Tra Concordato e discriminazione: il tabù della sessualità tra i banchi di scuola.

05.03.2022

Cass. Sez. Lavoro- ord. n. 31071/2021

L'Ordinanza in questione (Cass. Civ. Sez. L. - ord. n. 31071/2021) riporta il caso di un insegnante al quale non era stato rinnovato il contratto presso un Istituto scolastico religioso, a causa del suo presunto orientamento sessuale.

A seguito della pronuncia della Corte d'Appello di Trento del 2017, che riconosce la natura discriminatoria per orientamento sessuale dell'azione posta in essere dall'Istituto, questo ha proposto ricorso in Cassazione data la condanna al pagamento di 13.300 euro di danno patrimoniale e di 30.000 euro di danno morale nei confronti del docente.

Dei cinque motivi presentati dall'Istituto presso la Corte, quello di maggior rilevanza è sicuramente il terzo, che lamenta "la violazione o falsa applicazione dell'art. 3, co. 3 e 5 del d. Igs. n. 216 del 2003 nonché della I. n. 121 del 1985, concernente la ratifica e l'esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, recante modifiche al Concordato, anche in relazione agli artt. 3 e 33 della Costituzione, per non avere considerato la Corte territoriale che anche il diritto antidiscriminatorio doveva declinarsi tenendo conto della necessità di assicurare la libertà di organizzazione dell'Istituto ricorrente, avuto riguardo alle finalità ispiratrici del medesimo, risultando diversamente leso sia il principio di eguaglianza, che deve tenere conto della diversità delle situazioni, sia quello della libertà di insegnamento".

Ciò che viene lamentato, è in sostanza la mancata applicazione delle modifiche apportate al Concordato secondo le quali la necessità organizzativa dell'Istituto risulterebbe essere superiore anche dinanzi al divieto discriminatorio.

Tale motivazione non è stata ritenuta accoglibile dalla Corte di Cassazione, poiché la "parte ricorrente invoca disposizioni, anche costituzionali, a fondamento della libertà di organizzazione dell'Istituto religioso, ma non spiega adeguatamente come questa libertà possa legittimare condotte apertamente discriminatorie come quelle ritenute ed accertate dai giudici trentini".

Con riguardo invece alla condanna al pagamento di 30.000 euro per danni morali, l'Istituto lamenta una falsa applicazione dell'art. 1223 c.c. (Risarcimento del danno) "per avere la Corte territoriale riconosciuto la sussistenza di un danno non patrimoniale risarcibile senza nulla dire in ordine alla rilevazione di perdite di utilità personali di vita discendenti dall'asserito illecito e, dunque, di fatto accreditando la tesi del danno in re ipsa, disattesa dalla giurisprudenza di legittimità".

La Corte respinge tale motivazione affermando che ciò che è stato leso è il bene persona in quanto tale, quindi anche i valori costituzionalmente garantiti e i suoi diritti inviolabili e fondamentali, in particolare si fa riferimento all'integrità psico-fisica e alla salute, all'onore e alla reputazione, all'integrità familiare, allo svolgimento della personalità ed alla dignità umana".

La Corte di Cassazione rigetta dunque il ricorso proposto dall'Istituto scolastico, confermando il pagamento a titolo di risarcimento per un totale di 43.000 euro a favore del docente e definendo dunque il principio per cui la discriminazione dovuta al presunto orientamento sessuale di un dipendente scolastico, non rientra nelle libertà organizzative e di insegnamento previste dal Concordato.

Dott. Pierluigi Malazzini