Precisazioni sulla retroattività del mutamento giurisprudenziale in malam partem

09.10.2024

Cass. Pen. Sez. VI 16 luglio 2024, n. 28594

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Con sentenza del 16 luglio 2024, n. 28594, la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione ha affrontato il tema relativo alla possibilità di riconoscere effetti retroattivi al mutamento giurisprudenziale in malam partem, ossia qualora l'orientamento sfavorevole sia stato sposato dalla giurisprudenza in epoca successiva al momento di commissione del fatto.

In particolare, i giudici di legittimità, destreggiandosi tra i numerosi temi relativi alla distinzione tra ordinamenti di common law e quelli di civil law, alla portata del precedente vincolante nel sistema normativo italiano, ai diversi piani che contraddistinguono l'irretroattività della legge penale sfavorevole e il principio di colpevolezza, hanno affermato che un mutamento giurisprudenziale sfavorevole non può produrre effetti su fatti pregressi qualora tale nuovo orientamento fosse pressoché imprevedibile al momento di commissione dell'ipotetico reato.

Per quel che rileva in questa sede, il fatto oggetto del procedimento penale, commesso il 15 novembre 2016, concerneva una ipotesi di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all'art. 615-ter c.p. In particolare, secondo l'ipotesi accusatoria, l'imputato, legittimamente in possesso di credenziali, avrebbe effettuato accesso alla banca dati SDI ("Sistema di indagine") per finalità diverse rispetto a quelle tipiche della propria mansione.

I giudici di merito avevano ritenuto sussistenti tutti gli elementi costitutivi della menzionata fattispecie e, pertanto, avevano emesso una sentenza di condanna.

La difesa, di diverso avviso, evidenziava che il reato sarebbe stato commesso prima della pronuncia delle Sezioni unite "Savarese" – ossia la sentenza del 8 settembre 2017, n. 41210 – e che, all'epoca del fatto, non era stata adottata alcuna normativa secondaria che imponesse di fornire, per consultare il citato registro, una idonea motivazione.

La Suprema Corte, con la summenzionata pronuncia, ha ritenuto fondato tale motivo di ricorso e, pertanto, ha emesso una sentenza di annullamento senza rinvio in relazione al capo di imputazione in questione.

La pronuncia in commento ha dapprima esplicitato l'evoluzione storica degli orientamenti giurisprudenziali registratisi con riferimento alla rilevanza, per la integrazione del reato di cui all'art. 615-ter c.p., delle finalità perseguite dall'autore al momento dell'accesso.

Secondo un primo orientamento, condiviso dalle Sezioni Unite "Casani", sentenza del 7 febbraio 2012, n. 4694, ai fini della sussistenza del citato delitto è necessario che il soggetto, pur essendo regolarmente abilitato, effettui un accesso o si mantenga nel sistema informatico/telematico violando specifiche prescrizioni, mentre irrilevanti sarebbero gli scopi avuti di mira dall'imputato.

Successivamente a tale pronuncia, le Sezioni semplici si erano per lo più uniformate a tale principio, con alcune precisazioni dettate dalla necessità di adattare lo stesso alla casistica concreta o di precisarne la relativa portata. Solo una sentenza si era posta come formale superamento di quanto stabilito dal Supremo Consesso.

Tale provvedimento, per quanto isolato, determinò una nuova rimessione della questione alle Sezioni Unite, le quali sposarono l'orientamento più sfavorevole con la menzionata pronuncia "Savarese" che, per maggiore chiarezza, si evidenzia essere stata depositata l'8 novembre 2017.

Ciò premesso, tenuto conto che il fatto contestato si collocava in un arco temporale compreso tra l'avvenuta fissazione del principio "Casani" e la successiva pronuncia "Savarese", la questione da risolvere atteneva, anzitutto, alla possibilità di equiparare il novum sfavorevole giurisprudenziale a quello legislativo, e, una volta fornita risposta a tale provlematica, alla individuazione della normativa da applicare al caso concreto.

La Sesta Sezione penale si è premurata dapprima di precisare che, nell'ordinamento italiano, non esiste un vero e proprio principio del precedente vincolante in senso assoluto, ma in senso relativo. In particolare, con l'art. 618, comma 1-bis, c.p.p., qualora le Sezioni semplici della Corte di cassazione volessero discostarsi da un principio affermato dalle Sezioni unite – e, si badi, ciò vale anche per quelli affermati dal Supremo Consesso prima dell'introduzione legislativa del citato comma – le stesse debbono rimettere la questione alle stesse Sezioni unite.

Sebbene non si possa effettivamente pervenire ad una equiparazione del diritto vivente alla legge, in ogni caso la valenza di tendenziale stabilizzazione di una interpretazione fornita dalle Sezioni unite pone un problema di prevedibilità delle decisioni giudiziarie e, pertanto, di affidamento dei consociati. In altri termini, si pone il problema di bilanciare l'esigenza di certezza con la tutela dell'affidamento incolpevole.

Se al mutamento giurisprudenziale deve attribuirsi una rilevanza dal punto di vista della responsabilità penale, le valutazioni debbono essere svolte sul piano della prevedibilità e, in particolare, in funzione dell'art. 5 c.p., alla luce dei principi forniti dalla nota sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988, e non applicando l'art. 2 c.p., diversa conclusione a cui dovrebbe pervenirsi se si giungesse a una piena sovrapponibilità tra diritto "casistico" e quello legislativo.

Pertanto, il novum giurisprudenziale, sebbene sfavorevole, può trovare applicazione ai fatti pregressi tutte le volte in cui il successivo orientamento giurisprudenziale potesse essere ragionevolmente previsto al momento del fatto. Diversamente, lo stesso non può produrre effetti retroattivi, dovendosi attribuire prevalenza al principio di colpevolezza e, pertanto, emettere una sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato.

Nel caso di specie, tenuto conto che l'imputato aveva posto in essere la condotta contestata facendo affidamento alla irrilevanza penale della stessa in virtù della precedente sentenza delle Sezioni unite "Casani", la Sesta Sezione penale ha ritenuto di accogliere il motivo di ricorso sul punto.

Dott. Marco Misiti