Concorso tra recidiva semplice e circostanza aggravante ad effetto speciale: l’illegittimità dell’articolo 63 co. 3 del Codice Penale
C.Cost. del 27 maggio 2025, n. 74
Dott.ssa Giulia Trivellone
Massima: È costituzionalmente illegittimo l'art. 63, comma 3, c.p. nella parte in cui, in caso di concorso tra una circostanza a effetto speciale e la recidiva di cui all'art. 99, primo comma, c.p., impone l'automatico aumento di un terzo della pena, senza consentire al giudice di graduarne l'entità. Tale automatismo viola i principi di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di rieducazione della pena (art. 27, co. 3 Cost.), escludendo ogni individualizzazione della sanzione in rapporto alla gravità del fatto e alla personalità del reo.
Con la sentenza numero 74 del 27 Maggio 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 63, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che «quando concorrono una circostanza per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o una circostanza ad effetto speciale e la recidiva di cui all'art. 99, primo comma, cod. pen., si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla».
Nel dettaglio, l'art. 63, terzo comma, del codice penale prevedeva che: "Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo."
In base al dettato normativo, dunque, in caso di concorso tra recidiva semplice e circostanza aggravante ad effetto speciale il giudice era tenuto ad applicare la pena prevista per la circostanza più grave, poi aumentata di un terzo, con il rischio di comminare una pena sproporzionata rispetto alla gravità del reato.
Il rischio si è così tradotto in realtà nel caso di specie: la questione infatti era stata sollevata dal Tribunale penale di Firenze nel corso di un procedimento nei confronti di persona imputata del reato di minaccia aggravata perché commessa con armi, alla quale era stata contestata altresì la recidiva semplice, circostanza aggravante comune per la quale l'articolo 99, primo comma, del codice penale prevede l'aumento di un terzo della pena, già aumentata per effetto dell'altra aggravante. In base alla disposizione censurata la pena irrogabile avrebbe dovuto essere, dunque, aumentata di un terzo.
La Corte ha difatti ritenuto irragionevole l'aumento automatico di un terzo della pena, con violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto parifica nel trattamento obbligatorio situazioni personali e ipotesi di recidiva tra loro diverse (così violando il principio di uguaglianza), nonché dell'art. 27 comma 3 della stessa Costituzione, espressione del principio di rieducazione a cui deve tendere la sanzione penale: invero, una pena determinata sulla base di un criterio irragionevole non può essere percepita dal suo destinatario come una pena giusta, e non può quindi assolvere alla funzione rieducativa.
Rileva, ai fini della sentenza, il principio di individualizzazione della pena, ora elevato a rango costituzionale.
L'art. 63, comma 3, c.p. introduceva infatti un vero e proprio automatismo sanzionatorio precludendo qualsiasi trattamento individualizzato, poiché non permetteva al giudice di valutare adeguatamente la gravità del caso concreto e di commisurarne la pena di conseguenza.
La Corte altresì dichiara che "il differente trattamento sanzionatorio del concorso tra circostanze aggravanti a effetto speciale e recidiva qualificata o semplice, in ragione della disciplina di applicazione dei rispettivi aumenti di pena, può essere causa, come visto, dell'irrogazione di una sanzione sproporzionata e non "individualizzata" proprio rispetto al disvalore oggettivo dei fatti".
Sulla base della sua precedente giurisprudenza infatti, la Corte aveva ribadito la necessità di un costante principio di proporzione tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra (sentenza n. 341 del 1994), poiché una pena sproporzionata si porrebbe non solo come lesiva del principio proprio del diritto penale ma verrebbe avvertita come ingiusta dal condannato, vanificandone la sua finalità rieducativa.
Si tenga presente che il nostro sistema presuppone una discrezionalità del giudice nella commisurazione della pena, prevedendo non pene fisse bensì un limite edittale nella sua applicazione.
Questa scelta è senz'altro frutto di un sistema improntato ai principi di proporzionalità e ragionevolezza, motivo per cui le disposizioni espressione di tale discrezionalità devono ritenersi suscettibili di controllo da parte della Corte Costituzionale per gli eventuali vizi di manifesta irragionevolezza o di violazione del principio di proporzionalità.
Ebbene, rebus sic stantibus, non si rinviene la ragione per cui, in caso di concorso della meno grave recidiva semplice con una circostanza autonoma o a effetto speciale, debba trovare applicazione automatica e obbligatoria l'aumento di un terzo e non fino ad un terzo.
Tale sentenza, dunque, ha un impatto significativo sull'applicazione della legge penale, poiché impone al giudice un'analisi più accurata del caso concreto per determinare la pena da infliggere. La discrezionalità propria del giudice viene "salvata" e tutelata da qualsiasi tipo di automatismo sanzionatorio che gli precluderebbe la possibilità di graduare la sanzione in base alla gravità del reato, la personalità del reo e le circostanze aggravanti.
In sintesi, la Corte Costituzionale compie un importante passo avanti verso una maggiore equità e proporzionalità nel sistema penale italiano.