Sul reato di bancarotta fraudolenta impropria

14.05.2022

Trib. Ravenna, sez. penale, 14 luglio 2021, n. 762

La sentenza annotata rappresenta un raro caso pratico di concreta applicazione del reato di bancarotta fraudolenta impropria mediante compimento di operazioni dolose che abbiano cagionato il fallimento di una società.

L'interesse nasce dal fatto che, dall'ipotesi accusatoria esaminata, risulta anzitutto evidente che il Tribunale ritiene astrattamente configurabile l'ipotesi criminosa in esame anche quando le operazioni dolose causative dello stato di decozione consistono non nel compimento di fatti materiali, bensì in mere annotazioni contabili nel bilancio di una società che abbiano prodotto il risultato di ritardare la dichiarazione di fallimento: ciò in considerazione della mancata emersione di perdite che avrebbero comportato il verificarsi di una causa di scioglimento, consistente nella riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale (artt. 2447 e 2484, comma 1, n. 4 c.c.) e quindi la perdita della continuità aziendale e la conseguente impossibilità di far fronte ai debiti maturati.

Nello specifico, l'accusa riteneva responsabile l'imputato per il reato di bancarotta fraudolenta impropria di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, l. fall., per aver cagionato in concorso con più persone (art. 110 c.p.) il fallimento della società tramite il compimento di operazioni dolose, costituite dalla capitalizzazione delle spese del personale dipendente per l'implementazione di un software gestionale.

Secondo l'accusa tali spese erano state imputate peraltro, anche in misura maggiore a quelle realmente sostenute, dapprima tra i costi del conto economico, per poi confluire, a fine esercizio, nello stato patrimoniale alla voce "immobilizzazioni immateriali - software", al solo fine di mascherare le perdite che di fatto avrebbero azzerato il capitale sociale.

Chiariti i presupposti del reato in esame, come riassunto nella massima indicata alla lett. a), il punto centrale della sentenza è che non può costituire operazione dolosa diretta a cagionare il fallimento della società la capitalizzazione dei costi del personale che si assume essersi occupato della realizzazione e implementazione di un software gestionale interno, laddove quei costi risultino realmente sostenuti e non sia possibile escludere che essi fossero riferiti effettivamente alla creazione e valorizzazione di un bene materiale di utilità pluriennale. Per meglio comprendere la soluzione adottata, va ricordato che per patrimonializzazione o capitalizzazione di costi si intende un processo puramente contabile che è obbligatorio seguire ogni qualvolta un costo iscritto inizialmente a conto economico presenti caratteristiche di utilità pluriennale (perché funzionale alla realizzazione di un bene destinato a produrre ricavi non solo nell'esercizio in corso, ma anche in quelli successivi).

Con la sua patrimonializzazione (cioè con il suo trasferimento alla voce dell'attivo dello stato patrimoniale corrispondente al bene realizzato) si procede a far concorrere negli esercizi futuri la giusta quota di costo mediante il processo di ammortamento che ha la funzione di ripristinare la corretta correlazione fra costi e ricavi sotto il profilo economico e temporale.

L'accusa partiva dal presupposto che la capitalizzazione dei costi del personale avesse incrementato "a dismisura" il valore del software, senza però indicare quale avrebbe dovuto essere la misura giusta dei costi dedicati a quella implementazione o quali altri criteri contabili avrebbe dovuto adottare la società nella valorizzazione del software iscritto come immobilizzazione immateriale.

La difesa aveva però dimostrato che tutti i costi del personale registrati nel corso degli esercizi in discussione erano stati realmente sostenuti: aveva documentato lo specifico conferimento solo di una parte di questi costi alla realizzazione ed implementazione del software gestionale, il quale era risultato indiscutibilmente caratterizzato da un'utilità pluriennale.

Da ciò la conclusione imprescindibile: i costi dedicati alla realizzazione o alla implementazione di un bene materiale di utilità pluriennale devono essere capitalizzati. Non si tratta quindi di una mera facoltà, bensì di un vero e proprio obbligo imposto dai principi contabili OIC 24 e IAS- IFRS 38 in tema di determinazione del costo di "produzione di una immobilizzazione immateriale", i quali stabiliscono che tale valore vada determinato sommando tutti i costi sostenuti sin dall'inizio della realizzazione del bene.

La normativa contabile appena richiamata si adattava perfettamente al caso in esame, in quanto le società che avevano proceduto alla capitalizzazione in discussione avevano dimostrato di aver effettivamente proceduto a realizzare un "bene immateriale di produzione interna", partendo da un semilavorato che era tutt'altra cosa rispetto al software acquistato originariamente. Nello specifico, le società inizialmente avevano semplicemente acquistato una componente (un semilavorato) del più complesso software che è stato realizzato internamente con il contributo di una equipe di dipendenti appositamente dedicata.

Il principio dell'OIC 24 che è stato correttamente applicato dalle tre società è quello che stabilisce, al paragrafo 51, che: "nel caso in cui il bene immateriale sia generato internamente, il costo di produzione comprende tutti i costi direttamente imputabili all'immobilizzazione immateriale".

Essendo stato dimostrato quali fossero i dipendenti che si erano dedicati a quella realizzazione e quante ore erano state dedicate a tale attività, l'accusa era risultata fondata su mere impressioni, in evidente violazione del principio di tassatività della fattispecie penale.

La soluzione adottata dal Tribunale di Ravenna risulta quindi corretta e rispettosa del principio secondo cui, nel reato di bancarotta impropria previsto e punito dall'art. 223, comma 2, n. 2, l. fall., incombe sull'accusa l'onere di dimostrare la dolosità di un'operazione e la sua idoneità a cagionare il fallimento di un imprenditore.

Dott.ssa Federica Bontempi