Salari minimi adeguati – direttiva n. 2041/2022 dell’Unione Europea

19.12.2022

La Direttiva n. 2041/2022 dell'Unione Europea, approvata il 4 ottobre 2022, incide in maniera significativa sulle norme di promozione dei salari minimi garantiti all'interno degli Stati Membri. Lo scopo della direttiva consiste nel potenziare gli strumenti nazionali in materia di salari, in modo da contribuire a migliorare le condizioni di vita e di lavoro per i lavoratori europei.

Genesi della Direttiva

Gli Stati dell'Unione Europea sono caratterizzati da differenti percentuali di lavoratori coperti dalla contrattazione collettiva e, di conseguenza, differenti livelli di salari minimi a parità di mansione. La ragione di tali differenze può essere riscontrata nella circostanza che, se pur appartenenti ad una medesima area geografica, gli Stati Membri sono differenti tra loro per quanto riguarda mercato del lavoro e reddito. Scopo della direttiva in questione è appunto contribuire a conseguire condizioni di vita e lavoro più dignitose per ogni lavoratore. La fonte giuridica, per tale normazione, è ravvisabile nel principio n. 6 del pilastro europeo dei diritti sociali, capi II, che riguarda le condizioni di lavoro eque; stabilisce come i lavoratori abbiano diritto ad una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso.

Attuazione dell'adeguamento

Il legislatore europea ha scelto di operare su piani differenti, mediante due strade tra loro alternative, che gli Stati Membri, nel recepimento della direttiva potranno scegliere. Su di un primo versante, l'Unione Europea, stabilisce che ogni singolo Stato possa basare il suo adeguamento garantendo un salario minimo fissato con legge nazionale. Altra strada percorribile è l'estensione della copertura della contrattazione collettiva. Quest'ultima dovrà arrivare all' 80%. Ne deriva una disciplina che, in base all'idea della Unione Europea, nel suo complesso, dovrebbe funzionare da mero deterrente alle diseguaglianze in materia salariale ed estendere considerevolmente adeguati standard lavorativi.

Con specifico riferimento al primo punto, riguardante l'adeguatezza del salario minimo legale, la direttiva europea prescrive che gli Stati Membri che adottino già salari minimi legali siano tenuti a predisporre normative nazionali per aggiornare tali salari in base a criteri chiare e predeterminati. I salari minimi dovranno essere aggiornato almeno ogni due anni o al massimo quattro per i paesi che usano un meccanismo di indicizzazione automatica. Le parti sociale sono invitate a partecipare alle procedure di definizione e aggiornamento dei salari minimi legali.

Secondo criterio, su cui le legislazioni dovranno lavorare per adeguare i loro salari è, come poc'anzi precisato, la promozione della contrattazione collettiva. Gli Stati Membri dovranno impegnarsi nel promuovere il rafforzamento della capacità delle parti sociali di impegnarsi nella contrattazione collettiva. Prevista, dalla direttiva, anche una protezione in capo ai rappresentanti dei lavoratori. Nella direttiva, in questo caso, viene ripreso quanto definito con l'accordo di Strasburgo del 7 giugno 2022 che prevede come gli Stati Membri, con una soglia della contrattazione collettiva inferiore all'80%, debbano adoperarsi per colmare tale lacuna in modo da raggiungere almeno detta soglia, attraverso un piano di promozione della contrattazione stessa.

Altre misure previste dalla Direttiva

La nuova disposizione europea inserisce inoltre ulteriori misure a tutela del lavoratore e per migliorarne l'accesso effettivo alla protezione del salario minimo. Tali misure, riguardano, in particolare, il reperimento di informazioni sulla tutela del salario minimo e lo sviluppo delle capacità delle autorità responsabili dell'applicazione della legge di prendere provvedimenti nei confronti dei datori di lavori che non si conformano alla normativa.

