maggior parte dei casi, alla natura extracontrattuale, disciplinata dalla responsabilità aquiliana. La giurisprudenza prevalente ha inquadrato tale responsabilità nel paradigma dell'art. 2043 c.c., con conseguente collocazione dell'onere della prova a carico del soggetto che reclami il danno, salvo che non si qualifichi la responsabilità come contrattuale.[3]
Sul piano dottrinale e giurisprudenziale, la questione della natura contrattuale della responsabilità precontrattuale ha conosciuto un'importante evoluzione. In particolare, con la sentenza della Corte di Cassazione n. 14188 del 12 luglio 2016, si è affermato un revirement significativo: la responsabilità precontrattuale può essere qualificata come contrattuale "da contatto sociale qualificato", in quanto discende da obblighi di correttezza che assumono natura obbligatoria ai sensi dell'art. 1173 c.c., con tutte le conseguenze relative, tra cui l'applicazione della prescrizione decennale.[4]
La determinazione del danno risarcibile in caso di comportamento precontrattualmente scorretto è ancorata al cosiddetto "interesse negativo", consistendo in quelle spese inutilmente sostenute, nel tempo impiegato e nelle opportunità perdute, piuttosto che nel profitto atteso dal contratto non concluso. La Corte ha ribadito tale orientamento in più occasioni, ad esempio, nella Sentenza della Corte di Cassazione n. 19024/2005, si è affermato che il risarcimento deve essere ragguagliato al minor vantaggio o al maggior aggravio economico dovuto al comportamento sleale.[5] In termini analoghi, la sentenza n. 24795 del 2008 ha evidenziato che il danno risarcibile deve essere commisurato al pregiudizio economico subito, non al guadagno ipotetico derivante dall'esecuzione del contratto.[6]
Da un punto di vista procedurale, chi ritiene di aver subito un danno per responsabilità precontrattuale deve provare l'avvio di trattative in stadio avanzato, il comportamento contrario alla buona fede e l'effettivo pregiudizio economico. L'ordinanza n. 12679/2025 ha anche chiarito che l'onere di dimostrare che il recesso sia avvenuto al di fuori dei limiti della buona fede spetta alla controparte che abbia receduto.[7]
In sostanza, l'articolo 1337 c.c. impone un obbligo giuridico concreto di comportamento secondo buona fede nella fase precontrattuale. La giurisprudenza, con pronunce recenti e consolidate, ha delineato i confini di tale responsabilità, sia sul piano della sua natura (extracontrattuale o contrattuale) sia sul piano della quantificazione del danno (interesse negativo). L'approccio corretto a tali situazioni richiede una documentazione accurata delle trattative e l'assistenza di un professionista in grado di valutare le prospettive di successo in sede giudiziaria o stragiudiziale.
[1] Art. 1337 c.c., "Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede".
[2] Cass. civ., sez. II, 15 aprile 2016, n. 7545.
[3] Cass. civ., ordinanza n. 12679 del 13 maggio 2025.
[4] Cass. civ., sez. I, sentenza n. 14188 del 12 luglio 2016.
[5] Cass. civ., sez. I, sentenza n. 19024 del 29 settembre 2005.
[6] Cass. civ., sez. III, sentenza n. 24795 del 8 ottobre 2008.
[7] Cass. civ., ordinanza n. 12679 del 13 maggio 2025.
