Sulla natura della confisca per equivalente alla luce delle Sezioni unite 8 febbraio 2025, n. 13783

12.11.2025

A cura di Dott. Marco Misiti

Il principio di diritto affermato nella sentenza delle Sezioni unite dell'8 febbraio 2025, n. 13783, ha rappresentato una grande novità nell'ambito dell'applicazione della disciplina della confisca

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che: 

i) la confisca di somme di denaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendosi far discendere detta qualifica dalla mera natura del bene; 

ii) in caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva tra i concorrenti, la confisca è disposta nei confronti del singolo limitatamente a quanto da esso conseguito, operando il criterio della ripartizione in parti uguali solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo; 

iii) i medesimi principi applicabili per la confisca sono valevoli anche per la misura del sequestro.

Le conclusioni della sentenza costituiscono tuttavia l'epilogo di un percorso argomentativo ben più intrigato, che si occupa di vari istituti e dei relativi quesiti giuridici. Tra questi, una particolare attenzione merita il passaggio motivazionale relativo alla natura della confisca per equivalente.

Come noto, trattasi di una ipotesi peculiare di misura ablatoria che, pur traendo spunto da quella prevista all'art. 240 c.p., se ne discosta per aggredire non gli instrumenta e i producta sceleris, bensì somme di denaro, beni o altre utilità aventi valore equivalente[1]. Tale istituto è stato introdotto per ovviare alla difficoltà di rinvenire nelle disponibilità dell'indagato/imputato i beni da apprendere i quali, infatti, potevano nel frattempo essere stati dispersi o sostituiti.

Ciò che caratterizza questo tipo di confisca è l'assenza di quell'elemento tipico della misura di sicurezza patrimoniale: il nesso di pertinenzialità tra il reato e la cosa ablata, pericolosità che l'istituto di cui all'art. 240 c.p. mira a neutralizzare.

Tenuto conto che la confisca per equivalente – volta a ripristinare la situazione anteriore alla realizzazione del reato mediante l'imposizione di un sacrificio al reo – prescinde dalla derivazione diretta del bene appreso dall'illecito penale, la giurisprudenza ha da tempo sostenuto che la stessa abbia natura di pena alla luce dei criteri Engels, con conseguente applicazione di tutte le garanzie tipiche del diritto penale[2].

Con la sentenza n. 13783, invece, la Corte di cassazione ha ribaltato tale conclusione. Invero, la Suprema Corte ha affermato che, sebbene la confisca per equivalente abbia sempre una natura afflittiva e sanzionatoria poiché – come in tutte le forme di confisca – determina un sacrificio in capo al reo consistente nella privazione di un bene, al tempo stesso non ogni afflizione costituisce necessariamente una pena. La qualificazione della natura della confisca per equivalente dipenderebbe dalla tipologia di confisca diretta e, di conseguenza, dalla proporzionalità della misura ablatoria.

La conclusione a cui giunge la Suprema Corte è la seguente: «la confisca del profitto, anche per equivalente, assolve, dunque, sempre ad una funzione recuperatoria: essa ha una funzione sanzionatoria nella misura in cui colpisce beni che non hanno derivazione dal reato e può assumere, solo in determinate occasioni, una funzione punitiva». In particolare, «la natura della confisca per equivalente deriva e dipende dalla natura della confisca diretta a cui accede: se la confisca diretta ha natura "recuperatoria" (confisca del profitto), la confisca per equivalente sarà recuperatoria; se la confisca diretta ha carattere punitivo […] la confisca per equivalente sarà punitiva».

Tali affermazioni costituiscono una decisa rottura con il pregresso giurisprudenziale che, invece, ha sempre propeso per la natura sostanzialmente penale della misura ablatoria. 

Una impostazione che andrebbe rimeditata, secondo la sentenza da ultimo citata, alla luce delle affermazioni espresse in due pronunce della Corte costituzionale: 112 del 2019, la quale, indipendentemente dalla natura diretta o per equivalente della confisca, ne avrebbe distinto la natura punitiva giuridica in base all'oggetto del provvedimento ablativo e alla diversa incidenza del principio di proporzionalità; 7 del 2025, la quale avrebbe confermato la natura ripristinatoria, e non punitiva, della confisca, anche per equivalente, del profitto.

Un'analisi approfondita delle sentenze da ultimo richiamate, tuttavia, consente di effettuare alcune precisazioni.

La sentenza n. 112 del 2019 affronta la questione di legittimità costituzionale relativa alla confisca amministrativa per equivalente prevista dagli artt. 187-sexies e 187-quinquiesdecies del TUF, relativa non solo al profitto ma anche ai mezzi impiegati per commettere il reato o l'intero prodotto. Il giudice delle leggi, affermata l'applicabilità del principio di proporzionalità sia alle pene che alle sanzioni amministrative, ha ritenuto che la previsione della confisca obbligatoria – diretta o per equivalente – del prodotto o dei mezzi utilizzati ne costituisca una violazione. Nella sentenza della Corte costituzionale non si rinvengono affermazioni sulla natura della confisca per equivalente, elemento indifferente ai fini della soluzione del caso di specie.

Diverso il percorso argomentativo seguito nella sentenza n. 7 del 2025. Pronunciandosi sulla confisca dei mezzi utilizzati per commettere il reato prevista dall'art. 2641 c.c., e richiamando la sentenza precedentemente menzionata, il giudice delle leggi ritiene l'obbligatorietà della misura ablatoria contrastante con il principio di proporzionalità

Tale contrasto è stato ravvisato tanto nei confronti della confisca diretta, quanto nei confronti della confisca per equivalente, entrambe aventi natura di pena. La prima perché sarebbe sempre sproporzionata, incidendo su beni di legittima disponibilità del reo, seppur utilizzati per fini illeciti. 

La seconda, invece, perché «laddove […] la confisca di un bene o di una somma di denaro abbia natura di pena, quella medesima natura dovrà essere ascritta anche alla corrispondente ipotesi di confisca per equivalente».

In sintesi, la prima pronuncia della Corte costituzionale non si interroga sulla natura punitiva della confisca per equivalente, così come la seconda sentenza, al di là dello scarno inciso argomentativo, non sembra poter essere addotto per sostenere un revirement giurisprudenziale. 

Del resto, leggendo tra le righe della sentenza n. 7 del 2025, si potrebbe anche sostenere che, se la confisca per equivalente ha natura punitiva qualora anche la confisca diretta abbia natura punitiva, la prima potrebbe comunque essere qualificata come pena quando tale non è la seconda.

Così ricostruito il pregresso giurisprudenziale della Corte costituzionale, l'impostazione condivisa dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 13783 sembra non poggiarsi su solide basi argomentative. Del resto, anche la giurisprudenza di legittimità più recente, anche successiva alla sentenza n. 112 del 2019, ha sostenuto la natura di pena della confisca per equivalente motivando sulla carenza del nesso di pertinenzialità.


[1] Per un'analisi della confisca diretta e della confisca per equivalente si rinvia a E. Mezzetti, Diritto penale. Dottrina, casi e materiali, Torino, 2023, 871 ss. e 882 ss.

[2] In tal senso si era espressa la Corte di cassazione con le seguenti pronunce: Sez. U, 22 novembre 2005, n. 41946; Sez. III, 28 ottobre 2015, n. 43397; Sez. III, 13 settembre 2019, n. 38023; Sez. U, 31 gennaio 2023, n. 4145, la quale, ai paragrafi 4 e seguenti del Considerato in diritto, richiama pronunce della Corte costituzionale e della Suprema Corte.