Sul riconoscimento dello “stato di necessità” alle vittime di tratta di esseri umani: interpretazione della normativa nazionale e sovranazionale

07.08.2024

Cass. Pen., Sez. VI, Sent. del 16 novembre 2023, n. 2319

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Con la recente decisione depositata il 18/01/2024 (Sent. n. 2319/2024),la Corte di Cassazione, VI Sezione Penale, si è pronunciata a seguito dei ricorsi avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma che, in conformità alla decisione del GIP presso il Tribunale di Roma, aveva condannato un imputato per il reato di cui all'art. 74 del D.P.R. n. 309/1990 alla pena di anni 6 di reclusione ed un'altra, assolta da tale titolo, ritenuta invece responsabile per il trasporto di 5 kg di marijuana. Tra i motivi di impugnazione di quest'ultima, si lamentava la violazione di legge in relazione agli artt. 117 Cost., 8 Direttiva 2011/36/UE, 4 e 8 CEDU per avere la sentenza di condanna erroneamente omesso di applicare la clausola di non punibilità per le vittime di tratta e non essendo stata valutata la situazione personale della donna antecedente al delitto, costituente presupposto per il riconoscimento dell'art. 54 c.p.

La Corte, in accoglimento del ricorso, ha effettivamente riconosciuto la violazione di legge in ordine alla mancata concessione della causa di giustificazione dello stato di necessità, da interpretare in conformità alle disposizioni sovranazionali di cui all'art. 2.2 della Direttiva 2011/36/UE e del Considerando 11 della stessa.

I Giudici di Piazza Cavour, analizzata la relazione tra la predetta normativa sovranazionale e l'ordinamento interno, al fine di individuare una disposizione nazionale alla stregua della quale riconoscere la non punibilità delle vittime di tratta, hanno ripercorso i vari approdi normativi, dando innanzitutto atto della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (L. 11 agosto 2003, n. 228), testo che per la prima volta ha definito il delitto di tratta di persone come una "grave violazione dei diritti umani".

Accanto alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, (cd. "Convenzione di Varsavia", ratificata dall'Italia con L. 2 luglio 2010, n. 108), al cui art. 26 è introdotta la causa di non punibilità per i reati commessi in condizione di costrizione, ed alla giurisprudenza della Corte Edu, che ha ricondotto la tratta di esseri umani nell'art. 4 CEDU e riconosciuto la non incriminazione delle vittime, si dà atto altresì del Trattato di Lisbona e della Carta di Nizza, che qualificano la tratta come "violazione dei diritti umani fondamentali" e quindi vietata in termini assoluti.

Più nel dettaglio, la motivazione si è soffermata su alcune Direttive europee; precipuamente, la Direttiva 2011/36/UE fornisce una più ampia definizione di tratta, ivi ricomprendendovi anche i nuovi tipi di sfruttamento, come lo "sfruttamento di attività illecite", ed offre una spiegazione della cd. "posizione di vulnerabilità", intesa come la condizione in cui può trovarsi la vittima e di cui l'autore può approfittare per porre in essere la condotta. Con il recepimento della Direttiva, sugli Stati incombe l'onere di apprestare alle vittime una tutela adeguata attraverso misure specifiche di identificazione, assistenza e sostegno.

Ancora, all'interno della Direttiva 2012/29/UE il reato di tratta viene ricompreso nel novero dei delitti di violenza di genere e nelle Direttive 2011/95/UE e 2013/33/UE le vittime di tratta vengono qualificate come beneficiarie della protezione internazionale ed umanitaria (e del rilascio del permesso di soggiorno ex art. 18, D.Lgs. n. 286/1998), in quanto "vulnerabili".

La Corte ha ricostruito la non punibilità della vittima di tratta per i delitti commessi a causa di tale condizione alla luce del "principio di non contraddizione", ritenendo "irragionevole punire chi abbia commesso un reato in una condizione di costrizione che lo stesso ordinamento riconduce alla violazione dei diritti umani fondamentali"[1].

Invero, ciascuno Stato aderente alla Convenzione Edu è gravato dall'obbligo positivo di proteggere e non perseguire le vittime di tratta, procedendo ad una valutazione individualizzata del caso concreto e tenendo conto della pressione psicologica ed economica sofferta dalle stesse, private in tutto o in parte della propria autonomia decisionale, dovute al potere ricattatorio cui sono costrette. Sul Giudice che voglia discostarsi dalla non incriminazione ricade l'onere di una motivazione analitica sul punto, al fine di ridurre il rischio di vittimizzazione secondaria.