In aggiunta, gli Stati Membri devono tenere monitorata la copertura e l'adeguatezza dei salari minimi. Ogni Stato è invitato a riferire, ogni due anni, alla Commissione in merito ai seguenti elementi: tasso di copertura della contrattazione collettiva, livello dei salari minimi legali, percentuale dei lavoratori coperta dai salari minimi legali. Negli Stati Membri in cui la tutela garantita dal salario minimo è fornita, esclusivamente, mediante contratti collettivi, essi riferiscono in merito alla retribuzione più bassa fissate da tali contratti e ai salari versati ai lavoratori non coperti da quest'ultimi. La Commissione analizza tali dati e riferisce al Consiglio ed al Parlamento Europeo.

Salario minimo in Europa ed in Italia.

Le analisi allegate alla direttiva n. 2041/2022 dell'Unione Europea fanno riferimento alle più recenti statistiche pubblicate da Eurostat nel luglio del 2020 in materia di salario minimo. Dalla relazione emerge che tra gli Stati Membri sono previste differenti retribuzioni minime nazionali. In particolare, solo in 21 Stati membri su 27 è previsto un salario minimo. L'importo mensile poi varia notevolmente da Stato a Stato, andando dal più basso previsto in Bulgaria, dove i salari si aggirano attorno ai 332 €, fino al più alto previsto nello Stato del Lussemburgo dove la paga base si aggira intorno ai 2.257 €. Le statistiche mostrano, anche, come in alcuni Stati la quota di € 1.000 non venga neanche superata; in solo 13 Stati Membri tale quota, invece, si aggira trai 1.000 € ed i 1.500 €.

In Italia il salario minimo (per ora) non esiste, insieme ad altri Stati Membri, come Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia, il nostro paese disciplina il lavoro tramite i contratti collettivi nazionali. In Italia, ricordiamo, esistono pensioni minime per legge, mentre il lavoratore non ha ancora diritto ad una retribuzione base. A venire in soccorso del dipendente è sicuramente la contrattazione collettiva nazionale che copre quasi il 98% del lavoratori italiani. Vista l'alta percentuale di copertura del CCNL nel nostro paese si sarebbe portati a pensare che in effetti sia presente un salario minimo, dato che, ogni contratto collettivo stabilisce per la propria categoria di appartenenza dei livelli minimi di retribuzione. Ma non è così. Tralasciando la circostanza che, seppur previsti, tali minimi sono comunque più bassi rispetto la media europea, nei fatti siamo ancora lontani da una retribuzione minima. Un primo aspetto da considerare è la non obbligatorietà della stipulazione dei contratti collettivi. Esistono tipologie di contratti di lavoro individuale in cui non è applicabile nessun contratto e, di conseguenza, nessun limite retributivo. Secondo aspetto, da non tralasciare, è quello per cui, nonostante la presenza di un CCNL di riferimento, quest'ultimo non venga sempre applicato; ricordando, che in alcuni settori, i contratti collettivi si sovrappongono e il datore di lavoro, dunque, può scegliere lo strumento contrattuale ritenuto più conveniente e spesso, tale scelta, viene fatta a discapito della retribuzione del lavoratore.

Conclusioni

Illustrata sommariamente la direttiva riguardate i salari minimi, è possibile proporre ulteriori spunti di riflessione sui limiti della riforma in commento, sotto il profilo dei mezzi approntati rispetto all'obiettivo prefissato. Il tanto agognato salario minimo, avrebbe potuto più efficacemente essere raggiunto attraverso scelte legislative diverse da quelle poi effettivamente adottate. In primo luogo è doveroso osservare come lo strumento scelto dal legislatore europeo, per operare in tale ambito, sia stato lo strumento della direttiva e non del regolamento. La direttiva, come è noto, è uno strumento che per provocare effetti necessita di una ulteriore attività di normazione nazionale. Sarebbe stato più appropriato, dunque, lo strumento del Regolamento che si propone come direttamente applicabile in tutti gli Stati Membri. Gli Stati europei hanno due anni di tempo per recepire il contenuto normativo, in caso contrario, la Commissione potrà avviare una procedura di infrazione e adire la Corte di Giustizia dell'Unione Europea. La mancata esecuzione della direttiva può condurre ad una condanna nei confronti dello Stato inadempiente. Il singolo cittadino, a tutela dei propri interessi, in mancanza di una norma nazionale più favorevole che abbia recepito la direttiva nei tempi prestabiliti, può chiedere al giudice di applicarla direttamente.

Dott.ssa Irene Bendinelli