Le esenzioni dai reati di bancarotta preferenziale e semplice

08.11.2023

Con la legge 30 luglio 2010 n.22 il legislatore è intervenuto per l'ennesima volta sulla disciplina del diritto fallimentare, modificando il Titolo VI del r.d. 267/2012 sulle Disposizioni penali attraverso l'introduzione di una nuova norma, l'art.217 bis (ora art.324 codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) il quale dispone la non applicabilità degli artt.216 comma 3 e art.217 ai pagamenti e alle operazioni compiuti in sede di esecuzione di un concordato preventivo di cui all'art.160 ss. l.fall., di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'art.182 bis ovvero del piano di risanamento di cui all'art.67 comma 3 lett d) legge fallimentare

Come sostenuto da autorevole dottrina (Amarelli), la funzione perseguita dall'art.217 bis l.fall. non è quella che in apparenza si sarebbe portati ad attribuirle, vale a dire di completamento penalistico della innovativa disciplina civilistica dettata in materia di soluzioni concordate della crisi d'impresa negli anni passati, bensì quella di chiarimento della stessa disciplina civilistica.

Il suo obiettivo è quello di aumentare l'appeal di quest'ultima per i suoi potenziali fruitori, sgomberando il campo da possibili equivoci circa l'eventuale rilevanza penale dei comportamenti da essa descritti e di porre un argine sicuro nei confronti di una giurisprudenza spesso incline a privilegiare in materia fallimentare soluzione esegetiche eccessivamente rigorose.

Tra le diverse problematiche che ineriscono l'articolo in esame vi è quella relativa la qualifica dell'istituto.

La dottrina, escludendo che la fattispecie possa avere natura di causa di esclusione dell'antigiuridicità ovvero di causa di non punibilità in senso stretto, si è finora espressa nel senso che la previsione del'art.217 bis l.fall. contribuisca a descrivere, in senso limitativo, il fatto tipico della fattispecie richiamate, introducendo quindi un elemento costitutivo negativo del fato di reato e potendo, quindi, essere ricondotta nella categoria delle cause di esclusione della tipicità.

Dunque, unico elemento indispensabile per escludere la sussistenza dei reati di bancarotta preferenziale e semplice sembra essere quello "modale" dell'effettuazione dei pagamenti e delle operazioni "in esecuzione" di un piano di risanamento, di un accordo di ristrutturazione ovvero di un concordato preventivo.

Per quanto concerne il ruolo del giudice penale nell'accertamento dell'effettiva esecuzione del piano di risanamento, dell'accordo di ristrutturazione ovvero del concordato preventivo, è dubbio se costui debba prendere meramente atto della sussistenza di una di tali soluzioni o se abbia altresì il potere di verificare la ragionevolezza ed efficacia economica dell'accordo fra debitore e creditori a superare lo stato di crisi.

Il piano contemplato nell'articolo 67, comma 3, lettera d) è un accordo di natura puramente privata, che non è soggetto a revisione o scrutinio da parte di un tribunale. Di conseguenza, si sostiene che la sua validità e logicità debba essere valutata da un giudice penale, poiché non è accettabile che un accordo di natura privata possa, per se stesso, escludere l'applicazione di norme penali.

La situazione è differente per gli altri due strumenti di composizione della crisi, ovvero il concordato preventivo e l'accordo di ristrutturazione dei debiti. In entrambi questi casi, viene eseguito un primo esame da parte del Tribunale fallimentare, principalmente per garantire la correttezza formale della procedura.

Secondo una parte della dottrina, la valutazione del giudice penale circa la serietà ed efficacia dell'accordo deve essere condotta in modo inversamente proporzionale all'ampiezza degli accertamenti dal Tribunale civile in sede di omologazione.

D'altro canto, secondo un'altra interpretazione, il giudice penale non dovrebbe effettuare ulteriori controlli sul piano che è stato predisposto e poi non è andato a buon fine, ma dovrebbe basarsi sulla decisione già espressa dalla giurisdizione civile sul medesimo punto.

Infine, l'opinione più convincente è quella di chi, basandosi su una corretta interpretazione dei poteri del giudice penale secondo l'articolo 2 del codice di procedura penale, che gli attribuisce piena competenza su ogni questione rilevante per la decisione, ammette la piena sindacabilità in sede penale del contenuto dell'accordo omologato, al fine di apprezzare se, nel concreto, il piano predisposto e non andato a buon fine avesse o meno in seno il germe della fraudolenza, venendo così meno la possibilità di ritenere operante l'esenzione ai sensi dell'art.217 bis.

Dott.ssa Francesca Saveria Sofia