Supporto psichiatrico nelle carceri: fra normativa, speranze e realtà

10.02.2023

"Il carcere è un momento di vertigine. Tutto si proietta lontano: le persone, i volti, le aspirazioni, i sentimenti, le abitudini, che prima rappresentavano la vita, schizzano all'improvviso da un passato che appare subito remoto, lontanissimo, quasi estraneo".

Così definisce l'esperienza detentiva Francesco Ceraudo, medico penitenziario.

Nonostante l'art. 1. della legge n.354/1975 sancisca che il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità ed assicurare il rispetto delle dignità della persona, ancora oggi, purtroppo, l'espropriazione di ogni riservatezza ed intimità, la rottura dei rapporti con il mondo esterno, la conseguente precarietà dei rapporti affettivi e, talvolta, la violenza, sono componenti quotidiane della vita dei detenuti.

Queste condizioni facilitano spesso lo sviluppo di disagi psichici e disturbi comportamentali negli individui reclusi in carcere. Lo stesso ingresso negli istituti di pena funge da occasione per la slatentizzazione di fenomeni già esistenti, così come lo status di ristretto diviene causa scatenante di alcune forme di disturbo mentale generando delle vere e proprie "psicosi carcerarie".

Esempio concreto è rappresentato proprio dall' emergenza sanitaria da Covid - 19 che ha finito per fare da "cassa di risonanza" alle patologie psichiatriche dei ristretti conducendo, talvolta, a gesti drammatici ed estremi.

Attualmente, dopo cinque anni dall'entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione della riforma dell'ordinamento penitenziario (d.lgs. n. 121,123 e 124 del 2 ottobre 2018), l'assistenza psichiatrica continua a costituire un nervo scoperto del sistema penitenziario non adeguatamente affrontato, sia a livello legislativo che "pratico", lasciando purtroppo il recluso in balia dei propri problemi che con il passare del tempo non di rado diventano irreversibili.

Le indicazioni contenute nel progetto Pelissero sono state solo in parte recepite, nonostante la legge delega indicasse due necessità di cui la Commissione[1] ha tenuto conto: la revisione della disciplina alla luce del d.lgs. n. 230/1999 e il potenziamento dell'assistenza psichiatrica negli istituti di pena.

Un elemento che sicuramente va salutato come un progresso nella tutela di istanze fondamentali del recluso, è la "parificazione" attraverso il richiamo al decreto del 1999 fra detenuti e soggetti liberi in ambito della tutela della salute e in particolare il diritto di godere di prestazioni sanitarie celeri ed efficienti.

Questa specificazione serve a contrastare deviazioni della prassi e ad evitare pratiche sanitarie al quanto discutibili come, ad esempio, la strumentalizzazione della pratica medica sia da parte dei detenuti che dall'amministrazione penitenziaria: i primi, utilizzando il fattore salute per conseguire benefici, la seconda, usufruendo dell'intervento medico e farmacologico per necessità di disciplina e di sicurezza dell'istituto.

Inoltre, dal contesto di revisione della disciplina dell'ordinamento penitenziario, da adeguare alla legge sulla medicina penitenziaria, risulta chiara la necessità di rafforzare l'assistenza psichiatrica, la cui effettività può essere garantita attraverso un forte investimento in termini strutturali e di risorse umane.

La proposta di legge prevedeva, altresì, la riforma degli art. 147 e 148 c.p. finalizzata a razionalizzare la disciplina dei casi di infermità psichica sopravvenuta attraverso l'abrogazione della disciplina dell'art.148 c.p., che era specificatamente ad essa dedicata, e la corrispondente estensione del rinvio facoltativo della pena nei confronti di chi si trovasse in condizioni di grave infermità psichica.

Questo mutamento, seppur minimo nella forma, sarebbe stato determinante nella sostanza consentendo, finalmente, l'equiparazione fra grave infermità fisica e psichica, allineandosi così alle proposte avanzate dal Tavolo 10 (coordinato da Francesco Maisto) degli Stati generali dell'esecuzione penale, il cui obiettivo era quello di superare l'evidente assenza di tutela alla salute per i condannati portatori di problematiche psichiatriche.

Lo stesso art. 11 comma I legge n. 354/1975, prima della riforma, prevedeva la presenza obbligatoria in istituto del medico referente psichiatra. Tale previsione era stata concepita per riuscire a trattare efficacemente le psicopatologie sia di chi accedeva al carcere già malato, sia di chi le sviluppava nel corso della pena.

In realtà, l'art. 11, così come riformato dalla Commissione Pelissero, conteneva alcune indicazioni che, se approvate, avrebbero offerto la base normativa per il potenziamento della sanità penitenziaria, favorendo di riflesso anche l'assistenza psichiatrica.

Ed invero, per garantire idonei interventi risultava necessario, secondo gli esperti, che il servizio sanitario nazionale disponesse un "presidio del dipartimento di salute mentale adeguato alle dimensioni e alle esigenze di ogni istituto".

Nonostante ciò, la nuova formulazione omette il riferimento al servizio psichiatrico con l'effetto paradossale di un arretramento rispetto alla legislazione ante riforma.

Ad oggi, dunque, la mancanza di medici specialisti continua a rappresentare una piaga irrisolta, che riverbera in modo negativo i suoi effetti anche sulla complessiva attività di amministrazione degli istituti. Per di più, a causa dell'esiguo numero dei professionisti incaricati, difficilmente può essere svolto ed assicurato un reale e proficuo percorso terapeutico poiché, incontrando il detenuto una sola volta a settimana (spesso anche meno) e per un lasso di tempo ristretto, non potranno far altro che limitarsi ad una mera azione supportiva di tipo farmacologico.

L'allarmante tasso di suicidi nelle carceri dovrebbe, altresì, spingere affinché vi sia un valido intervento, un passo avanti per il riconoscimento del diritto alla salute intesa come "stato di benessere fisico, mentale e sociale complesso", così definita dall'OMS.

«Garantire il diritto alla salute delle persone detenute significa riconoscere il loro valore di persone».[2]

Dott.ssa Francesca Saveria Sofia


[1] Commissione per la Riforma del sistema normativo delle misure di sicurezza personale e dell'assistenza sanitaria in ambito penitenziario, specie per le patologie di tipo psichiatrico, e per la revisione del sistema delle pene accessorie.

[2] S. Gainotti, C. Petrini, Principio di equivalenza delle cure e il diritto alla salute in ambito carcerario, in Rapporti ISTISAN 19/22, Istituto superiore di sanità