L’accordo patrimoniale stipulato attraverso la chat Whatsapp costituisce “prova scritta”

10.12.2025

A cura di Avv. Sara Spanò

La sentenza rivoluzionaria del Tribunale civile di Catanzaro la n.1620/2025.

La vicenda traeva origine con la notifica di un decreto ingiuntivo, in seno al quale il marito richiedeva all'ex moglie la somma di 21.000,00 euro a titolo di rimborso delle pregresse rate di mutuo cointestato, fino a quel momento versate esclusivamente dal predetto.

Innanzitutto occorre precisare, che le parti in causa pattuivano nelle more del giudizio di separazione prima e in quello di divorzio dopo, degli accordi consensuali in forma verbale favorevoli al marito e sfavorevoli alla moglie, in cambio del pagamento integrale delle rate di mutuo da parte dell'uomo.

Difatti tale ultimo accordo – sebbene non veniva riportato nell'atto di divorzio – era ricavabile da facta concludentia, desumibile dall'esclusivo pagamento che, l'ex marito, decideva di accollarsi e che più volte puntualizzava in diverse chat intercorse con i figli e con la ex moglie.

Tale scelta, quindi, appariva quale frutto di un'autonomia negoziale tra i coniugi, i quali, liberi da condizionamenti esterni, decidevano di regolamentare di comune accordo i loro rapporti patrimoniali.

In particolare, si evidenzia come tradizionalmente gli accordi negoziali in materia familiare, erano ritenuti del tutto estranei alla materia e alla logica contrattuale, affermandosi che si perseguiva un interesse della famiglia trascendente quello delle parti e l'elemento patrimoniale, ancorché presente, era strettamente collegato e subordinato a quello personale.

Oggi, invece, si ammette sempre più frequentemente un'ampia autonomia negoziale, la quale si afferma con maggior convinzione, laddove essa non contrasti con l'esigenza di protezione della prole o comunque dei soggetti più deboli.

Difatti, alla luce di tale "atipica" autonomia contrattuale riconosciuta ai coniugi, veniva ribadito che gli accordi omologati non esauriscono necessariamente ogni rapporto tra gli stessi, ma, anche in considerazione di quanto riscontrato nella prassi, è possibile ipotizzare accordi anteriori, contemporanei o magari successivi alla separazione o al divorzio, nella forma "dei contratti atipici sui generis".

Nel caso di specie, infatti, gli ex coniugi nell'interesse comune della famiglia sebbene ponessero fine al rapporto coniugale, continuavano ad ottemperare a quello genitoriale, tant'è che pattuivano – verbalmente - che il padre si accollava interamente le rate di muto e la madre, dal canto suo invece, rinunciava al mantenimento personale nonostante lo stato cronico di disoccupazione e di indigenza in cui versava, oltre ad accettare la somma di € 200,00 in favore di ogni figlio entro i minimi "sindacali".

Sul punto, infatti, la Suprema Corte precisava che il pagamento da parte del coniuge separato del mutuo gravante sulla casa coniugale costituisce un fatto - ammissibile e non sindacabile nel merito - sicuramente incidente sulla determinazione del contributo di mantenimento. La decurtazione e/o il non riconoscimento dell'assegno di mantenimento dovuto dal coniuge separato è giustificato dalla circostanza del pagamento da parte del medesimo del mutuo gravante sulla casa coniugale, acquistata in regime di comunione, che, pur in assenza di prole, è stata adibita ad abitazione della moglie" (Cass. civ., sentenza 25 giugno 2010, n. 15333).

Va da sé sostenere, che sebbene non vi era traccia scritta dell'accordo in relazione alle rate di mutuo, lo stesso era ricavabile dal versamento di circa 70 rate mai contestate all'ex moglie, ma, più volte puntualizzate ai figli a seguito di richieste di esborsi economici.

La collaborazione pacifica tra i coniugi, si interrompeva nel momento in cui la sig.ra richiedeva all'ex marito il 50% dell'assegno INPS a causa dell'aumento delle spese universitarie e mediche affrontante in favore dei figli.

In dipendenza di ciò e in risposta alla richiesta della signora, l'ex marito pretendeva il 50% delle rate di mutuo fino a quel momento versate interamente dallo stesso.

