Reato di violenza sessuale: approvato in Commissione Giustizia l’emendamento sul “consenso libero e attuale”

14.11.2025

A cura di Dott.ssa Gemma Colarieti

Ieri 12 novembre è stato approvato dalla Commissione Giustizia della Camera il testo dell'emendamento nell'ambito dell'esame, in sede referente, della proposta di legge in tema di "Modifica dell'articolo 609-bis del codice penale in materia di violenza sessuale e di libera manifestazione del consenso" (C. 1693 Boldrini, C. 2151 Sportiello e C. 2279 Ascari).

Anche dal punto di vista politico, tale emendamento è un grande riconoscimento perché presentato dalle relatrici di fazioni opposte, cioè Michela Di Biase del Pd e Carolina Varchi di FdI, è stato votato all'unanimità grazie all'accordo bipartisan maturato dopo contatti tra la premier Meloni e la segretaria Pd Schlein.

Dunque, secondo il testo, così come modificato, «chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali a un'altra persona senza il consenso libero e attuale di quest'ultima è punito con la reclusione da sei a dodici anni». La stessa pena è prevista per «chi costringe taluno a compiere o subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, ovvero chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica o di particolare vulnerabilità della persona offesa al momento del fatto, o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi».

«Libero» è il consenso avvenuto senza pressioni, frutto di una scelta condivisa, «attuale» significa che il consenso deve essere manifestato nel momento in cui avviene l'atto sessuale. Oltre all'elemento del consenso, l'emendamento amplia il perimetro della violenza sessuale, perché punisce con la reclusione da 6 a 12 anni anche chi approfitta della vulnerabilità della vittima, come previsto dall'articolo 90-quater del codice di procedura penale, riconoscendo rilevanza a contesti nei quali il rapporto sessuale non è stato comunque frutto di una scelta libera e consapevole, ad esempio a causa di un'alterazione psico-fisica da alcol o droghe o nel caso in cui un partner esercita un potere ricattatorio, sia economicamente che psicologicamente, che influenza la scelta del concedersi all'atto sessuale.

Oggi in Italia, invece, la condotta tipica di violenza sessuale si verifica quando una persona «con violenza o minaccia o mediante l'abuso di autorità» ne costringa un'altra «a compiere o a subire atti sessuali». L'attuale modello del codice penale italiano può essere definito, pertanto, come un "modello vincolato", che non attribuisce esplicitamente un ruolo centrale al consenso, nonostante gli sforzi interpretativi della giurisprudenza degli ultimi anni, volti, tra l'altro, ad accogliere quanto stabilito dalla Convenzione di Istanbul del 2011 (che l'Italia ha ratificato nel 2013) sul contrasto alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, che definisce lo stupro come un «rapporto sessuale senza consenso». L'articolo 36 del testo internazionale, invero, specifica che il consenso «deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto».

La criticità del modello ante riforma si manifesta in quei casi, ritenuti controversi e oggetto di dibattiti giurisprudenziali, dottrinali e anche delle cronache giornalistiche, in cui le aggressioni sessuali sono avvenute senza metodi violenti o minacciosi. Si tratta di un'impostazione che spesso porta all'assoluzione o al riconoscimento di attenuanti quando il silenzio o l'inerzia della persona offesa non sono espressione di un'adesione al rapporto sessuale, ma una conseguenza del comportamento violento stesso. Diversi studi internazionali hanno infatti mostrato che una reazione diffusa tra le donne vittime di stupro è una forma di "freezing", cioè "congelamento" fisico e psicologico che rende impossibile opporre una resistenza all'aggressione. Spesso le vittime di aggressioni sessuali sono portate a non reagire per paura di subire ulteriori conseguenze o a considerare la propria non reazione una sorta di autodifesa, che le porta ad affrontare il trauma attraverso una dissociazione mentale rispetto a ciò che il loro corpo sta subendo.

Pertanto, inserendo il consenso come elemento strutturale della fattispecie incriminatrice, si ribalta la prospettiva: non è più la vittima che deve provare di essersi rifiutata ma è la persona accusata che dovrà provare il consenso a monte del rapporto.