Omofobia intrafamiliare e danno biologico: la svolta della giurisprudenza civile
Tribunale di Asti, 22 marzo 2025, n. 178
A cura di Dott.ssa Lisa Martini
La recente sentenza del Tribunale di Asti del 22.03.2025 n. 178 rappresenta un passaggio emblematico nella progressiva estensione delle garanzie risarcitorie ai danni non patrimoniali derivanti da condotte omofobe in ambito familiare.
La vicenda si inseriva in un contesto familiare profondamente deteriorato. Nel 2016, all'indomani della separazione tra i coniugi, il figlio comunicava ai genitori la propria omosessualità. Questo evento segnava l'inizio di una escalation di ostilità e violenza, culminata in una serie di atti persecutori compiuti dal padre: aggressioni fisiche e verbali, insulti pubblici veicolati attraverso social network, minacce e tentativi – secondo la prospettazione attorea – di intimidazione realizzati anche mediante il coinvolgimento di soggetti terzi.
L'istruttoria nel corso del processo permetteva di accertare la fondatezza di numerosi episodi di violenza domestica, discriminazione e denigrazione: le aggressioni fisiche del 2016 e del 2017, gli insulti rivolti al figlio in pubblico e in privato, la creazione di profili Facebook fittizi con cui diffamare il figlio presso amici e conoscenti, l'asserita assunzione di un soggetto al fine di spaventarlo o aggredirlo fisicamente. Il Tribunale valutava tali condotte come manifestamente dolose e connotate da un'intenzionalità discriminatoria, non riconducibili alle fisiologiche tensioni che possono caratterizzare le relazioni familiari.
Il cuore motivazionale della decisione si fondava sull'esito della consulenza tecnica d'ufficio, disposta per accertare l'effettiva sussistenza di un danno biologico. Il consulente incaricato accertava che l'attore presentava una sintomatologia compatibile con un "disturbo dell'adattamento, non complicato, di grado moderato, con sintomi ansiosi e depressivi", come classificato dal DSM-5. Si trattava, secondo quanto precisato nella CTU, di un quadro psicopatologico tipico nei casi di reiterata esposizione a eventi stressogeni di natura persecutoria. Il disturbo veniva ritenuto clinicamente significativo, stabile nel tempo e idoneo a incidere in maniera permanente sulle capacità dinamico-relazionali dell'attore. In applicazione dei barèmes delle Linee Guida medico-legali SIMLA del 2016, il consulente stimava il grado di invalidità permanente nella misura del 9%.
Sulla base di tali risultanze, il Tribunale riconosceva la sussistenza di un danno biologico psichico, determinato da una compromissione non transitoria dell'integrità psicofisica. La patologia diagnosticata non si esauriva in un generico turbamento emotivo, ma si configurava come un pregiudizio giuridicamente rilevante, suscettibile di valutazione medico-legale. Il danno, dunque, non consisteva in una mera reazione soggettiva alla sofferenza familiare, ma si traduceva in una vera e propria lesione del diritto alla salute, tutelato dall'art. 32 Cost., da risarcire in via autonoma in quanto danno-conseguenza.
Ai fini della quantificazione, il Giudice faceva applicazione delle Tabelle milanesi (edizione 2024), criterio ormai consolidato nella prassi giurisprudenziale per la liquidazione equitativa dei danni alla persona. In base all'età dell'attore al momento della stabilizzazione del danno (44 anni) e al grado di invalidità accertato (9%), veniva riconosciuto un importo pari a € 17.226,00, senza incremento per personalizzazione. In tal senso, il Tribunale rilevava come non fossero state allegate né dimostrate circostanze eccezionali o peculiarità della vicenda idonee a giustificare un incremento rispetto ai parametri standard.
Non trovava invece accoglimento la richiesta dell'attore relativa al risarcimento del danno morale, inteso quale ulteriore sofferenza interiore distinta dal danno biologico. Il Tribunale, nell'affrontare tale profilo, dichiarava la non risarcibilità di tale voce per assenza di prova specifica. Sebbene la parte avesse genericamente invocato una sofferenza psicologica intensa, non emergevano dagli atti elementi idonei a individuare un pregiudizio morale autonomo rispetto alla patologia già accertata in sede medico-legale. In linea con la recente giurisprudenza di legittimità, la sentenza ribadiva che la liquidazione del danno non patrimoniale deve fondarsi su una ricostruzione concreta delle conseguenze subite, distinguendo tra la componente dinamico-relazionale (danno biologico) e quella interiore (danno morale). Solo qualora emergano conseguenze ulteriori, diverse e coesistenti rispetto alla patologia clinica, può procedersi a una liquidazione separata; in difetto, ogni ulteriore ristoro si tradurrebbe in una duplicazione indebita.
La distinzione tra danno biologico e danno morale assume un rilievo particolare nelle ipotesi in cui la lesione incida sull'integrità psichica. In tali casi, la stessa patologia può generare tanto una compromissione delle relazioni esterne quanto una sofferenza interiore profonda. Tuttavia, ai fini risarcitori, l'attore deve fornire elementi che consentano al giudice di cogliere la compresenza di due fenomeni autonomamente apprezzabili, in termini di natura, origine e conseguenze. La mera sovrapposizione semantica tra "sofferenza" e "malattia" non legittima automaticamente il riconoscimento di entrambe le voci di danno.
La sentenza del Tribunale di Asti costituisce un precedente significativo per l'ampliamento della tutela risarcitoria in favore delle vittime di discriminazione omofoba in ambito familiare.
Seppure l'importo liquidato appaia modesto, la portata sistemica della pronuncia è tutt'altro che marginale: affermare che l'omofobia domestica può generare responsabilità civile non significa solo riparare un danno, ma anche riaffermare la centralità della dignità personale e dell'identità affettiva nella costruzione di una società costituzionalmente orientata.
Cosa è il danno biologico
Il danno biologico consiste nella lesione dell'integrità psicofisica della persona, con incidenza negativa sulla qualità della vita, a prescindere dalle conseguenze di natura patrimoniale. Esso configura un pregiudizio giuridicamente rilevante ogniqualvolta risulti compromessa, in via permanente o temporanea, la salute dell'individuo a seguito di un comportamento illecito imputabile a terzi, come accade in ipotesi di maltrattamenti, aggressioni o atti persecutori. Nel caso di specie, il Tribunale di Asti ha riconosciuto la sussistenza del danno biologico in capo al ricorrente, ritenendo provato che le reiterate condotte vessatorie e minacciose poste in essere dal padre abbiano prodotto un significativo e duraturo deterioramento del suo equilibrio psichico.