Body shaming: una vergogna nello sport

26.01.2024

Viviamo in un'epoca in cui per la società conta molto l'aspetto fisico. Questo è diventato la base di partenza per definire una persona.

In detto contesto rileva il fenomeno del body shaming, quale pratica utilizzata per offendere e sminuire una persona a causa del proprio aspetto, sia verbalmente, mediante commenti o insulti allo scopo di far provare disagio o vergogna, sia mediante comportamenti di esclusione da determinati contesti sociali.

Le vittime sono prese di mira a causa di caratteristiche particolari del loro corpo come, ad esempio, l'eccesso di peso, la magrezza, l'acne, la forma del naso, la presenza di piercing e tatuaggi, il colore della pelle, la comparsa della cellulite, di smagliature o comunque per particolari predisposizioni fisiche.

Nello specifico questo fenomeno si verifica quando le persone non corrispondono alla "bellezza approvata" della società odierna.

Le forme di body shaming sono diverse: le principali sono il  "fatshaming" che si verifica quando ad essere prese in giro sono le persone con qualche chilo di troppo ed il "thinshaming" che riguarda coloro che sono considerati troppo magri o che presentano veri e propri disturbi della nutrizione.

Il body shaming, oltre che attraverso i social media, luogo in cui il fenomeno ha una rapida progressione, si verifica in ogni contesto sociale: all'interno delle scuole, in famiglia e in tutti gli sport.

Sebbene lo sport venga considerato un "veicolo di inclusione, partecipazione e aggregazione sociale nonché uno strumento di benessere psico-fisico e di prevenzione"[1], nella realtà è un predominante veicolo di discriminazione del corpo.

Molti allenatori scelgono gli atleti esclusivamente in base al fisico, convinti che sia "il tutto" per emergere, vincere.

Quindi per "essere bravi" bisogna essere "socialmente perfetti"?

L'allenamento, la tenacia, la passione, lo studio della tecnica hanno meno valore?

No!

Anzi, è meritevole chi, pur avendo una predisposizione fisica apparentemente non adatta, si impegna per raggiungere determinati obiettivi.

Il body shaming nello sport si verifica ovunque, a partire dagli allenamenti: "sei troppo grassa", "devi dimagrire", "non ce la puoi fare", "non è lo sport giusto per te" sono solo alcune delle moltissime affermazioni che tanti allenatori considerano motivazionali. Ma sbagliano. Senza alcuna ombra di dubbio.

Nella preparazione delle gare ovvero nelle semplici esibizioni amatoriali quante volte ci si è sentito dire "tu non gareggi perché sei ingrassata!?". Oppure lo stesso concetto viene passato in maniera più velata?

Sicuramente, anche se comunicato il maniera più blanda, fa comunque male. Fa sentire sbagliati. Inferiori. Non all'altezza. E così ci si allontana dallo sport.

Nello sport ad alti livelli, gli stessi cambiamenti fisici conseguenti ai costanti allenamenti portano a critiche e insulti. Sono, infatti, moltissime le campionesse mondiali, olimpiche o europee che subiscono denigrazioni e discriminazioni. E maggiore è la loro visibilità, per esempio sui social media, maggiore è l'esposizione alle critiche.

Le conseguenze di questo fenomeno sono molteplici.

Smettere di fare sport è deleterio: soprattutto al giorno d'oggi, quando in età adolescenziale si conduce uno stile di vita sedentario, tra i banchi di scuola o seduti a giocare alla play station.

Ma non solo. Situazioni di body shaming comportano grande stress ed ansia sociale, patologie cliniche che difficilmente si possono superare nella loro totalità.

È, quindi, il benessere mentale a essere minato, nonché la fiducia che ognuno ha in sé. Subentra cosi la vergogna, ma anche la depressione e disturbi del comportamento alimentare.

Nei casi più gravi si possono verificare comportamenti autolesivi che si scatenano dalla difficoltà di tollerare vissuti dolorosi.

Quindi si può affermare che lo sport, quale veicolo di inclusione, aggregazione, partecipazione e sviluppo del benessere psicofisico, è ancora soggetto a forti forme di discriminazione.

In quest'ottica è importante comunicare che il body shaming è punibile. Infatti, se viene attuato in modo tale da integrare gli elementi tipici, può configurare il reato di diffamazione ex art. 595 c.p. e il reato di stalking ex art. 612 bis c.p.

La diffamazione si verifica quando gli insulti sull'aspetto fisico vengono fatti pubblicamente è la condotta si considera aggravata se il body shaming viene attuato mediante internet o a mezzo stampa.

