Vendita di alimenti scaduti: è reato?

19.10.2022

Preliminarmente, chiariamo la differenza delle diciture "da consumarsi preferibilmente entro" e "da consumarsi entro il"

La prima indica il termine minimo di conservazione (t.m.c.), cioè la data entro la quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà qualitative specifiche in adeguate condizioni di conservazione. 

Il secondo riferimento, invece, è apposto solo sui prodotti alimentari altamente deperibili e ha la finalità di indicare la data entro la quale il prodotto deve essere consumato. 

La questione in esame è, dunque, quella di stabilire se la vendita di un prodotto alimentare scaduto configuri il reato di cui all'art. 5, lett. b), L. 283/1962 che vieta l'impiego nella preparazione di alimenti e bevande, la vendita, la detenzione per vendere o somministrare ai propri dipendenti o, comunque, la distribuzione di sostanze alimentari che siano in cattivo stato di conservazione ovvero se si configuri l'illecito amministrativo ex art. 12, comma III, D.lgs. n. 231/ 2017.

Inizialmente, la giurisprudenza maggioritaria poneva l'accento sulla natura di reato di pericolo della suddetta contravvenzione, ravvisandone la sussistenza in caso di prodotti alimentari posti in commercio con la data scaduta di validità poiché il superamento di quest'ultima presumeva lo stato di cattiva conservazione dell'alimento. 

La tesi testè indicata venne estesa, altresì, alle ipotesi di superamento del t.m.c.: la locuzione "da consumarsi preferibilmente entro il" veniva eguagliata alla formula che fissa in modo perentorio la data di scadenza entro cui l'alimento deve essere consumato, attribuendo ad entrambe le circostanze una deteriore condizione intrinseca delle sostanze alimentari, cioè, una condizione di scadimento e di degenerazione dei requisiti di commestibilità. 

La dottrina giuridica, invece, era dell'avviso che il t.m.c. doveva intendersi quale termine di garanzia e non di commestibilità o di commerciabilità.

Queste furono le premesse che condussero le Sezioni Unite a censurare quello che, a quel tempo, rappresentava l'orientamento maggioritario. 

Segnatamente, le suddette evidenziarono il fatto che la presunzione di innocenza e il diritto alla difesa erano stati vulnerati poiché si legittimava, rispetto ai prodotti con data scaduta, la presunzione del loro cattivo stato di conservazione senza concedere al trasgressore la possibilità di sovvertire tale presunzione implicante l'esistenza di un reato. 

In secondo luogo, il giudice di legittimità osservò come l'indirizzo maggioritario si fondasse su un equivoco giuridico: "quello di definire in prospettiva come reato di pericolo e di mera condotta l'ipotesi contravvenzionale dell'art. 5 lett. "b", per poi considerarla erroneamente come reato di evento materiale in punto di arrivo, cioè, nel momento di rapportare ad essa la presunzione di degenerazione dell'alimento per decorso del termine di scadenza (cfr. l'evento del presunto cattivo stato del prodotto)" (Cass. Pen., Sez. Un. 27.09.1995, nr. 1).

Conseguentemente, la sopracitata presunzione di degradazione del prodotto, fatta dipendere dall'azione del tempo, mise in dubbio a quale delle ipotesi tipizzate all'art. 5 L. 283/62 doveva essere rapportata e, al fine di dare una chiara nonché corretta soluzione, fu necessario chiarire che cosa s'intendesse con la nozione "cattivo stato di conservazione". 

Ebbene, la giurisprudenza era piuttosto univoca nel ritenere che il predetto stato si perfezionasse con la semplice detenzione a fine di vendita di sostanze alimentari che fossero idonee a pregiudicare la commestibilità delle stesse. 

Pertanto, non occorreva né la cessione, né la somministrazione, né la produzione di un danno alla salute pubblica e, soprattutto, non si richiedeva per la configurabilità del medesimo che le sostanze alimentari fossero variamente alterate o depauperate.

Successivamente, si susseguirono diverse pronunce della Suprema Corte volte a modificare l'orientamento di cui sopra, ponendo l'attenzione sul fatto che ogni possibile forma di scadimento e di degenerazione chimico microbiologica delle sostanze alimentari trova, di per sè, più appropriata collocazione nelle previsioni tipizzate alle lettere a), c), d) dell'art. 5 L. 283/1962 e non nella lett. b.

Ed invero, il cattivo stato di conservazione deve riferirsi a quelle situazioni in cui le sostanze alimentari, pur potendo essere ancora perfettamente genuine e sane, si presentano mal conservate, cioè preparate o confezionate o messe in vendita senza l'osservanza delle regole dettate a garanzia della buona conservazione sotto il profilo igienico-sanitario e che mirano a prevenire quei pericoli di precoce degradazione o contaminazione o alterazione il cui verificarsi determinerebbe la configurazione delle lettere a), c) e d). Naturalmente, sia per gli alimenti con t.m.c. sia per gli alimenti altamente deperibili non può escludersi che se superata la data di scadenza (o anche prima della stessa) nonché per l'inadeguatezza delle condizioni di conservazione o altra causa, l'alimento possa aver subito alterazioni o degradazioni. Tuttavia, si tratta di eventi che, per aver rilevanza penale, devono essere dimostrati in concreto con i normali mezzi di prova, prima fra tutte le analisi chimiche e microbiologiche.

Ad oggi, dunque, la Corte di legittimità conferma il suo solido orientamento in questa materia, affermando che non può dedursi la cattiva conservazione degli alimenti sulla base del mero superamento della data di scadenza riportata sulla confezione, giacché è necessario accertare in concreto l'inosservanza delle prescrizioni dettate specificamente a garanzia della buona conservazione del prodotto. Conseguentemente, il solo superamento della data di scadenza il reato di cui all'art. 5, lett. b), L. 283/1962, bensì l'illecito amministrativo ex art. 12, comma III, D.Lgs. 231/2017.

Avv. Ester Borio

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