Dal codice alla strategia: scrivere l’atto giudiziario all’esame forense

02.07.2025

A cura di Avv. Giulia Solenni

Chi affronta l'esame di avvocato lo sa: la prova scritta è uno dei momenti più temuti

L'idea di dover scrivere un atto giudiziario, da zero, con codice alla mano e una traccia che può contenere insidie nascoste, genera in molti una preoccupazione costante. "E se non capisco il problema giuridico sotteso?", "E se scelgo l'atto sbagliato?", "E se mi perdo tra la giurisprudenza e finisco il tempo prima di scrivere tutto?".

Sono dubbi comuni, condivisi da quasi tutti gli aspiranti avvocati. 

Perché questa non è una semplice prova; è il momento in cui bisogna dimostrare di saper ragionare da avvocati, saper analizzare una situazione, individuare la strada giusta, argomentare in modo chiaro e arrivare a una conclusione tecnicamente corretta e convincente.

L'esame di dicembre 2025 conferma la struttura d'esame utilizzata negli anni scorsi: una prova scritta unica, centrata sulla redazione dell'atto giudiziario, seguita da un orale diviso in tre fasi. Sette ore per affrontare la traccia della materia scelta, costruire la tua linea difensiva, scrivere in modo efficace e preciso. Non è poco. Ma si può imparare. E si può fare bene.

E quindi, come si affronta la prova scritta?

Per prima cosa, bisogna leggere la traccia senza avere fretta: i primi 30 minuti sono i più preziosi. 

In quei primi minuti devi entrare nella vicenda, capire chi sono le parti, in quale fase del procedimento ci troviamo, e soprattutto che tipo di intervento è richiesto.

Che sia civile, penale o amministrativo, la domanda non è mai soltanto: "qual è la norma applicabile?". La domanda vera è quella che nella realtà poi si fanno tutti gli avvocati: "qual è la difesa migliore per tutelare le ragioni del mio cliente?".

Finiti i primi ragionamenti e individuato l'atto da redigere, arriva la parte più temuta: SCRIVERE!

Tuttavia, se hai ragionato bene sulla struttura, scrivere diventa quasi naturale. 

Un buon atto giudiziario ha sempre una sua architettura: un'intestazione corretta, un'esposizione dei fatti che non sia né troppo asciutta né troppo dispersiva, uno sviluppo argomentativo dove la norma e il caso si parlano davvero.

Durante la prova potrai usare il codice annotato, quindi non è tanto importante ricordarsi a memoria la norma, quanto saperla trovare, capirla, applicarla con intelligenza.

È qui che entra in gioco la preparazione vera: conoscere le condizioni di procedibilità, sapere quando serve una vocatio in ius, quali sono i termini, come cambia la forma di un ricorso rispetto a una comparsa o a un appello. E poi, ancora, saper leggere tra le righe della traccia per capire se si tratta di un giudizio già avviato o da introdurre, se si è in sede di esecuzione ecc...

Ma attenzione: non c'è procedura senza sostanza! La parte sostanziale è il cuore dell'atto. È lì che si gioca la vera difesa, ed è lì che si costruisce la credibilità del tuo ragionamento.

Non basta sapere dove mettere le mani nel Codice di rito. 

Bisogna saper dire perché quella domanda va accolta, perché un fatto è "GiuridicaMente" ( 😊) rilevante, perché un'interpretazione normativa ha senso in quel contesto.

In civile e amministrativo serve conoscere bene gli istituti fondamentali e saperli collegare tra loro: obbligazioni, responsabilità, atti amministrativi, legittimazione, interesse. 

Nel penale, serve muoversi tra parte generale e parte speciale con sicurezza, sapere quali sono gli elementi costitutivi di un reato, distinguere tra dolo e colpa, tra tentativo e consumazione.

Non servono citazioni accademiche o giurisprudenza esasperata: quello che conta è saper costruire un ragionamento giuridico coerente e ben fondato. A volte la soluzione più semplice, ma ben argomentata, vale molto di più di una disquisizione teorica.

Inoltre, c'è una cosa che non si dice mai abbastanza: personalizzare la tua linea difensiva! Se riesci a far emergere il punto di vista del cliente – la sua posizione, il suo interesse concreto – e a tradurlo in un'argomentazione giuridica ben costruita, hai fatto un vero atto, non solo un compito.

Infine ci sono le conclusioni

Quelle che tanti scrivono in fretta, come se fossero un'appendice. Un riassunto da fare all'ultimo minuto, quando ormai si è stanchi, quando il tempo stringe, quando la voglia è solo quella di finire. 

Ma no: le conclusioni non sono un dettaglio. Sono, al contrario, la parte più decisiva di tutto l'atto.

Perché? Perché lì si vede se hai capito davvero cosa stavi facendo. Le conclusioni sono il momento in cui tutto quello che hai scritto prima — i fatti, la norma, la strategia — diventa azione concreta, diventa una richiesta chiara al giudice. Stai domandando qualcosa: devi farlo con fermezza, con precisione, senza ambiguità.

È proprio nelle conclusioni che emerge la coerenza interna dell'atto. Se hai argomentato bene, ma concludi in modo confuso, sbagliato o contraddittorio, tutto l'impianto si indebolisce. È come costruire una casa solida e dimenticare di mettere la porta: chi guarda da fuori non capisce dove entrare.

Attenzione: le conclusioni non sono tutte uguali. Non basta dire "accogliersi la presente" o "respingersi l'avversa domanda". Bisogna declinarle in base al tipo di atto, alla fase del processo, al tipo di giurisdizione, e soprattutto in base agli interessi reali del cliente. Ad esempio: se stai scrivendo una comparsa di costituzione e risposta, dovrai chiedere espressamente il rigetto della domanda avversaria, magari anche con condanna alle spese. Se stai facendo un atto d'appello, dovrai formulare le conclusioni tipiche: "in riforma dell'impugnata sentenza, accogliersi le domande come formulate in primo grado". E ancora: potresti dover formulare istanze istruttorie (testimoni, consulenze), eccezioni preliminari, domande subordinate.

Tutto ciò va scritto con chiarezza, con forma adeguata, con linguaggio tecnico corretto. Niente frasi generiche, niente espressioni vaghe. Scrivere bene le conclusioni è come chiudere un discorso guardando negli occhi il tuo interlocutore.

Insomma, scrivere un atto giudiziario, soprattutto sotto la pressione dell'esame, non è solo questione di tecnica: è un esercizio di equilibrio tra conoscenza, lucidità e intuito. È lì che si misura la tua capacità di pensare come un avvocato, prima ancora di esserlo ufficialmente.

La buona notizia? Si può imparare. Scrivere bene un atto si allena, come si allena la mente a ragionare con metodo. Ogni simulazione, ogni correzione, ogni lettura critica è un passo avanti verso quella scrittura solida, consapevole, che non ha bisogno di effetti speciali perché si regge sulla logica e sulla sostanza.

Così, quando arriverà quel giorno non sarà più un salto nel buio. Sarà solo un altro atto. Il tuo. E sarà all'altezza.