Gli Ermellini hanno individuato tre diversi tipologie di delitti suscettibili di non essere puniti se commessi dalla vittima di tratta. Tra questi la Corte richiama: quelli strettamente collegati alla condizione di irregolarità nel territorio dello Stato; quelli in cui il trafficante si appropria del provento criminoso (furto, traffico di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione) e quelli cd. "di liberazione", commessi per liberarsi dallo sfruttamento di terzi.

Conclusa la prima parte evolutiva e ricostruttiva dei principi che orientano la questione, la Corte si è interrogata su quale disposizione dell'ordinamento italiano esprima la non punibilità delle vittime di tratta per il loro coinvolgimento in attività illecite, sottoposte ad uno stato di costrizione.

La decisione dà atto di come il diritto interno non preveda una norma specifica che sancisce il principio di non punibilità delle vittime di tratta, da cui la necessità di tentare un'interpretazione convenzionalmente conforme della normativa italiana, possibile soltanto attraverso la lente dell'art. 54 c.p.

Tale fattispecie esclude la punibilità di condotte astrattamente qualificabili come reato quando, al ricorrere di specifiche condizioni, sia necessario salvaguardare un bene giuridico ritenuto preminente. Nel caso di specie, operando il bilanciamento tra i vari interessi confliggenti, il Giudice dovrà tenere conto degli obblighi sovranazionali, tra cui vi rientra la tutela dei diritti fondamentali, che trova copertura europea e convenzionale, preferendo l'interpretazione che meglio si adegui alle prescrizioni dell'U.E. e rispetti i principi cardine[2].

Entrando nel vivo della vicenda, stante gli effetti in bonam partem prodotti dall'applicazione del principio di non incriminazione di cui sopra, l'interpretazione dell'art. 54 c.p. conforme ai dettati sovranazionali deve essere coerente con la tutela dei diritti umani inalienabili delle vittime di tratta, con il divieto di vittimizzazione secondaria e con il divieto di esporre lo Stato italiano ad ipotesi di responsabilità internazionale per violazione degli artt. 10, 11 e 117 Cost. Pertanto, il Supremo Consesso ricostruisce lo "stato di necessità" come la soluzione più coerente per adempiere agli obblighi internazionali, nonostante i limiti applicativi[3].

Ai fini del riconoscimento dello stato di necessità, occorre verificare in concreto che sussistano i presupposti di cui all'art. 54 c.p., e dunque lo stato di costrizione, l'attualità e l'inevitabilità del pericolo di un danno grave alla persona ed il confronto tra i beni in conflitto nell'ottica del giudizio di proporzione.

Accertato lo status di "vittima di tratta", l'interprete dovrà operare un'analisi della condotta partendo dalla c.d. "posizione di vulnerabilità" e qualificare la fattispecie ai sensi del primo o del terzo comma dell'art. 54 c.p., a seconda che vi sia stata una coazione relativa, e quindi la vittima abbia preservato un minimo di autodeterminazione, ovvero abbia subito un totale annullamento della sua sfera volitiva.

Pertanto, con la decisione in commento, i Giudici di Legittimità hanno stabilito che una persona in condizione di vulnerabilità può invocare la scriminante dello stato di necessità quando sia vittima di tratta, sia asservita ai capi di organizzazioni criminali dedite al narcotraffico e sia costretta a trasportare la sostanza stupefacente, non potendosi sottrarre in alcun modo alla situazione di pericolo[4].

Dott.ssa Simona Ciaffone

[1] Cfr. Sent. 2319/2023.

[2] "Lo stato di necessità delle vittime di tratta" di Alessandro Andronio; "Stato di necessità ed interpretazione convenzionalmente conforme: la Corte di Cassazione si pronuncia sulla vittima di tratta" di Gabriele Fazzeri, Sistema Penale del 26/03/2024.

[3] Invero, non può trovare applicazione qualora la vittima abbia la concreta possibilità di ricorrere all'A.G. e denunciare.

[4] Testualmente: "In conformità ad un'interpretazione dell'art. 54 cod. pen. che tenga conto delle disposizioni sovranazionali di cui all'art. 2.2 della Direttiva 2011/36/UE e del Considerando 11 della medesima, risulta configurabile la causa di giustificazione dello stato di necessità in favore di persona vulnerabile, in quanto "vittima di tratta" e in condizioni di asservimento nei confronti di organizzazioni criminali dedite al narcotraffico, costretta a compiere un trasporto di stupefacenti, senza possibilità di ricorrere alla protezione dell'Autorità".