I confini dell’autonomia negoziale: un’analisi dei contratti aleatori
L'istituto del contratto viene inquadrato come il riflesso giuridico della proprietà privata e della libera iniziativa economica, il cui fondamento costituzionale è esplicitamente ancorato all'interno dell'art. 41.
Se la libertà negoziale è libera, essa, allo stesso tempo, non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale e deve indirizzarsi e coordinarsi a fini sociali.
All'interno del codice civile, l'art. 1322, norma che garantisce l'autonomia contrattuale, riveste la stessa portata.
Nell'esercizio della libertà contrattuale, le parti possono stipulare contratti aleatori.
Il codice civile del 1865 definiva e classificava i contratti aleatori, l'art. 1102, infatti, li qualificava come quei negozi in cui il vantaggio di una o entrambe le parti dipende dal verificarsi di un evento incerto, e ricomprendeva in questa categoria, tra gli altri, il contratto di assicurazione e il contratto vitalizio.
Il codice civile attuale non segue l'esempio di quello previgente, e omette una previsione generale analoga di contratto aleatorio.
All'interno del codice, il legislatore ha preferito individuare le singole fattispecie negoziali tipiche e dettare una disciplina ad hoc in base agli istituti coinvolti.
Per una prima impostazione, non del tutto accolta, tale lacuna è voluta; l'ordinamento ammette le sole ipotesi tipicamente previste di contratto aleatorio, le quali fanno eccezione al generale favor apprestato alla tutela della ricchezza derivante dal lavoro e dal risparmio in senso contrapposto a quella speculativa.
In senso contrario, per argomento sistematico, la ricostruzione della categoria viene demandata all'interprete, sulla base dell'evoluzione storico-economica e dell'analisi comparativa tra gli istituti.
In linea generale, si può definire come aleatorio quel contratto in cui la stessa prestazione, o il suo contenuto, o alcuni suoi aspetti, dipendono da eventi futuri e incerti.
I contratti aleatori, dunque, si distinguono da quelli commutativi per il fatto che, in questi ultimi, le parti addivengono alla stipula prevedendo e accettando un limitato margine di rischio.
L'alea considerata è quella giuridico-economica, essa attiene non solo al valore economico della prestazione, ma al modo in cui il suddetto valore incide sul rapporto giuridico tra le parti.
Nei contratti aleatori, l'evento futuro e incerto comporta una sproporzione originaria, genetica, tra le prestazioni.
L'ordinamento ammette negozi di tal fatta perché espressivi dell'autonomia negoziale delle parti, in altri termini, l'ordinamento ritiene meritevole il c.d. "scopo di lucro incerto".
In ciò, il contratto aleatorio si distingue dal contratto sospensivamente condizionato.
Attraverso tale istituto, infatti, le parti stipulano un accordo i cui effetti sono ricollegati a un evento "incertus an et incertus quando", laddove con il contratto aleatorio l'evento incide direttamente sul sinallagma.
A conferma di quanto detto, è pacifico in giurisprudenza che la previsione di cui all'art. 1895 c.c., secondo cui il venir meno dell'alea rende il contratto nullo, si spiega perché a mancare non è un elemento accidentale, ma la stessa causa.
La definizione di una categoria generale di contratti aleatori consente di individuare per essi una disciplina comune.
Nello specifico, l'art. 1472, ult. co. c.c. statuisce che la vendita di cosa futura è nulla se la res non viene ad esistenza, salvo che le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio.
In tale ipotesi, infatti, l'accordo originario sul rischio rende valido un negozio in cui il sacrificio sia a carico di una sola parte.
Nello stesso senso, l'art. 1448, 4° co. c.c. prevede che, in ipotesi di sproporzione ultra dimidium, non sia rescindibile il contratto anche se concluso in stato di bisogno.
La ratio è individuabile nel fatto che, sebbene vi sia stato un approfittamento, il danneggiato conclude un contratto il cui esito dipende da una causa esterna alla volontà e al controllo di entrambe le parti.
Ancora, l'art. 1469 c.c. esclude l'applicazione della disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità per i contratti aleatori.
Tali disposizioni hanno una natura transtipica, essendo fondate sul medesimo presupposto, quale quello dell'accettazione del rischio oltre la normale alea in sede di stipula.
L'art. 1469 c.c., inoltre, fonda il potere di stipulare contratti aleatori al di fuori dei modelli tipici disposti dall'ordinamento, in quanto prevede espressamente che possano essere conclusi "per volontà delle parti".
Dal quadro normativo delineato, dunque, si ricava che il contratto aleatorio non è immeritevole di tutela, infatti, la stessa legge prevede tipi contrattuali di tal fatta, e, in più, non ne afferma l'eccezionalità.
A conferma si rimarca come alle parti non sia neppure impedita la stipula di contratti aleatori atipici.
Principio cardine del nostro ordinamento, infatti, è quello dell'autonomia negoziale, con i propri corollari della buona fede e della correttezza; il concetto di meritevolezza, dunque, è strettamente connesso alla libera estrinsecazione della volontà privata.
Il fatto che un contratto presenti degli elementi "di novità" rispetto a quelli tipici (sia anche un contratto commutativo trasformato in aleatorio) non è da solo indice di immeritevolezza. Si osserva in giurisprudenza che oggetto di valutazione non può essere il rapporto tra le prestazioni, quanto lo scopo economico-individuale, i.e. la causa in concreto, che il suddetto rapporto persegue.
In senso analogo, un ordinamento che consente un giudizio di meritevolezza parametrato sulla convenienza economica del negozio comporterebbe conseguenze estremamente dannose per la certezza giuridica e gli scambi economici.
Dott.Gennaro Ferraioli