Il silenzio della P.A.: anche le amministrazioni non possono “non comunicare”.

14.10.2022

Alla fine degli anni '70 un team di studiosi della scuola di psicoterapia di Palo Alto si chiesero se le parole fossero davvero il mezzo più importante della comunicazione. Se i comportamenti, persino il silenzio, potesse comunicare qualcosa.

Studiarono le relazioni di migliaia di persone alle quali chiesero di comunicare... in silenzio!

E la risposta alla loro domanda arrivò: il silenzio comunica, eccome se lo fa.

Anche se in realtà usarono una espressione più scientifica di quella che, chi scrive, ha appena utilizzato. "Non si può non comunicare", dissero, o meglio, "non si può non assumere un comportamento". Chissà se il legislatore intervenuto per disciplinare la condotta inerte della P.A. si sia rifatto agli studiosi di Palo Alto, fatto sta che ha inteso dare una valenza al non comportamento dell'amministrazione per far sì che il "silenzio" non sfoci in indeterminatezza, in confusione, in frustrazione soprattutto da parte di chi lo subisce.

La disciplina del silenzio amministrativo, presente nella L.241/1990, è stata oggetto di copiosi contributi dottrinali e giurisprudenziali che ne hanno tracciato un tratto ben preciso.

L'evenienza fisiologica di un procedimento amministrativo è che questo, una volta generato (ad impulso di parte, ad esempio), venga a conclusione con un provvedimento espresso emanato in un tempo congruo (art. 2, l. cit).

Questo sarebbe l'outcome anelato da tutti i cittadini che, almeno una volta nella loro vita, hanno avuto a che fare la P.A.

Come ormai risaputo, da contraltare alla fisiologia fa la patologia. Patologia che nel caso dell'istituto che ci occupa si chiama "silenzio".

Nel diritto amministrativo si intende "un comportamento omissivo dell'amministrazione di fronte a un dovere di provvedere, di emanare un atto e di concludere il procedimento con l'adozione di un provvedimento entro un termine prestabilito".

Al silenzio la legge riconnette alcuni effetti, vediamo quali.

"Nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego".

Tradotto, se l'amministrazione competente "omette di comportarsi" e quindi non pone in essere gli atti conseguenti alla domanda del privato fino al provvedimento finale, spirato il termine di 30 giorni dall'inizio del procedimento o dall'istanza di parte, questa si intende accolta. È la disciplina del silenzio-assenso.

La ratio della norma è da ricercarsi (chiaramente) nella volontà del legislatore di rimuovere gli ostacoli alle attività dei privati.

Accanto al silenzio-assenso, trova cittadinanza l'altro tipo di "silenzio significativo": il silenzio-diniego.

Come è agevole intuire, con il silenzio-diniego si connette al riserbo dell'autorità che dovrebbe procedere il rigetto di una istanza. Al contrario del primo tipo di silenzio significativo di cui abbiamo parlato, questo tipo di "non comportamento" non è regola generale ma speciale.

Le fattispecie di silenzio a valenza di rigetto sono, in verità, molto ristrette e sono tassativamente fissate dalla Legge. Un esempio su tutti è l'articolo 25 della L. 241/90, relativa alla disciplina dell'accesso agli atti amministrativi: "decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta" (comma 4).

Si è fin qui dunque parlato del silenzio significativo. Ebbene ne esiste anche uno "non significativo": si tratta del "silenzio inadempimento". Anche se qui trattato successivamente ai casi di silenzio significativo, il silenzio-inadempimento è la realtà il più risalente nel tempo ed è di creazione giurisprudenziale (e non dottrinale come i primi).

Si incorre in questa figura quando all'inutile passare del tempo l'ordinamento giuridico non connette alcuna qualificazione. 

L'inosservanza dell'obbligo presidiato dall'articolo 2 della più volte citata L. 241/90 non fa però venir meno il potere-dovere di provvedere. Questo significa che l'amministrazione ben potrebbe emanare il provvedimento anche in ritardo, ma sarà ritenuta responsabile del danno causato al privato che aveva confidato nel rispetto del termine.

Gli strumenti operativi per chiedere al giudice di accertare l'obbligo di provvedere sono reperibili, in combinato disposto, negli articoli 31, 87, e 117 del codice del processo amministrativo.

In pratica, decorsi i termini fissati dalla legge per la conclusione di un procedimento, chi vi ha interesse, può depositare ricorso innanzi al G.A. fintanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione. Il ricorso va notificato all'amministrazione e ad almeno un controinteressato e resta impregiudicata la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento. Per la proposizione della domanda non è necessaria la previa diffida.

Il ricorso è deciso dal giudice, in camera di consiglio (art 87 c.p.a), con sentenza in forma semplificata ed in caso di totale o parziale accoglimento della domanda ordina all'amministrazione di provvedere entro un termine di norma non superiore a 30 giorni.

Potrebbe accadere che, nel corso del giudizio, il provvedimento richiesto (o un altro atto connesso) venga adottato. Nel caso in cui questo soddisfi le pretese del ricorrente, il giudizio si estingue per la cessata materia del contendere. Contrariamente il provvedimento o l'atto può essere impugnato con motivi aggiunti seguendo termini e disciplina del rito previsto per il nuovo provvedimento e l'intero processo prosegue secondo tale rito.

Una disciplina che tutela coloro che, spesso, vengono intrappolati dal comportamento pernicioso della P.A., che a volte paga lo scotto dell'annosa carenza di organico, altre perché serbare il silenzio appare la risposta più semplice.

Dott. Giovanni Lucio Vivinetto