Utilizzare piccioni vivi come esca integra il reato di maltrattamento di animali

09.05.2023

Cass. pen. sez. III, 14 Dicembre 2018, n. 17691

Con la sentenza in esame la Suprema Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal difensore di due pescatori toscani condannati dalla Corte di Appello di Firenze per il reato di cui all'art. 544ter c.p., per avere utilizzato piccioni vivi gettandoli nel fiume come esche per la pesca, dopo averli appesi per una zampa all'amo, provocando la morte di quattro uccelli.

Il reato oggetto di odierna disamina punisce il maltrattamento di animali, il quale stabilisce che "chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 mesi a 18 mesi o con la multa da 5 000 euro a 30 000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti dei quali al comma uno deriva la morte dell'animale."

La previsione citata è piuttosto recente: infatti è un vero e proprio manifesto ideologico della Legge n. 189/2004 che ha inserito nel codice penale il Titolo IX bis contenente i reati a tutela del sentimento per gli animali, simbolicamente idoneo ad evidenziare il particolare intento politico criminale ossia la necessità di adeguare la disciplina penale alla mutata sensibilità sociale nei confronti del mondo animale.

La fattispecie ha natura di reato comune, non essendo richiesta alcuna qualifica soggettiva del reo. 

Le condotte che vengono punite sono l'uccisione di animale, la lesione ad animale, la sottoposizione a sevizie (queste ultime intese come sofferenze fisiche volutamente inflitte alla vittima con lo specifico e malvagio intento di vederla soffrire) ovvero a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche dell'animale.

Sotto il profilo soggettivo, la fattispecie è punita a titolo di dolo generico, richiedendo la semplice coscienza e volontà di realizzazione delle condotte delineate e prescindendo dalle finalità perseguite concretamente dal reo. Il terzo comma della norma prevede un aggravio di pena se dai fatti deriva la morte dell'animale. L'evento morte dell'animale deve, perciò, essere una conseguenza non voluta della condotta del reo, configurando un'ipotesi di reato aggravato dell'evento in quanto, altrimenti, sarà configurabile il diverso delitto di uccisione di animali.

Nel caso di interesse, gli imputati hanno proposto ricorso articolando due specifici motivi: innanzitutto, nonostante la Corte di Appello avesse escluso la crudeltà della condotta, gli stessi ritenevano non sussistente il requisito della sua inutilità, non avendo considerato che nella pesca sportiva i piccioni sono prede naturali del pesce siluro; con il secondo motivo di appello, invece, portavano l'attenzione sul fatto che la pesca costituisca attività lecita, pertanto la sua finalità di svago scriminerebbe la condotta tenuto conto, altresì, che l'art. 19 disp. coord. c.p. esclude l'applicabilità delle disposizioni del Titolo IX bis casi previste dalle leggi speciali in materia di caccia, pesca, allevamento, trasporto e macellazione degli animali.

Ripercorriamo il ragionamento della Corte: la stessa ritiene che l'art. 544 c.p. palesi la consapevolezza della natura di esseri viventi degli animali in grado di percepire sofferenze non soltanto di natura fisica, ma altresì di quelle che incidono sulla loro psiche essendo anch'essi passibili di tali menomazioni. Pertanto, si ritiene che il legislatore sia intervenuto sull'impianto codicistico ampliando la sfera di tutela, precedentemente circoscritta all'art. 727 c.p. che già considerava penalmente rilevanti le condotte che "quantunque non accompagnate dalla volontà d'infierire, incidono senza giustificazione sulla sensibilità dell'animale producendo dolore da parte di chi abbandona gli animali o li tiene in condizioni incompatibili con la loro natura, ai comportamenti connotati da maggiore gravità, in quanto dolosi, nei confronti degli animali a prescindere dal rapporto di detenzione da parte dell'agente e dunque in un'ottica di ben più ampio respiro di quella, di fatto, sostanzialmente limitata agli animali di affezione in cui di norma si estrinseca la detenzione, costituente il presupposto applicativo della contravvenzione di cui all'art. 727."