A quel punto, a parere della difesa di parte attrice, la causa petendi posta a fondamento della domanda azionata dall'uomo risultava pretestuosa, in relazione a due elementi incontrovertibili:

  • Se è vero che l'ex marito non decideva di accollarsi interamente il mutuo, non avrebbe perso occasione per ribadire ai figli– innumerevoli volte tramite whatsapp e alla moglie tramite e–mai, che le rate di mutuo venivano prontamente e liberamente saldate per 7 lunghi anni;
  • Ed ancora, se il predetto non avesse deciso – di comune accordo - di esborsare le rate di mutuo, avrebbe dovuto aumentare il mantenimento dei figli (anche in relazione alla professione lavorativa svolta), nonché corrispondere alla ex moglie una somma di denaro al fine di farle mantenere il medesimo tenore di vita avuto in costanza di matrimonio.

Situazione mai verificatesi.

Pertanto, nell'odierno procedimento il Giudice Istruttore a seguito di un'attenta istruttoria (prova per testi) e di un'oculata valutazione del compendio documentale depositato dalle parti fondava il ragionamento logico confluito nell'emissione della sentenza n.1620/2025 del 19 giugno 2025.

Veniva, infatti, precisato dall'Ill.mo Giudice che nell'accordo tra le parti, in sede di separazione e di divorzio, si ravvisava un contenuto necessario – attinente all'affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all'assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorziale per il coniuge economicamente più debole - ed uno eventuale: la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi stessi (cfr. Cass., 19 agosto 2015, n. 16909).

Nel caso che ci occupa il contenuto c.d. necessario veniva pattuito per iscritto, al contrario quello c.d. eventuale veniva stabilito verbalmente. Da qui, l'esigenza di provare per il tramite della prova dichiarativa oltre a quella documentale l'esistenza di un accordo verbale stabilito ab origine tra le parti.

Con ordinanza del 29.06.2024, venivano ammesse le prove testimoniali proprio in applicazione dell'art. 2726 c.c. A mente del quale, "la prova per testimoni è ammessa in ogni caso: 1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato; 2) quando il contraente è stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta".

Nel caso di specie, da un lato vi era un principio di prova scritta e nell'altra si versava nell'ipotesi di impossibilità morale e giuridica. Quanto al primo aspetto, veniva in rilievo la confessione stragiudiziale fatta dal padre nei messaggi inviati ai figli circa l'impegno sul pagamento delle rate di mutuo, così, costituendo un principio di prova ai sensi dell'art. 2724 c.c.

Il tenore dei messaggi, infatti, meglio chiariva il fatto che sin dalla stipula del contratto di mutuo, era sempre il padre ad accollarsi le intere rate di mutuo, disvelando, così, il significato interno dell'accollo. Inoltre, il convenuto faceva – spesso - riferimento alle spese che sosteneva tra cui quelle del mutuo, senza tuttavia mai far emergere la sussistenza, pro quota, dell'obbligazione dell'opponente.

Peraltro, il clima affettivo descritto da entrambe le parti appariva sin da subito precario senza nessun margine conciliativo, neppure la presenza dei figli ha contribuito a distendere gli animi.

Ed ancora, dalla documentazione allegata risultava che anche prima della separazione gli argomenti economici erano sempre motivo di frizione della coppia, ragion per cui a parere del Giudice- nella persona della dott.ssa Song Damiani – "era altamente probabile, se non possibile che il sol fatto di cristallizzare nell'accordo di separazione prima, e divorzio poi, il patto verbale tra i coniugi, avrebbe ingenerato un clima di maggior sospetto, sfiducia, acuendo la crisi familiare già in atto".

In conclusione, la vicenda in esame trattava di un vero e proprio accollo c.d. interno che interveniva rispetto ad un rapporto obbligatorio principale in cui, da un lato c'è un creditore (la banca) e dall'altro più debitori (i coniugi) i quali, con un apposito accordo avente una sua propria causa, convenivano nel suddividere diversamente le parti spettanti a ciascuno di essi, derogando alla presunzione di cui all'art. 1298 , co 2 c.c.

L'esistenza di detto patto, quindi, imponeva l'accoglimento dell'opposizione presentata dalla difesa della signora e, per l'effetto, la revoca integrale del decreto ingiuntivo opposto, con conseguente condanna alle spese del soccombente in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.

Fonti:

  • Estratti degli atti difensivi e delle memorie dello Studio Legale Perrone, presentati a difesa della signora. (parte attrice)
  • Sentenza di merito Tribunale civile di Catanzaro sezione seconda n. 1620/2025 emessa in data 19.06.2025 e pubblicata in data 17.07.2025.
  • (Cass. civ., sentenza 25 giugno 2010, n. 15333).
  • Cass., 19 agosto 2015, n. 16909).