
Frasi di natura razzista: tra diritto di critica politica e diffamazione
La critica di natura politica, per quanto dura e incisiva, deve limitarsi alla critica delle idee e del programma e di quanto realizzato, mentre non può estrinsecarsi mediante espressioni apertamente denigratorie della dignità e della reputazione altrui, ovvero che si traducono in un attacco personale o nella pura contumelia.
L'art. 595 c.p.p. tutela la reputazione del soggetto passivo ed è configurato come reato comune.
L'elemento materiale del reato richiede i seguenti elementi:
- assenza dell'offeso che consiste nell'impossibilità per il soggetto passivo di percepire la condotta diffamatoria: in ciò viene fatta consistere la maggiore gravità della fattispecie rispetto alla previsione che la precede, in quanto il soggetto non può difendersi dall'addebito;
- comunicazione con più persone, quale comunicazione con almeno due persone anche se non contemporaneamente;
- offesa all'altrui reputazione, attributive di qualità sfavorevoli alla persona offesa, ovvero che gettino, comunque, una luce negativa su quest'ultima.
L'elemento soggettivo è dato dal dolo è generico consistente nella consapevolezza di pronunciare o di scrivere una frase lesiva dell'altrui reputazione, ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone.
La norma prevede poi delle circostanze aggravanti nel caso in cui l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato, ovvero quando l'offesa sia arrecata con il mezzo della stampa, con qualsiasi altro mezzo di pubblicità ovvero in atto pubblico; la competenza a giudicare è del Tribunale monocratico in caso delle aggravanti previste dal terzo e quarto comma e del Giudice di Pace per il primo e secondo comma[1].
La norma contempla poi, ex art. 51 c.p., due cause di giustificazione, l'esercizio del diritto di cronaca e di critica, quali espressione della libertà di manifestazione del pensiero.
Circa i requisiti caratterizzanti il necessario bilanciamento degli interessi in conflitto ai fini dell'operatività della scriminante del diritto di cronaca, questi si individuano in quello sociale all'informazione e nella continenza del linguaggio e nella verità del fatto narrato.
Una delle ragioni fondanti dell'esclusione della antigiuridicità della condotta lesiva dell'altrui reputazione viene individuata proprio nell'interesse generale alla conoscenza del fatto nel momento storico e, quindi, neII'attitudine dell'informazione a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che il cittadino possa liberamente orientare le proprie scelte nel campo della formazione sociale, culturale e scientifica.
È pacifico, inoltre, che l'esercizio del diritto di cronaca ha efficacia scriminante riguardo al fatto diffamatorio, a condizione che la notizia divulgata, oltre che socialmente rilevante e descritta con continenza espressiva, sia vera, nel senso che questa deve essere riportata in modo completo.
In tal caso, ove la notizia dal contenuto diffamatorio presenti profili di interesse pubblico all'informazione, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione, il diritto di cronaca prevale anche sul rispetto deII'altrui reputazione.
Sul punto la giurisprudenza europea ha ritenuto che l'incriminazione della diffamazione, intesa quale interferenza rispetto alla libertà di espressione, si pone in contrasto con l'art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, a meno che non sia "prescritta dalla Iegge", non persegua uno o più degli obiettivi legittimi, ex art. 10 § 2 e non sia "necessaria in una società democratica"[2].
Quanto all'esimente putativa del diritto di cronaca, si configura qualora emergano gli estremi di un incolpevole e involontario errore percettivo del giornalista sulla corrispondenza al vero del fatto esposto.
Ai fini dell'operatività della scriminante è necessario che il giornalista abbia assolto all'obbligo di esaminare, controllare e verificare quanto oggetto della sua narrativa; al contrario, l'esimente putativa non potrà essere affermata in ragione del presunto elevato livello di affidabilità della fonte se il cronista non ha provveduto a sottoporre al dovuto controllo la notizia[3].
È comunque necessario che il giornalista non solo abbia esaminato i fatti narrati ma sia anche in grado di offrire la prova dell'effettività delle verifiche svolte per valutare l'attendibilità della notizia.
Di particolare interesse è anche il rapporto tra il delitto di diffamazione e il diritto di critica politica, che ha interessato – in varie occasioni – la giurisprudenza di legittimità.