Viene sottolineato, però, che le due norme hanno ambiti applicativi differenti: giurisprudenza sul punto infatti ritiene che "mentre la fattispecie delittuosa punisce chi "cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, è caratterizzata dal solo elemento soggettivo del dolo e non anche da quello della colpa, nonché dall'ulteriore presupposto della crudeltà o della mancanza di necessità, la fattispecie contravvenzionale, invece, punisce, anche a titolo di colpa, la meno grave condotta di chi "detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze", senza richiedere la crudeltà o la mancanza di necessità, né la causazione di lesioni, o la sottoposizione a sevizie, comportamenti, fatiche, lavori insopportabili"[1].

A dire della Corte, l'art. 19 ter disp. coord. c.p. citato in precedenza esclude l'applicabilità delle disposizioni del Titolo IX bis ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali. Pertanto, la tesi difensiva si fonda un'erronea lettura di tale disposizione.

La ratio ispiratrice della norma, infatti, è quella di escludere l'applicabilità delle norme penali con riferimento a tutte quelle attività lesive della loro vita o salute a condizione che siano svolte nel rispetto delle normative speciali. Pertanto, l'esimente dell'esercizio di un diritto di cui all'art. 51 c.p. non risulta affatto applicabile alla fattispecie in esame "dal momento che l'eccezione deve ritenersi operante solo nel caso in cui le attività in essa menzionate vengano svolte entro l'ambito di operatività delle disposizioni che le disciplinano[2]".

Gli Ermellini, poi, entrano nel merito del fatto: è vero che i pescatori praticano tale attività impiegando come esca vermi vivi, ma il loro utilizzo a tal fine non si presta in ogni caso a recare sofferenze. Diverso è l'utilizzo dei piccioni, legati per una zampetta all'amo e costretti a seguire il volo della lenza fino a venire ripetutamente catapultati nel fiume per richiamare il pesce siluro: "è evidente come non solo le condizioni di cattività a cui tali animali sono stati costretti con l'imbracatura alla lenza, ma altresì l'attentato alla loro stessa sopravvivenza con gli affogamenti ripetuti nell'acqua si configuri come una vera e propria sevizia, atta a provocare agli uccelli, quand'anche sopravvissuti, gravi sofferenze, indipendentemente dalle lesioni eventualmente arrecategli.".

Ed aggiunge altresì che la pesca è comunque praticabile con le esche di uso comune senza necessariamente fare ricorso ai piccioni, che non costituiscono le uniche prede del pesce siluro; animali che sono stati sottoposti a condizioni insopportabili per le loro attitudini etologiche, ovverosia incompatibili con il comportamento proprio della specie di appartenenza.

La pronuncia in esame si inserisce in una più ampia giurisprudenza sul "nuovo" tema degli animali, grazie al progressivo evolversi della sensibilità collettiva nei confronti degli stessi, che sono un bene per tutti e non un lusso.

Dott.ssa Melissa Cereda

[1] Cass. pen. sez. III, n. 10163 del 03/10/2017

[2] La scriminante trova il proprio limite applicativo nella funzionalità della condotta posta in essere rispetto agli scopi e alle ragioni posti a base della normativa speciale: dette attività, segnatamente contemplate dalla suddetta norma di coordinamento, devono essere svolte, per potere essere esentate da sanzione penale, nell'ambito della normativa speciale stessa ed ogni comportamento che esuli da tale ambito è suscettibile di essere penalmente valutato (cfr., con riferimento all'attività circense, Sez. 3, n. 11606 del 06/03/2012, Rv. 252251; nonché Sez. 3, n. 40751 del 05/03/2015 - dep. 12/10/2015, secondo cui in forza della previsione dell'art. 19-ter disp. att. c.p. il reato di cui all'art. 544-ter c.p. e le altre disposizioni del titolo 9-bis, libro secondo, del c.p. non si applicano ai casi previsti in materia di caccia ed alle ulteriori attività ivi menzionate, se svolte nel rispetto della normativa di settore).