
Le prime informazioni sulla prossima riforma della responsabilità amministrativa da reato degli enti
A cura di Dott. Marco Misiti
A distanza di più venti anni dall'approvazione del D.Lgs. n. 231/2001, sembrerebbe essere prossima una riforma della disciplina della responsabilità amministrativa da reato degli enti. In particolare, il Tavolo tecnico istituito dal Ministero della Giustizia ha presentato un progetto che, dalle prime notizie in circolazione, effettua una virata a favore di un impianto maggiormente garantista. Il contributo, pertanto, espone quelle che appaiono essere le novità del possibile futuro restyling del Decreto 231.
È terminato a metà aprile u.s. il lavoro del Tavolo tecnico istituito presso il Ministero della Giustizia avente il compito di proporre modifiche all'attuale impianto della responsabilità amministrativa da reato degli enti di cui al D.Lgs. n. 231/2001. In attesa di prendere visione diretta del testo della riforma, il contenuto può esclusivamente desumersi da quanto reso noto dai principali quotidiani.
Attualmente, il sistema 231 è imperniato su una responsabilità dell'ente derivante dalla mancata predisposizione di presidi di controllo idonei a prevenire la commissione di reati, da parte di soggetti apicali o sottoposti, nell'interesse o a vantaggio dell'ente di appartenenza. Si parla in tal senso di colpa d'organizzazione, consistente nel non aver correttamente ponderato i rischi di commissione di reati e, conseguentemente, non aver adottato misure per limitare il loro verificarsi[1].
L'intero impianto normativo poggia sui seguenti articoli: 5, che fornisce una definizione dei soggetti apicali e di quelli sottoposti e richiede, affinché sorga la responsabilità dell'ente, un suo interesse o vantaggio ; 6, disciplinante il caso in cui il reato sia commesso da un apicale e che richiede, per l'esonero da responsabilità, l'adozione ed efficace attuazione di un idoneo modello di organizzazione e gestione; 7, per la diversa ipotesi in cui il reato sia commesso da un sottoposto e che consente all'ente di andare esente da sanzione anche in assenza di una previa adozione del citato modello.
Le esigenze di riforma della disciplina normativa, invocata a gran voce dalle principali associazioni di categoria, si sono per lo più incentrate sulla modalità di ascrizione della responsabilità prevista dall'art. 6. Il dato letterale della disposizione, infatti, suggerisce un riparto dell'onere della prova che si fonda, secondo la volontà del legislatore dell'epoca, sul principio dell'immedesimazione organica tra soggetto apicale ed ente. Trattasi, secondo alcuni commentatori, di una probatio diabolica[2], oltre che di una previsione contrastante con i capisaldi del diritto penale, tra cui il principio di colpevolezza. Non a caso la giurisprudenza più recente ha adottato una interpretazione costituzionalmente conforme che, in spregio al dato letterale dell'art. 6, sostiene che la norma non preveda alcuna inversione dell'onere della prova[3].
Su questo primo profilo critico si muove la riforma che, per ovviare alle problematiche finora descritte, rende la colpa di organizzazione elemento costitutivo della fattispecie, prevedendo che l'ente risponde se non ha adottato o attuato il modello oppure, se attuato, il reato è stato favorito da difetti del sistema di controllo interno.
Ulteriore profilo di novità attiene alla introduzione di un meccanismo di estinzione dell'illecito. Si prevede che, salvo il caso di reiterazione dell'illecito, l'ente che ha adottato e attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo prima della commissione del reato può chiedere al giudice un termine per ovviare alle carenze organizzative.
Per conseguire l'estinzione dell'illecito è necessario che: l'ente comunichi la richiesta al pubblico ministero; la proposta di riorganizzazione dell'ente attenga anche al risarcimento del danno e alle attività volte a rimuovere le conseguenze dannose o pericolose del reato; l'ente metta a disposizione il profitto conseguito. Se la richiesta è fondata, il giudice sospende il procedimento e, se le attività sono realizzate entro il termine prescritto, dichiara l'estinzione dell'illecito amministrativo.
La peculiare causa di estinzione pare richiamare la sospensione del processo con messa alla prova, istituto che, da ultimo, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno negato possa applicarsi all'ente, suscitando tuttavia la resistenza dei giudici di merito [4]. Qualora il progetto di riforma dovesse essere approvato, le discussioni relative all'applicabilità agli enti della sospensione del processo con messa alla prova resterebbero sopite.