Da ultimo la Corte di cassazione[4] ha recentemente stabilito che: «L'elaborazione della giurisprudenza di questa Corte sul tema del diritto di critica politica ne restituisce, invero, l'essenza quale peculiare espressione del diritto al dissenso, che vede come obiettivi esponenti politici o pubblici amministratori nei confronti dei quali l'attenzione della pubblica opinione in una società democratica è massima, in ragione del controllo diffuso sul loro operato (Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020, Capozza Antonio Nicola, Rv. 279909) o verso esponenti di una parte politica avversaria, portatrice di una diversa visione dei rapporti tra libertà individuali e limiti al loro esercizio (Sez. 5, n. 7626 del 4/11/2011, dep. 2012, P.G. in proc. De Simone Rv. 252160).
Ne consegue che non può attrarsi nello spettro del legittimo esercizio della critica politica l'invettiva rivolta ad individui o aggregazioni determinate, selezionate esclusivamente per il colore della pelle o per la provenienza geografica, e non già quale contraddittore politico, al di fuori di un leale confronto dialettico.
In altri termini, l'estensione del diritto di critica politica tollera la polemica intensa e dichiarata su temi di rilevanza sociale, senza trascendere in attacchi personali, finalizzati all'unico scopo di aggredire la sfera morale altrui, sempre che il nucleo ed il profilo essenziale dei fatti non siano strumentalmente travisati e manipolati (Sez. 5, n. 11662 del 06/02/2007, Iannuzzi ed altri, Rv. 236362), tanto da determinare una distorsione inaccettabile rispetto all'intento informativo dell'opinione pubblica che è alla base del riconoscimento dell'esimente».
Si deve infatti considerare che il legittimo esercizio del diritto di critica, pur non potendosi pretendere caratterizzato dalla particolare obiettività propria del diritto di cronaca, non consente comunque gratuite aggressioni alla dimensione morale della persona offesa e presuppone sempre il rispetto del limite della continenza delle espressioni utilizzate, da ritenersi superato nel momento in cui le stesse, per il loro carattere gravemente infamante o inutilmente umiliante, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, la cui persona ne risulti denigrata in quanto tale.
In definitiva ciò che determina l'abuso del diritto è la gratuità delle espressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione; è l'uso dell'argumentum ad hominem, inteso a screditare l'avversario politico mediante l'evocazione di una sua pretesa indegnità o inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni.
Con riferimento poi all'esimente del diritto la critica ala Corte ha precisato che: «Al riguardo, è appena il caso di ribadire come l'esimente del diritto di critica non vieta tout court l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (Sez. 5, n. 17243 del 19/02/2020, Lunghini Claudio, Rv. 279133); sicché il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalità espressive utilizzate e non al contenuto comunicato (Sez. 5, n. 18170 del 09/03/2015, Mauro e altri, Rv. 263460).
Il limite della continenza è, invero, superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in gratuite aggressioni verbali o in iperboli espressive, di guisa che anche il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, fermo restando che il medesimo non può, comunque, giustificare l'uso di espressioni che si risolvano nella offesa della persona offesa in quanto tale».
Si deve quindi ritenere che nell'ottica del bilanciamento degli interessi coinvolti, il diritto di cronaca e critica e la tutela alla propria reputazione, occorre sempre valutare le espressioni anche alla luce del contesto storico e sociale nelle quali questo si inseriscono.
Il delitto di diffamazione si configura appunto quando il legittimo dissenso contro le iniziative e le idee politiche altrui, diviene una mera occasione per aggredirne la reputazione della persona offesa con affermazioni che non si risolvono in critica, anche estrema, delle idee e dei comportamenti, nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni e commenti tipicamente di parte, cioè non obiettivi, ma in espressioni apertamente denigratorie della dignità e della reputazione altrui ovvero che si traducono in un attacco personale o nella pura contumelia.
[1] M.T. TRAPASSO, Sub. 595 c.p., in Dejure.
[2] M. CASELLA, Critica politica e diffamazione: i limiti e il presupposto della «continenza», Njus, 01.04.2022.
[3] G. FAILLACI, L'accertamento della veridicità della notizia quale presupposto per l'operatività della scriminante putativa del diritto di cronaca nel reato di diffamazione, in Njus, 24.06.2021.
[4] Cass. pen., sez. V, sent. 5 agosto 2024, n. 31850.