Il contratto di appalto

20.06.2022

L'articolo 1655 del codice civile definisce il contratto di appalto e recita testualmente:

"l'appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro".

Si evince che l'appalto è un contratto bilaterale, consensuale e a titolo oneroso, con il quale una parte chiamata appaltatore, si impegna nei confronti di un'altra parte denominata appaltante o committente ad eseguire di un'opera o a compiere un servizio, dietro il pagamento di un compenso in denaro.

Si tratta, dunque, di un contratto di risultato e non di attività. Inoltre, si distingue dal contratto d'opera in quanto l'appaltatore non deve personalmente occuparsi del compimento delle opere commissionate, ma servirsi della propria organizzazione e gestirla a tal fine.

Caratteristica dell'appalto è la gestione "a rischio" dell'appaltatore, il quale provvede, operando in autonomia rispetto al committente e secondo la propria discrezionalità, ad organizzare tutti i mezzi necessari per l'esecuzione del contratto.

L'appaltatore, dunque, non può essere che un imprenditore nel quale l'opera o il servizio possono essere compiuti con lavoro prevalentemente proprio e senza bisogno di disporre di appositi complessi produttivi.

Fra le caratteristiche più rilevanti di questo tipo contrattuale è da rilevare come lo stesso sia un contratto ad esecuzione "prolungata" e non continuata. Tale peculiarità determina che ogni atto di esecuzione dell'appaltatore non soddisfi un interesse del committente. L'appaltatore è adempiente nel solo momento in cui l'opera è portata e termine ed è collaudata, così come stabilito dall'articolo 1665 c.c.. Il corrispettivo dell'appaltatore, salvo patto contrario, si matura soltanto al compimento ed al collaudo dell'opera.

Il contratto di appalto consente al committente, inoltre, l'utilizzo dei rimedi risolutori generali, così come previsti dagli articoli 1453 s.s. c.c.

La natura indivisibile della prestazione dell'appaltatore determina, infatti, che anche un inadempimento parziale dell'appaltatore corrisponda di fatto ad un inadempimento totale. L'accoglimento avente ad oggetto la domanda di risoluzione giudiziale del contratto dispenserà il committente dal pagamento del corrispettivo dovuto.

Anche al di fuori dei casi di inadempimento, i rimedi risolutori specificamente previsti dal legislatore nell'ambito del contratto di appalto presentano delle peculiarità. L'articolo 1668 c.c. prevede infatti un rimedio per il caso di difformità o vizi dell'opera. Nel caso questi non siano tali da rendere l'opera del tutto inadatta alla sua destinazione, l'appaltatore dovrà, eliminarli a proprie spese o ridurre il proprio corrispettivo.

Nel caso, le difformità o i vizi siano tali da renderla inadatta alla propria funzione, il committente potrà legittimamente domandare la risoluzione dell'appalto.

In alcuni casi sarà possibile che il contratto di appalto si risolva in assenza di una domanda giudiziale. Il codice prevede tre ipotesi di questo tipo.

1) La diffida ad adempiere

Il committente adempiente avrà la facoltà di inviare tale lettera di diffida all'appaltatore, assegnando allo stesso un termine congruo non inferiore a quindici giorni per il compimento delle opere pattuite. Qualora anche in seguito a tale diffida l'appaltatore risulti inadempiente, il contratto di appalto si risolverà di diritto. Non vi sarà quindi la necessità di una domanda giudiziale.

2) La clausola risolutiva espressa

La risoluzione del contratto d'appalto opererà di diritto anche nella circostanza in cui sia stata pattuita una clausola risolutiva espressa. Questo avverrà quando i contraenti abbiano previsto la risoluzione al verificarsi di determinate circostanze di grave inadempimento (articolo 1456 c.c.).

3) Il decorso del termine essenziale

Ultima circostanza in cui la risoluzione opererà di diritto sarà con il decorso del termine essenziale. Il termine essenziale è tale quando debba ritenersi oggettivamente essenziale per una delle parti (articolo 1457 c.c.).

Il recesso unilaterale "ad nutum", del committente non è tuttavia privo di conseguenze giuridiche. L'esercizio di tale diritto potestativo non lo dispensa infatti dal dover tenere indenne l'appaltatore dalle spese sostenute, dalla parte dell'opera eseguita ed anche dal mancato guadagno. In sintesi, la possibilità di recedere del committente è controbilanciata dal legislatore che, di fatto, prende in considerazione questo recesso alla stregua di un inadempimento.

La giurisprudenza, tuttavia, nel considerare l'utilizzo di questo diritto potestativo, ha fatto salvo il diritto del committente, esercitato il recesso ai sensi dell'articolo 1671 del codice civile, di chiedere il risarcimento dei danni per gli eventuali inadempimenti dell'appaltatore: così si è espressa la Corte di Cassazione con due pronunce e rispettivamente la Cassazione n. 1491/1975 e la Cassazione n. 2055/1980. Anche all'appaltatore è concesso recedere secondo quanto disposto dal secondo comma dello stesso articolo, quando l'importo delle variazioni supera il sesto di quanto originariamente pattuito. L'appaltatore conserva però il diritto ad "un'equa indennità".

Avv. Daniela Evoluzionista

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