Lo stalking, invece, si configura quando la condotta denigratoria diventa costante nel tempo, provocando alla vittima un malessere psicologico tanto da costringerla a cambiare le proprie abitudini di vita, come nel caso in cui un atleta smetta di frequentare determinati luoghi per il timore di essere spregiato o messo in ridicolo.

Quando il fenomeno in esame presenta gli elementi costitutivi di uno dei suddetti reati è necessario sporgere una querela, quale condizione di procedibilità del reato, salva la procedibilità di ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore, di una persona disabile o vi è già stato un avvertimento da parte del Questore.

Il diritto di querela è disciplinato dagli artt. 120 e ss. c.p. e consiste nella manifestazione di volontà della persona offesa dal reato che si proceda per punire l'autore dello stesso.

Per i minori di quattordici anni e per gli interdetti il diritto in esame è esercitato dal genitore o dal tutore, mentre possono presentare querela i minori che hanno compiuto i quattordici anni e gli inabilitati, avendone comunque facoltà anche i genitori o il tutore ovvero il curatore, senza che i diretti interessati vi si possano opporre.

La persona offesa dal reato, quindi, ha la possibilità di subordinare l'esercizio dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero alla propria volontà.

Nell'atto di querela è necessario che venga descritto il fatto di reato, nonché deve essere chiara la volontà del querelante che si proceda in ordine al fatto e se ne punisca il colpevole.

La querela, ai sensi dell'art. 124 c.p., è proponibile nel termine di tre mesi decorrenti dal giorno in cui l'offeso ha avuto notizia del fatto che costituisce reato. Si tratta di un termine perentorio, la cui inosservanza comporta la decadenza dal diritto di proporla.

In alcuni casi, come ad esempio per il reato di stalking, il termine per proporre la querela è di sei mesi.

È necessario ricordare che la querela si estende di diritto a tutti coloro che hanno commesso il fatto e il reato commesso a danno di più persone è punibile anche se la querela è proposta da una sola di esse.

La persona offesa dal reato, non essendo necessaria l'assistenza di un avvocato, può presentare la querela direttamente alla Procura della Repubblica ovvero agli incaricati di polizia giudiziaria che provvederanno a trasmettere la notizia di reato al Pubblico Ministero senza ritardo.

In seguito alla proposizione della querela, la notizia di reato viene comunicata alla Procura della Repubblica e le forze dell'ordine avvieranno le dovute indagini.

Nel caso in cui il Pubblico Ministero ritenga che la notizia sia fondata, provvederà a formulare la richiesta di rinvio a giudizio e la persona offesa dal reato potrà costituirsi parte civile nel corso del procedimento penale al fine di richiedere il risarcimento dei danni subiti.

Per completezza, si ricorda che nei casi di maggiore gravità il fenomeno del body shaming può integrare il reato di istigazione o di aiuto al suicidio, ma in questo caso il delitto è procedibile d'ufficio.

Sicuramente sono da realizzare e incentivare campagne di sensibilizzazione al fine di diffondere l'idea di una cultura più sensibile e volta al contrasto degli stereotipi.

Negli ultimi anni, in contrasto con il fenomeno di cui si tratta, è nato il movimento del Body Positivity, incentrato alla lotta della derisione del corpo.

Esso è finalizzato a promuovere l'accettazione di se stessi, non solo a livello di peso, ma di ogni sua singola sfumatura.

L'obiettivo consiste nello sfidare i canoni e i pregiudizi della società riguardo ai corpi, al fine di considerarli tutti ugualmente belli nelle loro diversità.

Una tutela esiste, seppur il fenomeno in esame sia difficile da riconoscere e da provare.

Per molti atleti può sembrare normale subire certe situazioni, magari convinti che sia la corretta via, se non l'unica, per raggiungere dei risultati.

Ma se lo si riconosce, allora, può subentrare il fattore "paura". Paura di confidarsi, di aprirsi agli altri, di esternare quello che accade e ciò che si prova a livello fisico ed emozionale.

Una volta riconosciuto il fenomeno e superata la paura di manifestare ciò che accade è importante "fare squadra" per avere le prove concrete del fatto.

Quindi, da giurista ed allenatrice vi dico: ragazzi, confidatevi! Tra di voi, con i vostri genitori, con qualsiasi persona che possa darvi aiuto e supporto.

Lo sport deve essere disciplina, educazione, apprendimento, ma anche divertimento, aggregazione e momento di sfogo.

E ricordiamo di non fermaci mai dietro le apparenze!

Dott.ssa Linda Vallardi

[1] "ll CONI e il ruolo sociale dello sport", Bilancio di sostenibilità 2015, www.coni.it