Limitazioni al sequestro degli Smartphone: il nuovo orientamento della Cassazione

27.10.2025

Cass. Pen. Sez. II, 13 ottobre 2025. n. 33657 

A cura di Avv. Martina Carosi

Massima: in tema di mezzi di ricerca della prova, è illegittimo il decreto di sequestro probatorio di un telefono cellulare con il quale il pubblico ministero acquisisca la totalità dei messaggi, filmati e fotografie ivi contenuti, senza indicare le ragioni per le quali, ai fini dell'accertamento dei reati ipotizzati, si rende imprescindibile la integrale verifica di tutti i predetti dati e si giustifica, nel rispetto del principio di proporzionalità, un così penetrante sacrificio del diritto alla segretezza della corrispondenza.

La Corte di Cassazione Penale, Sezione II, con la recente sentenza del 13 ottobre 2025, n. 33657, torna a chiarire importanti profili relativi al sequestro degli smartphone nell'ambito delle indagini penali. 

Il provvedimento ribadisce con forza la necessità che il Pubblico Ministero, nel decreto di sequestro, espliciti in modo puntuale il nesso di pertinenzialità tra i dispositivi e il reato ipotizzato, definendo con precisione le informazioni oggetto di ricerca, le chiavi di ricerca da utilizzare e la perimetrazione temporale dei dati da acquisire. La pronuncia si inserisce in un quadro giurisprudenziale in continua evoluzione, segnando un passo significativo verso una maggiore tutela dei diritti fondamentali dei cittadini nella delicata fase delle investigazioni digitali.

La decisione trae origine dal seguente fatto.

Il Tribunale, accogliendo l'istanza di riesame ex art. 324 c.p.p., aveva annullato il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal pubblico ministero, disponendo la restituzione del telefono cellulare e di eventuali copie forensi già estratte. Secondo il Tribunale, il decreto risultava carente nella motivazione, sia rispetto al nesso di pertinenzialità tra i dispositivi e il reato, sia riguardo alla finalità di acquisire tutti i dati informatici, eccedendo così il principio di proporzionalità della misura cautelare e configurandosi come un'operazione esplorativa non consentita.

Il pubblico ministero impugnava l'ordinanza, sostenendo che il sequestro mirava a raccogliere comunicazioni rilevanti tra la persona offesa — che aveva denunciato minacce anonime sul lavoro — e alcuni colleghi con cui aveva avuto contrasti professionali.

Pur riconoscendo che, secondo la giurisprudenza, occorre indicare le informazioni da acquisire e il perimetro temporale dei dati, il PM osservava che questi dettagli devono essere precisati solo nella fase esecutiva alla presenza delle parti, mentre durante la perquisizione il dispositivo viene sequestrato come "contenitore".

Inoltre, il PM evidenziava che la misura aveva come obiettivo la creazione di una copia dei dati rilevanti, e che al momento della decisione del Tribunale del riesame i telefoni erano già stati restituiti, quindi non vi sarebbe stata alcuna violazione concreta dei diritti delle parti. A suo avviso, il Tribunale aveva presunto un interesse delle parti alla disponibilità esclusiva dei dati senza verificare le reali modalità di acquisizione.

Gli Ermellini, hanno dichiarato infondato il ricorso del pubblico ministero.

In via preliminare, la Corte ha riconosciuto che la ricorrente possedeva un interesse concreto e attuale all'annullamento del provvedimento di sequestro, nonostante i dispositivi fossero già stati restituiti, poiché la pubblica accusa aveva conservato copie-clone dei dispositivi, privando la ricorrente dell'esclusiva disponibilità dei dati in essi contenuti. La giurisprudenza di legittimità ammette infatti il ricorso per cassazione anche dopo la restituzione dei supporti informatici, purché vi sia un interesse concreto alla disponibilità esclusiva dei dati.

sensibili, ma secondo la Corte, anche in presenza di una copia forense già estratta, sussiste comunque interesse a proporre il riesame per verificare i presupposti della misura, considerata la natura personale e riservata dei dati raccolti su uno smartphone. Il pregiudizio derivante dal sequestro riguarda, infatti, diritti fondamentali tutelati dall'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dalla Carta dei Diritti Nel caso in esame, la difesa non aveva specificato la presenza di dati riservati o Fondamentali dell'UE, quali la riservatezza e la disponibilità esclusiva del patrimonio informativo.

Secondo una giurisprudenza, ormai, consolidata il sequestro probatorio di un telefono non può mirare all'acquisizione indiscriminata di tutti i dati senza motivare l'indispensabilità di tale operazione ai fini dell'accertamento del reato, nel rispetto del principio di proporzionalità. Il provvedimento deve, pertanto, indicare le specifiche informazioni da acquisire, le chiavi di ricerca, la selezione dei dati rilevanti, la loro perimetrazione temporale e la tempistica per l'estrazione, prevedendo la restituzione dei dati non pertinenti.

Nel caso de quo, il decreto di sequestro del PM mirava ad acquisire le comunicazioni tra i soggetti coinvolti e la persona offesa, ma non indicava né il rapporto di pertinenzialità tra i telefoni e il reato, né le informazioni oggetto di ricerca, né le chiavi di ricerca o la delimitazione temporale dei dati. Il PM sosteneva che eventuali difetti riguardanti l'esecuzione del sequestro non fossero rilevabili davanti al tribunale del riesame; la Corte ha invece rilevato che tali omissioni configurano un sequestro "esplorativo", vietato dalla legge.

Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione ha confermato la correttezza dell'ordinanza del tribunale del riesame, che aveva annullato il decreto di sequestro, rigettando il ricorso del pubblico ministero.

Il sequestro dello smartphone tocca diritti fondamentali come la riservatezza e la disponibilità esclusiva del patrimonio informativo, tutelati dalla Costituzione e dalle normative sovranazionali. La sentenza conferma che il decreto del Pubblico Ministero deve indicare nesso di pertinenzialità, informazioni da acquisire, chiavi di ricerca e perimetrazione temporale dei dati, evitando misure esplorative.

Si tratta di una pronuncia condivisibile, che riafferma l'equilibrio necessario tra esigenze investigative e tutela dei diritti dei cittadini, consolidando la protezione del patrimonio informativo individuale.