Il danno è presunto in caso di violazione delle distanze legali
Cass. civ., Sez. II, del 19 marzo 2025, n. 7290
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A cura di Dott.ssa Veronica Riggi
MASSIMA "In caso di violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni, l'attore (…) non è sottratto da un onere di allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione di utilizzare l'immobile nel periodo dell'illegittima ingerenza del peso costituito dalla costruzione. La domanda del danno per l'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo onera, dunque, il ricorrente di indicare gli elementi, le modalità e le circostanze della situazione, da cui, (…) possa desumersi l'esistenza e l'entità del concreto pregiudizio patrimoniale subito; ciò consente poi al giudice di far uso delle presunzioni semplici, divenendo allora comunque in re ipsa (non il danno, ma) la prova del pregiudizio.
Il tutto partiva dalle argomentazioni attoree che asserivano di essere proprietari di un immobile confinante con la proprietà dei convenuti e lamentavano che questi avevano edificato nella corte di loro proprietà un muro di contenimento di un terrapieno artificiale ed un garage in violazione delle distanze previste dalle norme edilizie locali e chiedevano la condanna all'arretramento delle predette opere alla distanza di 5,00 m. dal confine attoreo prevista dalle norme comunali oltre al risarcimento dei danni patiti, da liquidare secondo equità.
In primo grado, il Tribunale ordinava il ripristino dello stato dei luoghi mediante arretramento o demolizione del muro di contenimento del terrapieno artificiale e del garage condannava parte convenuta al risarcimento del danno non patrimoniale, determinato in via equitativa in misura pari ad un euro al giorno dal giorno del collaudo e fino all'effettivo arretramento e/o demolizione ed al pagamento delle spese processuali e di CTU.
Veniva proposto appello, respinto!
Avverso la pronuncia di II grado veniva proposto ricorso per Cassazione.
Il Palazzaccio ha accolto due motivi attinenti entrambi riguardanti la condanna al risarcimento dei danni, derivati agli originari attori dalla violazione della distanza legale dal confine imposta dalla normativa locale, e liquidati equitativamente, ed ha cassato la sentenza impugnata.
Gli Ermellini hanno affermato che "la Corte d'Appello non ha affatto motivato sul motivo di appello della S. relativo alla mancata considerazione della tolleranza degli attori per dieci anni dei manufatti realizzati in violazione della distanza di cinque metri dal confine, della modesta gravità dell'abuso edilizio correlata alle modeste dimensioni dei manufatti a confine, ma soprattutto della mancata allegazione e prova (…) di circostanze dalle quali desumere l'esistenza di loro effettivi danni non patrimoniali, in quanto ha considerato i danni da essi subiti come danni in re ipsa, non bisognosi di specifica attività probatoria, richiamando l'orientamento in quel senso di una parte della giurisprudenza dell'epoca, e non ha fornito alcuna giustificazione del criterio di liquidazione del danno adottato (1 euro al giorno dalla violazione della distanza legale fino all'effettivo arretramento e/o demolizione dei manufatti in contestazione), rapportata alla situazione reale delle proprietà confinanti esaminata ed a parametri ben definiti che permettano di comprendere l'iter logico seguito."
Riguardo la conferma della decisione della condanna in appello, la Suprema Corte ha chiarito come la Corte d'Appello ha richiamato l'orientamento di una parte della giurisprudenza dell'epoca, che in materia di violazione delle distanze legali ammetteva l'esistenza di un danno in re ipsa, liquidabile equitativamente a prescindere da specifiche attività probatorie, ma che non é QUI condivisibile, "in quanto non risulta allineata all'orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, dopo la composizione da parte delle sezioni unite del contrasto, che era insorto tra la seconda e la terza sezione civile sul punto."
Invero, le Sezioni Unite, con sent. n. 33645/2022, in tema di prova del danno da violazione del diritto di proprietà e di altri diritti reali, hanno optato per una mediazione fra la teoria normativa del danno, emersa nella giurisprudenza della II sez. Civ., e quella della teoria causale, sostenuta dalla III sez. Civ.
La questione se la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale, ma anche risarcitoria, è stata risolta dalle S.U. positivamente ed é stato dato seguito al principio di diritto, più volte affermato da questa Corte, secondo cui, "in caso di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni, al proprietario confinante compete sia la tutela in forma specifica finalizzata al ripristino della situazione antecedente, sia la tutela in forma risarcitoria."
Ebbene, la locuzione "danno in re ipsa" va sostituita con quella di "danno presunto" o "danno normale", privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato.
In più, hanno definito il danno risarcibile in presenza di violazione del contenuto del diritto di proprietà: "esso riguarda non la cosa ma il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa, sicché il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione. Il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l'evento di danno condizionante il requisito dell'ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire."
Nel caso, poi, in cui la prova sia fornita attraverso presunzioni, l'attore ha l'onere di allegare il pregiudizio subito, anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.
Infine, la domanda del danno per l'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo onera il ricorrente di indicare gli elementi, le modalità e le circostanze della situazione, da cui, in presenza dei requisiti richiesti dagli artt. 2727 e 2729 c.c. possa desumersi l'esistenza e l'entità del concreto pregiudizio patrimoniale subito; ciò consente poi al giudice di far uso delle presunzioni semplici, divenendo allora comunque in re ipsa (non il danno, ma) la prova del pregiudizio.