La Cassazione sulla differenza tra il delitto di induzione indebita e il delitto di concussione

06.12.2024

Cass. Pen., Sez VI, del 11 settembre 2024 n. 34274

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Il caso vedeva un soggetto imputato per i delitti di cui agli articoli 56, 81 comma 2 e 317 c.p. (concussione).

Secondo l'accusa l'imputato, abusando della propria qualità di maresciallo della Guardia di Finanza, avrebbe tentato di costringere la parte offesa di un procedimento penale, nel quale l'imputato era delegato a compiere indagini, a versargli la somma di euro 2000, sostenendo di avere necessità di ripianare un debito con la propria banca, inoltre, l'imputato avrebbe tenuto una analoga condotta nei confronti del legale rappresentante di una società in altro procedimento penale.

Entrambe le richieste venivano respinte.

Il Pubblico ministero, contestava all'imputato, il delitto di abuso d'ufficio poiché l'imputato, a seguito del rifiuto di versamento della somma di euro 2000 della parte lesa, avrebbe escluso la rilevanza penale dei fatti dal medesimo denunciati.

In sede di gravame, anche la Corte d'appello di Perugia ha dichiarato l'imputato responsabile dei reati ascritti, riqualificandoli ai sensi degli articoli 56 e 319-quater c.p. (induzione indebita a dare o promettere utilità), unificati dal vincolo della continuazione ed applicate le attenuanti generiche, condannando l'imputato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l'avvocato dell'imputato, affidando il ricorso a due motivi.

Con il primo motivo, il difensore deduceva l'inosservanza dell'articolo 319 quater c.p. e il vizio di motivazione sul punto, poiché la condotta tenuta dall'imputato non sarebbe stata caratterizzata da persuasione, suggestione, o inganno, come previsto dalla norma incriminatrice.

Infatti, l'imputato si sarebbe limitato a chiedere alla parte lesa dei soldi in prestito, esponendo le proprie difficoltà economiche, senza pressione o insistenza.

Secondo la difesa, dunque, la Corte d'appello nell'interpretare la vicenda, avrebbe dovuto tralasciare le considerazioni in riferimento alle condizioni psicologiche della persona offesa ed escludere il reato di induzione indebita.

Con il secondo motivo, il difensore denunciava la violazione dell'articolo 615 ter, codice penale, poiché la la corte d'appello di al pari del giudice di primo grado avrebbe omesso di considerare le dichiarazioni rese dall'imputato in ordine all'assenza del dolo.

La Corte di Cassazione, esaminato il ricorso, lo dichiarava inammissibile e così motivava, in riferimento al primo motivo sostiene che l'imputato contesta non la motivazione della sentenza, bensì le prove esaminate sollecitandone una diversa lettura, e gli ermellini precisano che ciò esula dai poteri della Corte di Cassazione.

Inoltre, ritengono del tutto congrua la qualificazione operata dalla Corte d'appello nella sentenza impugnata.

A sostegno di ciò, la Suprema Corte richiama l'orientamento delle Sezioni unite, secondo cui il delitto di concussione di cui all'art. 317 c.p. è caratterizzato dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno ingiusto e da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario, che viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con l'adozione o la promessa di un'utilità indebita. Tale delitto si distingue dal delitto di induzione indebita di cui all'articolo 319-quater c.p., la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampie margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale.

Secondo le Sezioni unite, nei casi ambigui, il criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all'esito di una approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo i dati più significativi di quest'ultimo nonché quelli idonei a contraddistinguere la vicenda concreta al fine di comprendere se il vantaggio indebito annunciato abbia prevalso sull'aspetto intimidatorio.

Infine, il tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilità si differenzia dall'istigazione alla corruzione attiva di cui all'articolo 322 commi 3 e 4 c.p., perché quest'ultima fattispecie si inserisce nell'ottica di instaurare un rapporto paritetico tra i soggetti coinvolti, la prima fattispecie, invece, presuppone che il funzionario pubblico, abusando della sua qualità o dei poteri, ponga potenzialmente il suo interlocutore in uno stato di soggezione, avanzando una richiesta perentoria e ripetuta con un grado di pressione psicologica più elevato rispetto ad una semplice sollecitazione e che si concretizza nella proposta di un semplice scambio di favori.

Pertanto, una volta richiamato l'orientamento delle Sezioni Unite, concludono gli ermellini affermando che la Corte di appello ha fatto un buon governo di tali principi, poiché ha rilevato che la parte offesa aveva compreso che soddisfacendo la richiesta dell'imputato, avrebbe ottenuto dei vantaggi in merito alla denuncia presentata e che, in caso di diniego, il pubblico ufficiale avrebbe potuto manipolare in negativo gli esiti delle indagini.

La Corte di Cassazione ha, dunque, ritenuto corretta la qualificazione delle condotte accertate.

In riferimento al secondo motivo, per celerità nell'esposizione non si riporta l'iter logico giuridico con il quale viene ritenuto inammissibile il punto, rimandando al testo integrale della pronuncia.

Per tali motivi, la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dott. Domenico Ruperto