Le scelte del detenuto in materia sanitaria non possono giustificare la detenzione domiciliare “umanitaria”

24.02.2024

Cass. Pen., sez. I, 11 dicembre 2023, n. 49356

Con la sentenza dell'11 dicembre 2023, n. 49356, la Prima Sezione penale della Corte di cassazione si è pronunciata sulla possibilità che le scelte discrezionali e volontarie del detenuto in tema sanitario incidano sulla concessione della detenzione domiciliare umanitaria, di cui al combinato disposto dell'art. 47-ter l. n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario) e 147 c.p.

Nel caso concreto, il detenuto versava in gravi condizioni di salute conseguenti al perdurante sciopero della fame, nonché al rifiuto a ricevere altre tipologie di alimentazioni, al fine di protestare contro il regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord. pen.

A seguito del peggioramento del suo stato di salute, il detenuto richiedeva il trasferimento dall'ospedale penitenziario, in cui si trovava per ricevere le prestazioni sanitarie necessarie, all'abitazione della sorella.

Come noto, l'art. 47-ter ord. pen. consente ai detenuti, qualora la pena da scontare o il residuo di essa non sia superiore a quattro anni di reclusione o qualora la stessa consista nell'arresto, di poterla eseguire presso la propria abitazione o in altra privata dimora.

La legge consente altresì la detenzione domiciliare, definita in questo caso «umanitaria», indipendentemente dalla entità di pena da espiare al ricorrere del presupposto, previsto dall'istituto del rinvio facoltativo della esecuzione della pena ai sensi dell'art. 147, comma 1, n. 2, c.p., della sussistenza di uno stato di grave infermità fisica.

In questi casi la detenzione domiciliare può essere applicata al ricorrere delle seguenti condizioni: lo stato patologico del detenuto consente di effettuare una prognosi infausta quoad vitam ravvicinata; l'esecuzione dei trattamenti sanitari è incompatibile con il regime carcerario, anche se quest'ultimo venisse eseguito mediante ricovero in luoghi esterni di cura di cui all'art. 11 ord. pen.; la permanenza del regime carcerario pone l'espiazione della pena in violazione del senso di umanità e dignità[1].

Ciò posto, nella sentenza ora in esame la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo il quale la precaria condizione di salute "autoprodotta" dal detenuto è ininfluente ai fini della concessione della detenzione domiciliare umanitaria. Il giudice di legittimità richiama sul punto propri precedenti giurisprudenziali, secondo i quali la condizione patologica di un soggetto conseguente al lecito rifiuto di trattamenti sanitari - che mai possono essere ritenuti coercibili - non può fondare di per sé il riconoscimento del beneficio della detenzione domiciliare "umanitaria". Infatti, se si ammettesse tale possibilità, si rimetterebbe sostanzialmente alla scelta del detenuto la prosecuzione dell'esecuzione inframuraria della pena.

Nel caso in commento, poiché le gravi condizioni di salute del detenuto erano conseguenti allo sciopero della fame portato avanti dallo stesso e dal rifiuto di ricevere alimentazione in forma di trattamento sanitario, la Corte di cassazione ha ritenuto manifestamente infondato il ricorso proposto dalla difesa dell'imputato.

Dott. Marco Misiti

[1] Sul punto si veda Cass. pen., Sez. I, 22 febbraio del 2022, n. 6300.