Il danno da insidia e trabocchetto stradale

04.09.2023

Quante volte percorrendo il manto stradale ci siamo imbattuti in un pericolo non prevedibile, non visibile e non evitabile?

Molti dei sinistri che avvengono sulle nostre vie, infatti, sono frutto di anomalie di un manto stradale apparentemente regolare e privo di insidie; è necessario, però, precisare in questa sede che se gli incidenti che scaturiscono da insidie stradali, possono essere risarciti quando ricorrono alcune condizioni, non sempre è possibile ottenere un risarcimento.

Il danneggiato che intende proporre una richiesta di risarcimento per un danno da insidia stradale è tenuto a provare che pur avendo utilizzato l'ordinaria diligenza, non è riuscito ad evitare l'insidia che, pertanto, era occulta e non prevedibile.

Sulla base di ciò, va da sé che qualora questi avesse previsto o saputo dell'esistenza del pericolo, con l'ordinaria diligenza avrebbe dovuto evitarla, non avendo, quindi, diritto ad un risarcimento.

Proprio in merito al risarcimento del danno da insidia stradale, tuttavia, nel tempo si sono susseguiti numerosi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali in quanto da una parte si è cercato di ricondurre la disciplina della responsabilità della Pubblica Amministrazione nell'ambito dell'art. 2043 c.c., mentre dall'altro, nell'ambito dell'art.2051 c.c., e quindi della responsabilità da cose in custodia.

Inizialmente, se la responsabilità della P.A., veniva inquadrata nell'ambito della responsabilità per colpa a norma dell'art.2043, nello stesso momento, veniva esclusa l'applicabilità dell'art.2051 c.c.

Adottando l'orientamento per cui l'insidia stradale è riconducibile all'art.2043 c.c., si ammette anche che il danneggiato provi la colpa della P.A, avendo quindi un onere probatorio molto più gravoso.

Al contrario, adottando l'orientamento per cui la disciplina è riconducibile all'art.2051 c.c., la colpa della P.A., è presunta grazie alle varie risultanze probatorie.

In entrambi i casi, comunque, un concetto che ha fatto da cardine è quello di "insidia e trabocchetto", che può ricorrere solo in presenza di due presupposti ben precisi:

  1. Il pericolo da cui è scaturito il sinistro non doveva essere visibile;
  2. Il pericolo non doveva essere prevedibile adottando l'ordinaria diligenza.

Naturalmente, in relazione al secondo requisito, ciò che fa la differenza è senza dubbio la condotta del danneggiato che potrebbe portare, in caso di concorso di colpa, ad una diminuzione o anche ad un'esclusione del risarcimento.

Rileva a tal proposito il principio di autoresponsabilità previsto nell'art.1227, co.1 c.c., in forza del quale in capo ad ogni utente della strada, cade un dovere di diligenza e di attenzione, in assenza dei quali andrebbe a configurarsi un concorso di colpa.

Proprio per questo viene, infatti, ravvisato come un corollario del nesso di causalità in quanto l'unico danno risarcibile è quello cagionato esclusivamente dal danneggiante; in ragione di ciò, la stessa Giurisprudenza ritiene che il comportamento colposo del danneggiato sia in grado di escludere la responsabilità del danneggiante andando ad interrompere il nesso di causalità[1].

Ad oggi, comunque, l'orientamento dominante riconosce come norma applicabile, quella dell'art. 2051 c.c., grazie alla storica sentenza della Corte Costituzionale n. 156/1999 che ha fornito lo spunto per applicare la predetta norma al danno da insidia stradale, in base al caso concreto, per delineare la responsabilità della P.A..

Tuttavia, nel 2006, anche la Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione, si è espressa sulla questione, soffermandosi su una questione di non poco conto.

Con la sentenza n.15383/2006, si è stabilito che la presunzione di colpa della Pubblica Amministrazione, non possa esserci qualora, quest'ultima non abbia potuto esercitare la custodia sul bene[2], tuttavia, se ciò fosse vero e quindi non fosse applicabile l'art.2051 c.c., la successiva sentenza n.15384/2006, prevede che potrebbe essere possibile applicare la regola dell'art.2043 c.c., gravando sul danneggiato l'onere di provare l'anomalia del fondo e di conseguenza la responsabilità della P.A.

Sulla base di quanto appena detto, appare chiaro, che se con l'inquadramento della responsabilità nell'ambito della norma di cui all'art.2043 c.c., l'onere della prova spetta al danneggiato, con la previsione dell'applicazione dell'art.2051 c.c., si assiste ad un'inversione dell'onere probatorio quindi basterà provare, in sede processuale, la sussistenza del nesso di causalità tra la cosa custodita ed il danno; al contrario, la P.A., dovrà provare la presenza del caso fortuito provando a superare la presunzione di colpa.

Dott.ssa Martina Carosi


[1] Cass. Civ., Sez. III n.15383/2006

[2] "la presunzione di responsabilità per danni da cosa in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non risulti possibile - all'esito di un accertamento da svolgersi da parte del giudice di merito in relazione al caso concreto esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. L'estensione del bene demaniale e l'utilizzazione generale e diretta dello stesso da parte di terzi, sotto tale profilo assumono, soltanto la funzione di circostanze sintomatiche dell'impossibilità della custodia" Cass.Civ., Sez. III, n.15383/2006