Il presupposto relativo all'adozione e attuazione di un modello prima della realizzazione del reato consente di evitare frizioni con i benefici previsti sin dall'origine nel D.Lgs. n. 231/2001.
Questi ultimi, in particolare, consistono: nella circostanza attenuante di cui all'art. 12, comma 2, lett. b), in caso di adozione e attuazione di un modello organizzativo idoneo prima dell'apertura del dibattimento; nella causa di esonero dall'applicazione delle sanzioni interdittive di cui all'art. 17, comma 1, che richiede l'adozione e attuazione di modelli organizzativi idonei in aggiunta al risarcimento del danno, alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose e alla messa a disposizione del profitto conseguito; nella causa di sospensione delle misure cautelari e, in caso di realizzazione degli adempimenti di cui all'art. 17, di revoca delle stesse misure, ai sensi degli artt. 49 e 50.
I benefici finora esaminati richiedono che il modello organizzativo sia adottato e attuato prima dell'apertura del dibattimento, non anche prima della realizzazione del reato. Diversamente, la possibile nuova causa di estinzione si fonda sul diverso presupposto che l'ente si fosse già premunito, al momento della realizzazione dell'illecito penale, di una organizzazione interna e di presidi di controllo.
Tenuto conto di quanto fin qui descritto, si può già affermare che la riforma disegnata dal Tavolo tecnico si caratterizzerà per una decisiva virata in senso garantista. Ciò a differenza di alcune recenti iniziative parlamentari che, invece, si prefiggono di ampliare l'area della responsabilità 231, estendendo di riflesso la responsabilità di un ente appartenente al gruppo all'ente controllante[5].
[1] Cfr. sul punto E. Mezzetti, Diritto penale. Dottrina, casi e materiali, Zanichelli, 2023, 140, secondo il quale «l'ente che non abbia previsto al suo interno idonei meccanismi di controllo per prevenire la realizzazione di illeciti dovrebbe, pertanto, rispondere proprio perché, con la sua scelta di disorganizzarsi, ha aumentato le possibilità di verificazione del rischio reato».
[2] In tal senso M. Pelissero, Responsabilità degli enti, in Manuale di diritto penale. Leggi complementari, Tomo II, F. Antolisei, Giuffré, 2022, 809, secondo il quale «lascia perplessi la previsione dell'inversione dell'onere della prova: non spetta al pubblico ministero provare la responsabilità dell'ente per fatto dei soggetti apicali, ma è l'ente a dover dimostrare la propria "estraneità". […] considerato che la dimostrazione richiesta dall'art. 6 impone una probatio diabolica, la responsabilità dell'ente è solitamente sussistente».
[3] Si veda, ex multis, Cass. Pen., Sez. II, 15 giugno 2022, n. 23401.
[4] Sez. U, 6 aprile 2023, n. 14840.
[5] Si fa riferimento, in particolare, all'Atto della Camera 2004, denominato "Modifiche al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di tutela dei lavoratori che prestano l'attività lavorativa mediante piattaforme digitali, nonché modifiche al codice penale, in materia di somministrazione fraudolenta di lavoro, intermediazione illecita ed estorsione, e al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità dell'ente controllante". In particolare, l'art. 6 del progetto di legge vuole introdurre, successivamente all'art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 231/2001 (il quale, si ricorda, individua le figure di soggetto apicale e sottoposto e richiede la sussistenza di un interesse o vantaggio dell'ente) un comma 1-bis, ai sensi del quale «la responsabilità, nell'ambito di gruppi di imprese, si estende all'ente controllante che, giuridicamente o di fatto, svolge un controllo su altre imprese collettive». Non si comprende allo stato attuale come si debba verificare tale estensione: se avvenga automaticamente al ricorrere della responsabilità dell'ente controllato; se sia necessario un interesse o vantaggio dell'ente; se trovino applicazione gli artt. 6 e 7, tenuto conto, tra l'altro, che difficilmente il soggetto che ha commesso il reato presupposto nell'ente controllato possa essere qualificato come soggetto apicale nell'ente controllante.
Per la visione del testo e della relazione si rinvia a https://www.camera.it/leg19/126?leg=19&idDocumento=2004